La compliance, aderenza alla terapia, è in diminuzione se un farmaco generico viene prescritto in luogo di un altro. Se il paziente è disorientato dai molti farmaci sul mercato, lo è ancora di più se deve prestare attenzione alla molecola.
Se la sostituzione di un generico con un altro generico, per esempio, interessa metà delle prescrizioni, l’aderenza alla terapia diminuisce con un valore pari al 28%.
I generici non aiutano la compliance: uno studio in merito
E’ stato posto in essere in argomento uno studio osservazionale retrospettivo condotto in 2 Asl lombarde, a Pavia e Bergamo. I dati sono stati presentati oggi, a Milano, nel corso di una conferenza stampa organizzata dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda). Ha collaborato Doc generici.
Un precedente studio, pubblicato su PlosOne nel 2013, metteva a confronto medicinali generici e branded a brevetto scaduto. In questa sede era emersa l’equivalenza clinica tra brand e generico; persistenza e compliance erano risultati superiori per il farmaco equivalente.
Farmaci generici, lo studio presentato oggi
L’analisi presentata oggi ha riguardato un campione di oltre 14.500 pazienti, per quanto concerneva 6 patologie/aree terapeutiche: diabetologia, cardiologia, dislipidemia, reumatologia, psichiatria e ipertensione. L’obiettivo era studiare gli effetti della sostituzione da parte del farmacista di un medicinale generico con un altro equivalente in termini di aderenza e persistenza al trattamento terapeutico in atto.
Un progressivo trend di riduzione della compliance a seguito di un cambio di farmaco è stato riscontrato in tutte e 6 le aree prese in esame: in media, se una prescrizione di generico su due viene sostituita con un altro equivalente, per la dislipidemia e il diabete si registra la percentuale più alta di diminuzione dell’aderenza (rispettivamente il 48% e il 36%), seguita dall’area della reumatologia (21%) e della psichiatria (19%) e dall’ipertensione (10%).
Se c’è minor aderenza, c’è anche minor efficacia e sicurezza del trattamento. Aumenta, di conseguenza, anche il rischio di complicanze e di un peggioramento delle condizioni di salute dei pazienti.
Generici e aderenza alla terapia, la parola agli esperti
Nicoletta Orthmann, referente medico-scientifico di Onda, si è espressa in questo modo: “Con piacere presentiamo i dati di questa importante ricerca che verte su un tema estremamente attuale e su cui ci giungono numerose richieste di chiarimento da parte delle donne. Lo scorso febbraio abbiamo presentato i dati di una nostra survey, condotta su un campione di 445 donne, con l’obiettivo di esplorare le modalità di approccio al farmaco generico e il grado di soddisfazione, con particolare riferimento alle conseguenze di un eventuale switch da un farmaco a un altro sulla prosecuzione della terapia. Tre donne su quattro avevano riferito che la sostituzione di un generico con un altro rappresentava un problema, che nel 19% dei casi si traduceva in una minor aderenza alla terapia (errori di assunzione, sospensione o interruzione). I risultati preliminari dello studio che presentiamo oggi costituiscono la conferma ‘evidence based’ di quanto emerso nella nostra indagine: più aumenta il numero delle sostituzioni tra generici, minore è l’aderenza al programma terapeutico in atto. Per patologie croniche, come quelle prese in considerazione della ricerca, risulta invece cruciale mantenere la continuità terapeutica, anche dopo il raggiungimento dei risultati positivi, per garantire la maggior efficacia e sicurezza del trattamento e ridurre il rischio di complicanze e di ospedalizzazione”.
Il professor Enrico Agabiti Rosei, presidente della Società europea dell’ipertensione, si è espresso in questo modo: “Lo studio presenta vari aspetti meritevoli di attenzione. Innanzitutto i dati confermano che la pratica della sostituzione di un generico con un altro farmaco equivalente è assai comune, interessando più della metà dei pazienti. Inoltre, lo ‘switch’ spesso avviene ripetutamente, con una frequenza compresa fra un cambio ogni 3 e uno ogni 5 prescrizioni, in relazione alle diverse aree terapeutiche. I risultati evidenziano anche che nei pazienti con ripetuti ‘switch’ vi è una netta caduta della aderenza e della persistenza al trattamento, e ciò richiama l’attenzione sui possibili rischi connessi a frequenti variazioni del farmaco dispensato. Infine, è utile rimarcare anche che un sicuro punto di forza dell’indagine è costituito dalla rappresentatività per quanto accade ogni giorno nella realtà del nostro Servizio sanitario, essendo basata su dati relativi agli assistiti della Regione Lombardia.”
Un farmaco generico per un altro: area Psichiatria
Il professor Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di Psichiatria e direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, ha aggiunto: “Anche nell’area della psichiatria lo studio in oggetto ha dimostrato che all’aumentare della sostituzione orizzontale tra farmaci generici diminuiscono aderenza e persistenza alla terapia. È fondamentale, come dimostrano le Linee guida Aifa del 2014, che, indipendentemente dall’antidepressivo utilizzato, il trattamento duri almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva, a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della patologia. Precedenti studi osservazionali hanno dimostrato che quasi il 50% dei pazienti in terapia sospende il trattamento nei primi 3 mesi ed il 70% nei primi 6 mesi. È quindi importante ridurre i fattori che possono influire sulla aderenza alle cure e anche quei fattori biologici che possono interferire con il buon esito clinico raggiunto. Si consiglia, pertanto, di mantenere sempre lo stesso ‘brand di generico’ con il quale si è iniziata la cura e raggiunto gli esiti positivi”.
Farmaci equivalenti da utilizzare a tutto tondo
Secondo il professor Alberico Catapano, presidente della Società europea dell’Aterosclerosi, “I farmaci bioequivalenti non presentano criticità nell’utilizzo clinico sia da parte degli specialisti che della medicina generale, dimostrandosi, in una ampia serie di studi, del tutto equivalenti ai cosiddetti ‘branded’ nella efficacia clinica, misurabile nella popolazione trattata anche attraverso studi di utilizzo ‘real life’. Essi rappresentano inoltre un’opportunità per il contenimento della spesa farmaceutica, fermo restando il concetto di libertà di scelta del cittadino. Rimangono alcune barriere ‘psicologiche’ che originano dalla non completa comprensione da parte dei professionisti sanitari (medici, farmacisti etc.) del concetto di bioequivalenza, in aggiunta alla non uniformità delle confezioni che, nel caso di persone anziane, può essere un problema e portare a discontinuità terapeutiche rilevanti”.
Ma se si crea confusione, con la conseguente diminuzione dell’aderenza alla terapia nella sostituzione di un generico con un altro, non si dovrebbe creare altrettanta confusione nella sostituzione di un farmaco di marca con un generico? Chiediamoci a chi giova questo ragionamento.