Salute-Ebola: l'Italia può tenere l'infezione sotto controllo

LM-final-decoupe_44E’ di pochi giorni fa, a Roma e più precisamente a Montecitorio, l’incontro organizzato per fare il punto su ebola e le grandi infezioni.
Insieme al noto virologo e premio Nobel per la Medicina Professor Luc Montagnier hanno affrontato il tema, di scottante attualità, anche l’onorevole Benedetto Fucci della Commissione Affari Sociali della Camera, per chiarire il ruolo dell’Italia in questa “emergenza ebola” che non accenna a perdere gravità, l’onorevole Melania Rizzoli, medico di Forza Italia, l’onorevole Paola Binetti del PD, medico e docente di storia della medicina, e il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo. Uno schieramento a-partitico perché “i virus non rispettano confini”, di nessun genere.
Emergenza Ebola e ruolo dell’Italia: a che punto siamo?

L’emergenza ebola, così come tutte le grandi epidemie della storia, è un problema che non può essere affrontato a livello di singoli governi e nazioni, soprattutto in quest’epoca in cui gli spostamenti di merci e persone sono sempre più frequenti.
L’Italia, propaggine estrema dell’Europa e per questo via d’accesso privilegiata di quei flussi migratori che provengono dai paesi africani, è senz’altro in prima linea nelle attività di contenimento delle infezioni all’interno delle aree in cui si verificano i primi focolai, perché è, come spiega Fucci, “tra i pochi paesi veramente adeguati a rispondere all’emergenza in termini di strutture ospedaliere, mezzi di soccorso e presa in carico dei pazienti contagiati, potendo contare su un protocollo che garantisce l’isolamento della persona colpita dal virus durante tutto il trasferimento dal paese in cui ha contratto l’infezione fino ai presidi ospedalieri di casa nostra, primo fra tutti lo Spallanzani di Roma, esempio a livello europeo.”
Oggi l’emergenza sanitaria richiede una visione d’insieme e una condivisione il più possibile allargata delle cause e delle possibilità di prevenzione come pure dei protocolli da adottare a livello internazionale, perché, come sottolinea la dottoressa Melania Rizzoli, “L’ebola non arriva nei nostri paesi sui barconi carichi di immigrati, sottoposti loro malgrado, a causa del lungo viaggio via mare, ad un isolamento forzato, ma arriva in business class, per via dei frequenti viaggi aerei di chi con l’Africa collabora o di chi ci lavora.”
Come ci tiene a concludere Fucci quindi “La cooperazione internazionale tra i paesi che possono contare su risorse in grado di limitare e tenere sotto controllo il diffondersi dell’ebola e un protocollo condiviso e ben applicato a tutti i livelli –negli aeroporti, negli ospedali..- sono senz’altro di cruciale importanza, ma la vera sfida diventa quella di poter portare nei paesi da cui partono le epidemie, gli stessi mezzi e le stesse risorse per attuare un’attività di prevenzione reale ed efficace.”
La Cooperazione internazionale: investire nei paesi in cui si sviluppano le grandi epidemie per prevenirne la diffusione.

Dello stesso parere anche l’onorevole Binetti, medico e professore ordinario di storia della medicina, che, nel sottolineare come “l’etica del servizio di medici e infermieri nei paesi in cui sorgono le epidemie virali, contagiosissime, comporta costi altissimi in termini di sacrificio personale -alcuni, pensiamo ora al medico di Emergency attualmente ricoverato allo Spallanzani pagano con la propria incolumità- e non solo: attualmente in USA, in Spagna, in Italia sono stati fatti enormi investimenti per poter curare gli operatori contagiati e rientrati nei paesi d’origine, ma gli stessi investimenti non riescono ad essere disponibili dove abbiamo migliaia di vittime, in Africa, per poter prevenire l’insorgere dei focolai migliorando le strutture ospedaliere, le condizioni igieniche e l’alimentazione delle popolazioni locali. Prima che i virus inizino a diffondersi bisogna puntare su ricerca scientifica e prevenzione nei paesi esposti”
Ebola e virus dell’HIV a confronto

Come ha  spiegato Luc Montagnier, che ha avuto un posto di primo piano nella scoperta del virus dell’HIV e da sempre impegnato nelle ricerca e nel contenimento dell’AIDS, “i virus attaccano il sistema immunitario e quando trovano organismi già debilitati per via della denutrizione e delle pessime condizioni igieniche in cui vivono alcune popolazioni, condizioni che riguardano anche l’acqua, spesso non potabile, si aprono facilmente la strada e facilmente si propagano. Le grandi epidemie sono il risultato di un deficit immunitario importante, come ho avuto modo di verificare a più riprese durante i miei studi sui pazienti affetti da HIV. E dobbiamo ricordare che, anche se se ne parla poco, dall’AIDS non si guarisce mai, la malattia si cronicizza e può essere tenuta sotto controllo per anni ma non esiste ancora un farmaco in grado di uccidere definitivamente il virus, che continua a rimanere latente nell’organismo. Le terapie retrovirali, pur efficaci nel tenere sotto controllo l’infezione, consentono solo una parziale rimessa a punto del sistema immunitario, che deve per questo motivo essere sostenuto con una terapia di supporto a base di immunostimolanti e antiossidanti: FPP Immun’Age, la papaya fermentata che io da anni consiglio in questi casi, per averla utilizzata con buon esito sui pazienti con AIDS, e il glutatione (unito a Vitamina C), potentissimo “scudo” che il nostro organismo è in grado di produrre naturalmente ma che lo stress ossidativo –altissimo nei pazienti contagiati- riduce enormemente. L’ideale sarebbe poter fornire ai pazienti dei paesi in cui si sviluppano più di frequente focali di infezioni virali che rischiano di sfuggire al controllo, questi protocolli d’integrazione per sostenerne le difese immunitarie e antiossidanti, visto che i deficit immunitari e un forte stress ossidativo livello cellulare sono direttamente coinvolti nella genesi delle infezioni virali ma anche di gravi patologie croniche e visto che al momento non abbiamo cure risolutive. Per quanto riguarda il virus dell’ebola, in un certo senso meno complesso dell’HIV, gli anticorpi sono infatti in grado di neutralizzare il virus stesso, in caso attacchino un sistema immunitario performante. Nel caso dell’HIV, invece, gli anticorpi ci aiutano a capire che il virus sta agendo, ma non lo neutralizzano, perché questo tipo di virus ha dimostrato la capacità di integrarsi a livello cellulare, continuando a replicarsi e a sopravvivere. In occasione degli ultimi studi da me svolti in quest’ambito abbiamo anche notato, grazie all’utilizzo di una diagnostica che ci consente di individuare la presenza di diversi tipi di sostanze a seguito di diluizione, che “risuonano” emettendo onde di frequenza elettromagnetica, che il virus dell’HIV resta latente nel plasma dei pazienti con AIDS, e che insieme al virus è sempre presente anche un altro fattore, di tipo batterico. Dovremo in futuro capire come e perché questo batterio agisca. E’ infatti ipotizzabile che in molte tipologie di infezioni il virus sia preesistente a livello dell’organismo rispetto al manifestarsi dell’infezione, e che sia invece proprio questo agente batterico di recente individuazione a scatenare la malattia.”
Come dire: la ricerca continua ma nel frattempo la prevenzione non può essere trascurata.

Roberta Ceudek

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