Luca Serianni e Lucilla Pizzoli sono i nomi di due autori sconosciuti ai più, ma certamente noti a chi si occupa di filologia linguistica, di studi sulla lingua, di linguistica a vari livelli.
Il professor Serianni è docente ordinario di Storia della lingua italiana alla Sapienza di Roma, mentre la professoressa Pizzoli, già sua allieva, tiene corsi di lingua italiana e di scrittura in ambito universitario.
Entrambi refrattari ai cedimenti linguistici che caratterizzano i parlanti italiani ai nostri giorni, hanno curato una “Storia illustrata della lingua italiana”, destinata al pubblico dei non addetti ai lavori.
L’elegante manuale, corredato da illustrazioni specificatamente volte ad una più rapida interpretazione e memorizzazione dei contenuti, appare adatta a chiunque voglia addentrarsi nei meandri di quella che viene considerata una delle lingue più belle ed armoniose tra quelle esistenti.
Conoscendola a fondo, scoprendone origini e sviluppi, ritrovando i nomi di tutti quegli autori un po’ dimenticati dopo gli anni di scuola, ciascun parlante potrà essere più consapevole dei suoi errori, dettati più dall’abitudine che dalla mancata conoscenza, e ritornare senza pedanteria ad un più corretto esprimersi tanto nel parlato quanto nello scritto.
Entrambi gli autori collaborano con l’Accademia della Crusca, un’istituzione che ha retto ai cambiamenti epocali dei secoli, mantenendo viva la salvaguardia di una lingua che affonda le sue radici nel Medioevo.
A lezione da Luca Serianni e Lucilla Pizzoli
Correvano gli anni 1230-1250 quando a Palermo, alla corte dell’imperatore svevo Federico II, nasceva la prima letteratura in lingua volgare, che nulla aveva più a che fare col latino e si riprometteva di assumere ben presto una veste assai dignitosa. Si parlava d’amore, in quelle poesie, capaci di fissare nel tempo, grazie alla forma scritta, i cambiamenti avvenuti.
I nostri discendenti non avranno difficoltà a sapere come noi oggi parliamo, se gli strumenti tecnologici di cui disponiamo non si usureranno indelebilmente, ma noi possiamo solo immaginare cosa succedeva nell’Italia di quei secoli, che tale era solo a livello geografico, date le divisioni esistenti al suo interno.
Almeno quattordici importanti dialetti coabitavano rendendo impossibile un’ampia diffusione di contenuti, una lingua ufficiale unitaria non solo non esisteva, ma neanche la si immaginava.
Luca Serianni e Lucilla Pizzoli accompagnano il lettore tra corti e comuni, tra Sicilia e Toscana, ricordando che in realtà le trasformazioni avevano avuto origine molti secoli prima, come documentano testi non letterari come l’indovinello veronese o il Placito capuano.
Dalla Sicilia alla Toscana, quando gli svevi decaddero, il passo fu breve, le poesie furono letteralmente “tradotte” in un altro dialetto e consegnate ai posteri.
Raffinata nel passaggio attraverso lo Stil Novo, questa lingua arrivò infine a Dante Alighieri, capostipite della folta schiera dei linguisti, approdata oggi a Tullio de Mauro, che amiamo ricordare, e Luca Serianni.
Il primo manuale di studi sulla lingua del sì fu dunque scritto da Dante, che con accorta politica editoriale (come oggi diremmo) lo redasse in latino, affinchè lo leggessero proprio tutti, anche i latinisti incalliti e anacronistici del XIVsecolo. Il “De vulgari eloquentia” fu l’origine del tutto, una studio sistematico e minuzioso sull’esistente che potesse portare all’individuazione di una lingua volgare colta, cardinale, illustre, aulica e curiale.
Dal Trecento di Dante, Petrarca e Boccaccio per arrivare al Novecento combattuto, diviso tra classicismo e avanguardie, tra conservazione del passato e aperture a volte eccessive al nuovo, la storia raccontata da Luca Serianni e Lucilla Pizzoli affascina come fosse un romanzo, una storia d’amore e di passione per una lingua amata e troppo sfregiata.
Il Novecento ha ereditato lo sforzo immane compiuto da Alessandro Manzoni per individuare “la” lingua, quella che avrebbe dovuto imporsi sui dialetti e accompagnare l’unità politica che i patrioti stavano costruendo, in un futuro non lontano in cui sarebbe stata istituita la scuola obbligatoria, diritto e dovere di tutti i cittadini.
Come sia andata, si sa: un secolo dopo, lasciate alle spalle due guerre mondiali, gli italiani vivevano ancora un profondo analfabetismo linguistico, si esprimevano in dialetto e una buona percentuale di loro non sapeva neppure leggere e scrivere.
Il processo di miglioramento, come ricordano Luca Serianni e Lucilla Pizzoli, fu lungo e ricco di insidie, ma efficace, sebbene pronto ad eludere le norme quando i mass media presero il sopravvento e la scuola si trasformò in una delle possibilità, non più l’unica, di attingere ad una lingua che fosse di tutti e per tutti (chi ricorda il maestro Manzi e il suo programma televisivo “Non è mai troppo tardi”?).
Pregi e difetti della mescolanza linguistica: il giudizio di Luca Serianni e Lucilla Pizzoli
La lingua italiana, come tutte le altre, non è chiusa in una bolla che la preserva dalle contaminazioni: se così fosse non sarebbe viva, dinamica, ma morirebbe nella sua staticità, per cui le contaminazioni linguistiche non vanno demonizzate senza discernimento.
Anche in questo contesto Manzoni ci soccorre storicamente parlando: fu lui a individuare nella sua prima edizione de “I promessi sposi” i termini che erano stati mutuati da lingue che non appartenevano al nostro patrimonio e a sostituirli con altri più consoni, dopo aver “sciacquato i panni in Arno”.
Oggi la situazione appare assai più complessa rispetto a due secoli fa, in seguito al rapido intensificarsi dei contatti tra parlanti diversi, tra culture anche molto distanti tra loro.
Pensando ai termini mutuati dalle lingue straniere del passato, Luca Serianni e Lucilla Pizzoli ricordano come il Bel Paese sia stato attraversato da genti e lingue di ogni tipo: longobardi e franchi, normanni e arabi, francesi, spagnoli e austriaci, tanto per citare i più noti, che hanno lasciato dietro il loro passaggio una scia di parole entrate nell’uso comune del parlato, per poi venire traslate alla lingua scritta. Nel quotidiano è l’inglese a dominare tra i prestiti linguistici, capace di renderci sudditi di una lingua che sta fagocitando la nostra libertà di espressione, obbligandoci ad usare termini che crediamo intraducibili ( i nostri cugini francesi sono dei puristi, se confrontati a noi!).
Il rimescolamento linguistico è comunque bidirezionale, in quanto sono stati esportati all’estero termini che ci connotano in modo esclusivo, come pizza e mozzarella, andante e allegro, cappuccino e, ahimè, mafia.
Siamo un popolo di poeti e naviganti, e proprio a questi dobbiamo l’esportazione delle nostre parole, la cui bellezza appare intraducibile alle orecchie degli stranieri che si avvicinano all’Italia, meta dei loro viaggi e dei loro interessi culturali.
La storia della lingua scritta da Serianni e Pizzoli diventa uno strumento essenziale per cominciare il cammino di comprensione profonda di una lingua che Dante ha reso immortale coi suoi versi e che dobbiamo rivalutare e rispettare quotidianamente, senza cedimenti ad un registro colloquiale che ci fa dimenticare, ad esempio, l’uso del congiuntivo e dei costrutti sintattici.
Siamo “le genti del bel paese là dove ‘l sì suona” (Inferno, canto XXXIII), non scordiamolo.
AUTORI : Luca Serianni e Lucilla Pizzoli
TITOLO : Storia illustrata della lingua italiana
EDITORE : Carocci
PAGG. 159, EURO 24,00