La storia di Valentina Mira, trent’anni di cui dieci tormentati dal ricordo del passato, è emblematica nel contesto del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Che sia importante celebrare questa data lo dimostrano le cronache quotidiane, i telegiornali che in apertura denunciano “Ancora un femminicidio in Italia”, i titoli dei quotidiani che non nascondono quanto sia statisticamente più facile per una donna cadere vittima di una rabbia maschile esasperata rispetto al contrario.
Sappiamo tutti quanto gli uomini che considerano la donna una loro esclusiva proprietà siano subdoli, ingannatori e violenti: la loro violenza si esercita al chiuso, tra le mura di casa, senza che spesso chi sta all’esterno abbia la percezione del reale.
E così donne colpevoli di aver lasciato un maschio (uomo no, codesti assassini dell’uomo hanno ben poco, se non gli attributi di genere concessi dalla natura) non solo non riescono a ricostruirsi una vita, ma spesso non la possiedono neppure più, una vita, obbligate a trascinare nel baratro della morte anche i propri figli, nati da ventre di donna e dunque puniti per la loro stessa nascita.
Di queste donne si vedono i segni delle botte pregresse, si leggono referti medici che indicano una loro continua propensione a cadere dalle scale o a sbattere contro le porte, si osservano i loro corpi scarnificati dall’acido, bruciati dal fuoco, devastati da forbici e coltelli e colpi di arma da fuoco.
In un paese in cui muore una donna ogni tre giorni per mano di chi diceva – e a volte ancora dice – di amarla, questa è però solo la punta dell’iceberg, perché sotto la superficie dell’acqua si nasconde un numero ben più alto di donne di ogni età che hanno subito uno stupro, sono state usate da un uomo più o meno giovane come un giocattolo con cui divertirsi, su cui esercitare un diritto che tale non è.
A questo esercito di vittime molto spesso silenziose si prova a dar voce attraverso storie individuali che siano però rappresentative di un universo femminile che, come talora è emerso proprio nella giornata del 25, sarà davvero riscattato quando non servirà più avere una giornata dedicata alle vittime di violenza, perché non ce ne saranno più.
Valentina Mira, storia di uno stupro
Una di queste voci appartiene a Valentina Mira, trent’anni e una storia dolorosa alle spalle, accaduta in un tempo di gioiosità giovanile ferito a morte.
Rider, cameriera, addetta a un call center prima, giornalista e scrittrice poi, coronando il sogno lavorativo dopo molti sacrifici, Valentina Mira ha portato chiuso dentro di sé il ricordo di una serata vissuta nell’estate del suo esame di stato e terminata nel peggiore dei modi.
Il suo racconto, in gran parte autobiografico, si intitola “X”.
X è il simbolo che si scarabocchia su qualcosa che si vuole cancellare, ma X è anche il segno che indica dov’è sepolto il tesoro dei pirati, è un piccolo tatuaggio sull’anulare, è un incrocio di linee che poi si separano per sempre, è l’incognita che occorre trovare per risolvere l’equazione.
La X di Valentina è tutto questo e molto altro ancora, ma certo non è più il simbolo del silenzio fatto con le dita sulle labbra, per tacere la realtà delle cose.
Valentina Mira ha taciuto per molto tempo, troppo per lei stessa più che per gli altri, poi il fiume che teneva compresso dentro sé è straripato, le sue parole hanno lavato via il perbenismo, il nonsidice, i pregiudizi e i tabù ed hanno semplicemente chiamato le cose con il loro nome, visto che esiste: e Valentina ha detto io sono stata stuprata.
Il libro racconta l’estate del 2010, la felicità di un punteggio molto alto conseguito alla maturità, la voglia di divertirsi prima di iscriversi all’università e diventare “grandi”, carichi di responsabilità per il futuro.
In una città come Roma non è difficile trovare una festa a cui essere invitati, lontano dagli occhi indagatori di genitori troppo apprensivi, a detta dei figli.
E’ a quella di Fabio che la sua vita subisce una brutta sterzata: c’è anche G. tra i presenti, un capobranco, amico inseparabile del fratello di Valentina, un elemento chiave della storia.
Impregnato di ideologia fascista, gioca a fare l’intellettuale e si mostra molto interessato a lei, così carina nel suo abitino di Abercrombie, regalo della mamma.
Da parlare insieme a flirtare è un attimo, poi sono baci e mani troppo leste che scivolano sotto il vestito.
E’ violenza? No, certo che no: Valentina è sicura di poter gestire i tempi, di poter dire no nel momento in cui lo ritenga opportuno, impedendogli di fare ciò che lei non vuole.
Ma non funzione proprio così: i suoi no sono del tutti inascoltati, è stata schiacciata sul letto e niente può fermare G., sino a quando il gioco ha fine.
Peccato che lui si sia divertito mentre lei è come paralizzata, spettatrice di se stessa, incredula e come in trance: il sangue sul lenzuolo non mente, dove c’è sangue c’è violenza.
Soprattutto, però, il peggio non è passato, perché il peggio non si identifica con l’atto sessuale, ma con tutto ciò che esso trascina con sé, con un dopo che mette in crisi relazioni familiari e rapporti di amicizia, che bolla la vittima per sempre, marchiandola a fuoco.
Quello che Valentina vuole rendere noto è proprio il percorso successivo, un succedersi di giorni e di anni in cui non bastano un terapeuta, i genitori, nuove amicizie, i lavori in successione a spingere il ricordo verso il buio, perché quello è sempre in agguato, pronto ad aggredirti.
E che tu sia stata una vittima importa sempre meno, agli altri.
Un dopo difficile e travagliato
Che cosa succede, dopo? Niente, purtroppo, niente.
Se la vittima nasconde il suo dolore il mondo intorno continua a girare come prima, anche perché raccontare ai genitori è sempre tanto difficile, figuriamoci sporgere denuncia.
Valentina non è sola, ha un fratello, ma purtroppo G. lo ha attirato nel suo mondo fatto di una strisciante idolatria per l’ideologia fascista, diventando il suo migliore amico.
Raccontare a lui la violenza ottiene il risultato opposto a quello sperato: ora sì che Valentina è sola, suo fratello non le crede, appoggia il suo amico e l’idea che lei sia stata consenziente, che fossero entrambi ubriachi e intenzionati a divertirsi.
Valentina Mira ha scritto questo libro per raccontare una storia simile ad altre, quella di uno stupro che non viene creduto, ma anche per rivolgere le sue parole a un fratello che non vede da dieci anni, che le ha voltato le spalle, che con lei si rifiuta di parlare preferendo condurre la sua esistenza con gli amici di CasaPound, facendosi vivo solo per vandalizzare l’auto dei genitori.
“X” è una lunga lettera scritta per lui, perché dopo tanti anni possa dire “Sì, lo so cos’è uno stupro e so che tu lo hai subito”.
Ciò che è successo in seguito a quella sera maledetta ha cambiato molto Valentina, l’ha indotta a fare scelte complicate per la sua sopravvivenza, come decidere se denunciare o meno, se dare o no il proprio corpo in cambio di una buona opportunità di lavoro.
Non è l’atto sessuale la violenza peggiore, quanto il silenzio omertoso che segue, il tradimento che comporta, il rifiuto di chiamare le cose con il nome corretto, STUPRO.
Valentina Mira ha scritto un libro sulla violenza e sull’amore, le due linee incrociate che formano la X, nella consapevolezza che forse non servirà a restituirle l’affetto di suo fratello, ma contribuirà a ribadire con forza che si può essere vittime ma bisogna spezzare le catene del vittimismo per riprendersi l’orgoglio e cancellare la vergogna, perché gli unici coperti di vergogna sono gli stupratori e non le donne.
TITOLO : X
EDITORE : Fandango
PAGG. 190 EURO 15,00 (disponibile in versione eBook euro 9,99)