Maria Pia Baroncelli, alla ricerca della buona scuola

Maria Pia Baroncelli, alla ricerca della buona scuola

Maria Pia Baroncelli è nata a Milano, dove lavora nell’area Digital di un’azienda italiana, dedicandosi per passione alla scrittura.

Dopo aver pubblicato sotto lo pseudonimo di Viola Veloce, ha scelto di apparire in prima persona come autrice di Tutta la vita all’ultimo banco. Contro una scuola solo per gli studenti migliori.

Il testo si pone sulla scia dei memoir, autobiografie legate a specifici periodi della vita dell’autore in cui si sono verificati fatti ritenuti particolarmente interessanti (dall’autore stesso, com’è ovvio).

Nel caso di Maria Pia Baroncelli il focus verte sull’esperienza scolastica sua e del figlio Antonio, dalle elementari sino al conseguimento di un titolo di studio spendibile nel mondo del lavoro.

L’autrice non è un’insegnante, né trascorre il suo tempo lavoro all’interno della scuola: la sua è dunque un’esperienza di ambito ristretto, condizionata dalla diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento per sé e per il figlio.

Cos’è la scuola, per Maria Pia Baroncelli?

A questa domanda si può rispondere senza fatica attraversando i capitoli del libro, ma è utile partire da un’intervista rilasciata dall’autrice stessa (Silvestra Sorbera per Gocce di Spettacolo, 9/10/2023).

Alla domanda “ Com’è la scuola italiana oggi?” l’autrice risponde “ Ti dico sinceramente che secondo me la scuola italiana di oggi fa schifo”.

Giudizio all’apparenza inappellabile e per lo meno discutibile da parte di chi nella scuola ha trascorso la sua vita, dai sei ai sessant’anni compiuti.

E’ una scuola che la sua narrazione identifica come calibrata solo sugli studenti migliori, senza spazi per chi è destinato all’ultimo banco, quello un tempo chiamato degli asini.

In realtà la scuola è da decenni plasmata sulle necessità dei ragazzi con più difficoltà, seppur senza Bisogni Educativi Speciali: i corsi di recupero con le relative verifiche o le unità didattiche riconsiderate ne sono testimonianza.

I ragazzi con DSA trovano al loro fianco insegnanti di sostegno e, se necessario, assistenti fisici, per loro vengono redatti i PDP, i Piani Didattici Personalizzati, in modo che abbiano la possibilità di recuperare almeno in parte lo svantaggio.

Maria Pia Baroncelli racconta un’esperienza personale in cui nulla di tutto ciò ha funzionato, in scuole in cui il figlio ha vissuto una situazione di emarginazione didattica e  culturale.

Come madre, ritiene la scuola esclusiva, non inclusiva, capace solo di negare possibilità di miglioramento e di non procacciarle, anche e soprattutto a causa di docenti e dirigenti superficiali, poco preparati, disattenti e fustigatori.

E’ la conferma, dal suo punto di vista, dell’assunto del sottotitolo: una scuola destinata solo agli studenti migliori.

La storia scolastica di Maria Pia Baroncelli

Il memoir dell’autrice parte dalla sua esperienza di scolaretta dei bei tempi andati, sulla scorta di un rimpianto della scuola del tempo che fu che non solo traspare, ma viene apertamente dichiarato.

Elementari con una maestra unica molto amata, scuole medie attraversate senza infamia e senza lode, un liceo classico imposto e detestato, in cui la fatica di imparare era tanta.

Meglio allora stringere amicizia con la prima della classe e veleggiare verso la maturità copiando le versioni di greco e latino.

Poi, tra scioperi studenteschi, assemblee, cortei in centro a Milano la scuola sembrava più un parco dei divertimenti che un luogo di sangue e sudore in cui trascorrere la propria adolescenza.

A valutare la eventuale gravità delle difficoltà di Maria Pia, però, in quegli anni non interveniva nessuno.

Ecco perché la sua diagnosi relativa ai disturbi dell’apprendimento è arrivata solo quando si è riconosciuta in quella del figlio.

Gli anni Settanta hanno segnato lo stravolgimento della scuola, aprendola a una nuova dimensione sociale ma anche etica, con una rivalutazione dello studente come persona, non solo come allievo.

Non possiamo gettare alle ortiche quelle trasformazioni e il modello didattico da esse scaturito senza compiere un’operazione storica acritica.

La scuola di Antonio

Il vero calvario scolastico è stato quello del figlio, Antonio.

Secondo Maria Pia Baroncelli sono stati ben pochi gli insegnanti che si sono rapportati in modo corretto con lui, comprendendo a fondo le sue difficoltà.

Essendo per di più una madre single, senza supporto familiare, a lei è toccato il compito di provvedere alle carenze scolastiche.

Dalle elementari sino al diploma Antonio si è trovato catapultato in universo fatto di scuola mattutina, centri di doposcuola pomeridiano, aiuti di baby sitter, fine settimana da recluso in casa a svolgere con la madre le attività previste, vacanze estive mai tali perché sempre vissute come una corsa al recupero del non fatto.

In tutto questo figure di docenti inutili se non dannose, di dirigenti pavidi o folkloristici (di cui si ricordano i tailleur damascati come le fodere dei divani).

Che ad Antonio non sia toccato in sorte un numero fortunato nella tombola scolastica è un probabile dato di fatto, ma il passo successivo di definire tutta la scuola italiana come la copia di questo modello negativo è un azzardo ingiustificato.

Il libro, che si pone come un j’accuse deliberato, non considera nemmeno la possibilità che altrove, con altri docenti, con altri contesti la scuola funzioni da ascensore sociale, permetta a chi parte svantaggiato di guadagnare punti in più.

Se così non fosse, cosa potrebbero dire i genitori dei tanti ragazzi non italiani presenti ormai in ogni classe di ogni scuola?

L’immagine della mamma africana che piange sulle scale dell’istituto è più deamicisiana che realistica, Maria Pia Baroncelli non conosce a fondo la realtà se ritiene che un caso possa essere eretto a norma.

La sua storia di mamma è certamente irta di asprezze scolastiche, tra le diagnosi del figlio e gli innumerevoli percorsi scolastici, che lo hanno visto cambiare dal liceo al tecnico e poi ancora andare  a studiare per un anno negli Stati Uniti prima dell’agognato diploma nel marasma generato dal Covid.

In queste pagine anche la contraddizione tra il sostenere che negli anni Sessanta e Settanta i genitori non dovevano occuparsi felicemente di nulla e l’ambire a una maggior partecipazione dei medesimi alla vita scolastica odierna, con il diritto di poter contestare contenuti e metodi dei docenti.

Maria Pia Baroncelli è di certo stata una presenza costante tra le mura scolastiche, anche accompagnata da un’avvocata sostenitrice dell’Associazione Dislessia.

La scuola di oggi non vuole scaricare sulla famiglia la responsabilità dei risultati educativi, bensì tende a chiedere collaborazione fattiva, non solo critica demolitrice.

Gli insegnanti potrebbero dedicarsi al suo auspicato insegnamento di tipo socratico, basato sulla maieutica, se solo fossero messi nelle condizioni di poterlo fare, cosa che non si verifica.

In conclusione, sparare a zero sulla scuola in toto non porta risultati positivi, genera anzi sconcerto in chi non sa o non può distinguere tra i casi singoli e la tendenza generale.

Ghigliottinare l’istruzione e proporre alternative molto astratte, che ricordano nei loro assunti i proclami studenteschi degli anni della contestazione, è solo una delle possibilità.

Un’altra, di grande utilità e fortemente pragmatica, è quella di ascoltare con attenzione le riflessioni del professor Umberto Galimberti, con la sua lucida  e costante analisi del mondo della scuola.

Maria Pia Baroncelli, alla ricerca della buona scuolaAUTORE : Maria Pia Baroncelli

TITOLO : Tutta la vita all’ultimo banco. Contro una scuola solo per gli studenti migliori

EDITORE : Zolfo

PAGG. 288      EURO 18,00  (versione eBook euro 9,99)

 

 

 

 

 

About Luisa Perlo

Luisa Perlo, Critico Letterario dopo una vita spesa tra i banchi di scuola. Amante dei libri, dei gatti e dei viaggi, considera la lettura lo strumento più efficace per crescere, migliorarsi e trovare il proprio posto nel mondo.

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