Stefano Pazzaglia, luci e ombre del Novecento che nasce tra i glicini in Franciacorta
A Gussago in Franciacorta, nella frazione Piè del Dos, c’è un’antica trattoria al cui esterno campeggia un glicine secolare, inebriante nel suo profumo e pervicace nelle sue ataviche radici.
Ad accogliere gli ospiti della locanda c’è Stefano Pazzaglia, che affianca la moglie nella gestione, con una cura particolare al territorio e a ciò che di meglio esso può produrre.
Uomo di cucina ma anche di cultura, Stefano Pazzaglia si è rivelato nella scrittura narrativa con “La trilogia del glicine”, un insieme di tre racconti ambientati nella locanda di Piedeldosso negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, quando in ogni angolo d’Italia, anche in un borgo chiuso tra le montagne e i laghi, la vita riprendeva vorticosamente il suo corso.
A fare da protagonisti i componenti della famiglia Boni, gente semplice ma non per questo esente da una filosofia di vita rigorosa, in cui predominavano il senso del lavoro, la giustizia non solo di Dio ma anche degli uomini e l’amore per i propri cari.
In seconda battuta, Stefano Pazzaglia ha fatto un passo indietro nel tempo e si è avvicinato al Ventennio del Novecento, per dare ai Boni delle radici forti, un passato in grado di spiegare le scelte da loro compiute e narrate nei suddetti racconti.
E’ nato così, con lo sguardo rivolto al prima, il romanzo “Come d’autunno”.
L’autore ripercorre nell’introduzione i suoi primi giorni alla trattoria nel 2009, lo stupore per il meraviglioso glicine e il desiderio di conoscere di più sul suo passato: l’escamotage narrativo è che sia proprio il glicine a raccontare i fatti antecedenti, a cominciare da quando aveva visto la luce nel 1861, l’anno dell’Unità.
A Piedidosso, sostiene per inciso Stefano Pazzaglia, si diventa strani…uomini e piante si parlano e si comprendono, come elementi facenti parte di un medesimo universo panico.
Stefano Pazzaglia narra dove e quando tutto cominciò
La storia narrata nel romanzo, dunque, si snoda a partire dal 1924, quando Mussolini aveva ormai dichiarato apertamente i suoi intenti e non era più realistico pensare di poter tornare indietro.
La marcia su Roma, la mancata dichiarazione dello stato d’assedio da parte del re, il delitto Matteotti, la secessione dell’Aventino: l’eco di questa storia dolorosa aveva raggiunto ormai anche le più remote località italiane, come Piedeldosso nel bresciano.
Qui viveva la famiglia Boni, gestendo una locanda e un’antica posta per cavalli, dove Pietro, il capofamiglia, ferrava ancora i cavalli, mentre i viaggiatori si rifocillavano coi piatti preparati dalla moglie Maria.
Steno, il loro figlio, era stato in guerra come bersagliere e come tutti i reduci era rientrato con un fardello di dolore pesantissimo sulle spalle, a cui si era presto aggiunta la perplessità per ciò che stava succedendo nella politica del paese.
Tornato a casa, gli era successo di innamorarsi di Nella, una giovane di Bovezzo che lo aveva incantato il giorno in cui si era casualmente fermata alla locanda col padre.
Bionda, con gli occhi chiari e lo sguardo timido, aveva stregato Steno al punto che il giovane non aveva esitato a percorrere ogni domenica in bicicletta la strada necessaria per raggiungere il paese di lei.
Testardaggine e costanza erano state premiate da un festoso matrimonio, non ancora oscurato dai timori che si erano poi profilati all’orizzonte.
Stefano Pazzaglia sceglie di raccontare la povera Italia del ventennio, quella lontana dai clamori della capitale e non preparata ad accettare una prepotenza e una superbia che nulla avevano a che fare con le sue tradizioni.
Per questo Steno, incapace di mettere un freno al suo imperante senso di giustizia non aveva esitato a prendere le difese del ciabattino Beppe soverchiato dalla protervia di Ercole Pasotti, un fascista dell’ultima ora pericoloso per la sua arroganza e la violenza esercitata sui più deboli.
A Steno era sembrato naturale difendere un innocente, ma aveva umiliato il Pasotti e questo, per uno come lui, era inaccettabile: col suo gesto, Steno aveva decretato la fine della tranquillità familiare.
Nemmeno una notizia bella come l’arrivo di un erede aveva mutato i contorni della vicenda, per cui la vita di Steno era diventata difficile, tanto da indurlo a seguire il consiglio del padre e rifugiarsi per poco tempo in un convento.
Nulla in realtà si poteva fare per fronteggiare le azioni delle camicie nere con le loro spedizioni punitive, nessuno poteva sottrarsi alla loro legge selvaggia, tanto più se questa era implicitamente avallata dal maresciallo Quattrone, complice di una ideologia in cui il senso della giustizia non trovava spazio.
E Steno non poteva sfuggire ad un destino scritto dagli altri per vendicare un affronto personale.
Dove nascono le emozioni e a che cosa servono
Valeria Fiorenza Perris Le emozioni sono una componente essenziale del nostro vissuto…Il mondo degli umili popola le pagine di Stefano Pazzaglia
Dove nascono le emozioni e a che cosa servono
Tra le vicende narrate da Stefano Pazzaglia sembra di percepire una lontana eco manzoniana, la scelta di raccontare la storia dei semplici, degli umili, di quelli che la Storia ignora per dare spazio ai nomi più illustri.
I Boni ne sono l’esempio, schiacciati dal destino e impotenti di fronte ai più forti non si arrendono e continuano la loro silenziosa battaglia per un mondo più giusto e meno violento.
I mestieri si tramandano, da Pietro e Maria la locanda passa in gestione a Nella e a suo figlio, che porta il nome di Steno come il padre, superando gli anni Trenta per approdare alla guerra, all’armistizio e alla resistenza.
Tra i monti dove è più facile nascondersi i montanari resistono contro tedeschi e repubblichini, bruciano le loro vite per un ideale di straordinaria bellezza e, qualche volta, vendicano la morte ingiusta di chi non ha potuto sottrarvisi.
A Ercole Pasotti, erettosi a giudice dell’operato di Steno Boni, toccherà pagare tutti i conti, sino all’ultima lira, ma ciò non potrà restituire la giovinezza e la vita a coloro a cui lui stesso ha voluto sottrarla.
C’è stato un tempo in cui si viveva con la stessa precarietà delle foglie sugli alberi in autunno, un autunno perenne in cui la vita umana aveva perso tutto il suo valore e un refolo di vento era sufficiente ad estinguerla.
Stefano Pazzaglia ce lo ha ricordato premettendo alla storia della famiglia Boni la poesia di Ungaretti “Soldati”:
“Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie” (1918, bosco di Courton).
TITOLO : Come d’autunno
EDITORE : Scatole Parlanti
PAGG. 128, EURO 13,00