Tempo d’estate, tempo di libri: al di là di un banale quanto scontato slogan, queste parole sottendono un’indiscussa verità, legata di certo alla possibilità di godere maggiormente della piacevolezza della lettura, quando si è in vacanza, supportata dalle giornate più lunghe e rasserenanti.
Nell’infinito ventaglio di possibilità è motivo di soddisfazione scoprire autori nuovi, generi meno abitualmente ricercati, storie che ci catapultino in un altrove meno frequentato.
Ne è un buon esempio la letteratura poliziesca, nello specifico quella italiana, alla quale viene troppo spesso concesso uno sguardo distratto, se non si tratta del prodotto di qualche autore già famoso per altri motivi (ricordiamo tutti il caso di Giorgio Faletti, balzato rapidamente agli onori della cronaca mediante “Io uccido” anche grazie alla sua caleidoscopica attività).
In questa prospettiva Maurizio De Giovanni, classe 1958, merita una giusta attenzione insieme al personaggio da lui creato, il commissario Ricciardi, la cui attività si svolge nella Napoli degli anni Trenta, con l’Italia stretta nella morsa del fascismo, la cui presenza trapela in ogni capitolo.
Ricciardi, l’insolito commissario di Maurizio De Giovanni
Trovare spunti nuovi per dare vita a degli investigatori con caratteristiche originali è un compito arduo, dopo che tutto è già stato detto e scritto da Poirot e Sherlock Holmes in avanti, ma l’autore napoletano ci è riuscito.
Luigi Alfredo Ricciardi, trentenne di nobili origini, vive a Napoli insieme alla sua anziana balia, Rosa, che lo ha cresciuto dopo la morte della madre e che nutre la preoccupazione di non vederlo accasato prima di morire.
La sua attività nella squadra mobile ha generato la diffidenza dei suoi collaboratori, fatta eccezione per il fedele brigadiere Maione, che non riescono a credere che la sua apparente indifferenza nei confronti del successo e delle gratificazioni ufficiali sia sincera, mentre i suoi capi apprezzano questa che ritengono una qualità, dal momento che permette loro di attribuirsi il merito della risoluzione dei casi.
Maurizio De Giovanni ha plasmato il suo personaggio per la prima volta nel 2005, inserendolo in un racconto col quale vinse un concorso per giallisti esordienti, e da allora i due sembrano essere diventati inseparabili.
Il succedersi delle stagioni ha scandito le prime avventure del protagonista, non a caso intitolate l’inverno, la primavera, l’estate e infine l’autunno del commissario Ricciardi.
L’intuizione di Maurizio De Giovanni, quella che ha reso il suo personaggio del tutto diverso dai tanti suoi simili, è quella che viene chiamata “Il Fatto”: con questo termine Ricciardi definisce una sua capacità di carattere soprannaturale, scoperta per caso da bambino e diventata col tempo quasi una maledizione, ovverosia la percezione delle ultime parole e sensazioni provate da chi è morto di morte violenta.
I fantasmi di queste vittime si legano al luogo ove è avvenuta la loro morte e ripetono come un mantra le loro ultime parole, che Ricciardi ode e utilizza come mezzo per portare a termine le sue indagini.
Sensazioni che pesano a volte come un macigno, di cui non può certo mettere a parte i suoi superiori, che lo rendono ancora più triste e malinconico di quanto già non sia per indole.
Maurizio De Giovanni, l’autunno del commissario Ricciardi
Tra le vicende stagionali raccontate da Maurizio De Giovanni spicca “Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi”, ove lo scrittore ha ulteriormente affinato le sua abilità di indagine introspettiva di vittime, colpevoli e spettatori.
E’ il 26 ottobre 1931 quando a Napoli, sullo scalone monumentale che porta a Capodimonte, viene rinvenuto il cadavere di un bambino, seduto su un gradino come se fosse in attesa di qualcosa o qualcuno, con a fianco un cane che sembra non volerlo abbandonare nonostante il freddo e la pioggia incessante.
Ricciardi, Maione e il dottor Modo, il medico che lo affianca nelle sue indagini, giunti sul posto rimangono scossi da questa morte innocente, che appare dovuta alla miseria in cui versa molta parte della popolazione della città.
Ma qualcosa non convince Ricciardi, che vuole capire e rendere un estremo omaggio a un bambino innocente, senza abbandonarlo ad una dichiarazione frettolosa di morte naturale.
Il cane diventa una sorta di fustigatore, intento a scuotere la coscienza di adulti che tendono ad archiviare ciò con cui non desiderano confrontarsi, il mondo violato dell’infanzia.
Ricciardi chiede dunque di procedere con l’autopsia, che rivelerà essersi trattato di una morte per avvelenamento da stricnina, forse contenuta in cibo destinato ai topi.
In una Napoli frenetica per l’arrivo imminente del Duce in visita, la tendenza è quella di chiudere tutti i casi, per far apparire pulita e sicura la città, insabbiandoli se necessario: ma Ricciardi non ci sta, lui sa che i conti non tornano, ma come può spiegare che la sua certezza deriva dal fatto che lui vede i fantasmi apparire nel luogo preciso della loro morte e del piccolo Matteo, la vittima, non ha ancora avuto alcuna percezione?
Pressato dal vicequestore Garzo, un uomo ossequioso e sempre pronto a inchinarsi al potere, Ricciardi chiede ed ottiene una settimana di vacanza, che solleva gli animi di chi non lo voleva presente all’arrivo del Duce, considerandolo un personaggio scomodo e poco addomesticabile, e gli permetterà di svolgere la sua indagine senza ostacoli.
Maurizio De Giovanni costruisce attorno al commissario una città in fibrillazione, a partire dalle forze dell’ordine per arrivare ai nobili altolocati, tra i quali spicca la figura di Livia, amica della figlia del Duce e coinvolta sentimentalmente da Ricciardi, che sembra ignorarla e preferire l’idea di una giovane insegnante che osserva da lontano, Enrica.
Una settimana sola deve bastare per portare a termine l’indagine, in assoluto anonimato, senza che ciò arrivi alle orecchie del vicequestore.
Il mondo ingarbugliato dal male e dall’orrore che Ricciardi porterà alla luce, dove chi dovrebbe tutelare e proteggere infligge invece soprusi e sofferenze, sembra però condurlo in un vicolo cieco, facendogli perdere la speranza di arrivare alla soluzione di quello che, ormai ne è certo, è stato un caso di omicidio e non di morte accidentale.
Sino al 2 novembre 1931: è il giorno dei morti, la settimana volge al termine e il commissario si sente sconfitto, mentre attraversa il cimitero cercando il luogo dove è stato sepolto Matteo.
Ma è proprio nel giorno dedicato al ricordo di chi non c’è più che “il Fatto” appare con prepotenza e permette a Ricciardi di maturare l’intuizione giusta e individuare chi ha fatto del male al bambino, negandogli la vita.
Con un finale a sorpresa degno di un maestro del genere poliziesco Maurizio De Giovanni gli e ci regala la soluzione, inserita comunque in un finale aperto, come vuole la tradizione dei romanzi “a ciclo”, per lasciare ai lettori quel tanto di interesse sospeso che li induca a seguire ancora le vicende di Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte.
AUTORE: Maurizio De Giovanni
TITOLO : Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi
EDITORE : Einaudi
PAGG.316, EURO 12,00