Olio di palma: da evitare per la nostra salute e per quella del pianeta
Da alcuni mesi negli spot televisivi di molti prodotti alimentari è partito il tormentone che ci dice che quel prodotto è senza olio di palma, il che significa che per anni, al contrario, lo stesso prodotto lo conteneva.
Da quando, soprattutto attraverso il web, si è cominciato a parlare dell’olio di palma come di un prodotto pericoloso per la salute, cancerogeno, e chi più ne ha più ne metta, l’industria alimentare ha drizzato le antenne e sta cercando di correre ai ripari.
L’olio di palma si divide in tre: olio di palma grezzo, olio di palmisto e olio di palma raffinato; il primo si ricava dai frutti della palma dei quali mantiene il caratteristico colore arancio rosso, dovuto all’alta concentrazione di carotenoidi, precursori della vitamina A. Assomiglia, a temperatura ambiente, allo strutto, in virtù dell’elevata quantità di acidi grassi saturi con una buona dose di antiossidanti e di vitamina E.
L’olio di palmisto si ricava, invece, dai semi della pianta; è ricco di acidi grassi saturi, ma ha un colore bianco che ricorda il burro perché privo di carotenoidi.
Olio di palma: quello raffinato è nocivo
L’olio di palma raffinato, detto anche bifrazionato, è il risultato del processo di raffinazione che consente di trasformarlo in forma liquida, durante il quale però perde tutti gli antiossidanti presenti nella forma grezza, e quindi tutta la parte migliore per la salute, mantenendo solamente gli acidi grassi saturi. E’ proprio questo tipo di olio quello più utilizzato nelle industrie alimentari per la frittura dei cibi e per la preparazione dei prodotti confezionati come biscotti, merendine, gelati, cioccolato e cioccolato spalmabile, zuppe già pronte e via dicendo.
I motivi per cui l’industria alimentare ha cominciato qualche decennio fa ad usare l’olio di palma sono diversi: in primo luogo perché è molto meno costoso di altri olii, poi perché è meno delicato in quanto possiede una forte resistenza alla temperatura e al sole e quindi più adatto per una migliore conservazione dei cibi confezionati.
Le controverse polemiche sulla sua effettiva nocività sono note e i tanti studi più o meno scientifici non hanno fino ad ora portato ad una sentenza definitiva di condanna o assoluzione dell’olio di palma; alcuni studi dicono che fa male a causa l’elevata presenza di acidi grassi saturi che innalzano il colesterolo ematico favorendo l’insorgenza di disturbi cardiovascolari; altri lo salvano per l’alto contenuto di vitamina E e carotenoidi.
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Fatto sta che i consumatori più attenti, per stare dalla parte del sicuro, hanno iniziato ad acquistare meno prodotti contenenti olio di palma e l’industria alimentare è stata rapida nell’adeguarsi, per non perdere posizioni di mercato.
In realtà l’olio di palma grezzo, per tutte le sue caratteristiche, non rappresenta un grosso rischio per la salute di cuore e arterie o per il problema di sovrappeso e obesità; purtroppo, però, quello che viene usato dalle industrie alimentari non è questo, ma quello raffinato che nel processo di lavorazione ha perso tali prerogative e risulta dannoso per la salute, come conferma uno studio italiano condotto dalle Università di Bari, Padova e Pisa, in collaborazione con la Società Italiana di Diabetologia, il quale dice che l’olio di palma è in grado di distruggere le cellule del pancreas che producono l’insulina.
Olio di palma: un danno ambientale intollerabile
Nella campagna mediatica contro l’olio di palma è scesa in campo da tempo anche la componente ambientale, WWF e Greenpeace in testa, che ne combattono la diffusione in quanto le grandi estensioni di palmeti trapiantati per produrre quest’olio a basso costo, stanno portando alla distruzione di milioni di ettari di foreste tropicali in ogni parte del globo terrestre, con danni ambientali inimmaginabili ed irreversibili, soprattutto in Indonesia, Sumatra e Malesia, da dove tutto è cominciato.
Oltre che per una questione di salute e benessere delle persone, quindi, l’embargo sull’olio di palma è anche un motivo di salvaguardia ambientale, fattore di importanza vitale per la salute del pianeta in cui viviamo e che dovremmo lasciare ai nostri figli, nipoti e pronipoti migliore di quanto sia ora, anche se ciò andasse contro la mera logica del profitto.