La tutela dell’ambiente e della biodiversità sta diventando sempre più un tema importante, che interessa sia i tavoli istituzionali che la vita di tutti i giorni.
L’inquinamento, la deforestazione, i cambiamenti climatici e l’aumento dei gas serra sono solo alcune delle problematiche di cui oggi si parla più frequentemente e per le quali si sente la necessità di fare qualcosa di concreto.
Tra le iniziative più sentite, volte a limitare l’impatto ambientale, c’è quella di piantare alberi.
Questo perché maggiore copertura arborea significa migliori servizi ecosistemici indispensabili per la salute umana.
Infatti, grazie ai loro processi di respirazione e fotosintesi, gli alberi aiutano a combattere il riscaldamento climatico assorbendo l’anidride carbonica e contribuiscono alla pulizia dell’aria, incamerando inquinanti come ozono, ossidi di nitrogeno e biossidi di zolfo.
I parchi mangia smog contro l’inquinamento
La classifica delle piante mangia smog è il frutto del progetto Urban Forestry, finanziato dalla Regione Piemonte e sviluppato da Ipla con il supporto del Cnr-Ibe, del Crea e la collaborazione del comune di Torino.
L’obiettivo del progetto è elaborare linee guida di gestione del verde urbano che garantiscano l’incremento dell’assorbimento della CO2 atmosferica.
Ma la ricerca, vista la particolare situazione del capoluogo piemontese, è stata estesa alla capacità di assorbimento anche dell’ozono e dei particolati Pm da parte delle più importanti specie arboree presenti nel verde urbano della città .
La valutazione è stata fatta su quattro aree: Valentino, parco Michelotti, corso San Martino e piazza Benefica, dove l’asfalto convive con spazi alberati.
I risultati?
Il Valentino assorbe all’anno 22,6 tonnellate di carbonio, 60 chili di ozono, 342 chilogrammi di Pm10, 52 di Pm2,5 e poco più di nove di Pm1.
“Il test è stato effettuato su 1.649 alberi di 69 specie arboree diverse e dimostrano come il parco sia un assorbitore di CO2 e inquinanti, ma anche un ecosistema ricco di biodiversità”, dicono i ricercatori.
Il Parco, così , è in grado di compensare le emissioni annue di carbonio di 50 utilitarie che percorrono 15 mila chilometri in 365 giorni.
E per quanto riguarda i particolati, si stima che ne assorba l’equivalente delle emissioni di 116 veicoli Euro 6.
Biodiversità e quantità di alberi, dunque, determinano la capacità di assorbimento.
Il parco Michelotti mangia ogni anno 7,227 tonnellate di anidride carbonica, 23 chili di ozono, 74 di Pm10, 10,4 di Pm2,5 e 1,8 di Pm1.
Le piante di corso San Martino catturano 4,1 tonnellate di anidride carbonica e 41,1 chili di ozono, 5,8 di Pm10 e 8 etti di Pm2,5 e solo 1 di Pm1.
Gli alberi di piazza Benefica, invece, trattengono 2,4 tonnellate di anidride carbonica, e 2,4 chili di ozono, 6,4 di Pm10 e pochi etti di Pm2,5(8) e Pm1 (1).
Inoltre si è visto che, il pino nero e l’olmo siberiano hanno la maggiore capacità di assorbimento.
Il pino nero e l’olmo siberiano sono le piante in grado di assorbire di più il carbonio.
Nel primo caso un tronco con un diametro medio di 40 centimetri si mangia 1,07 chili a metro quadro.
Il secondo con un diametro medio di 25 centimetri ne incamera 0,86.
La farnia, l’acero negundo e quello riccio e il platano hanno una capacità di assorbimento media.
Frassino, ippocastano, tiglio europeo e bagolaro hanno una capacità di cattura bassa.
Cosa succederà adesso?
Gli uffici degli enti pubblici che partecipano a Urban Forestry stanno lavorando alla messa a punto di schede albero che dovrebbero permettere di dare indicazioni per utilizzare le specie arboree più idonee a valorizzare specifici servizi ecosistemici a seconda che si tratti di aree urbane, suburbane e rurali.
Schede che serviranno per una normativa regionale per sviluppare progetti di gestione del verde e forestazione urbana per la valorizzazione dei servizi ecosistemici coerenti con gli obiettivi delle strategie per lo sviluppo sostenibile e di contrasto ai cambiamenti climatici.
Questi progetti, poi, dovranno anche essere funzionali allo sviluppo del mercato volontario del carbonio in ambito urbano/suburbano/rurale.
Alla fine di un progetto sperimentale di 5 anni sono stati certificati e commercializzati crediti per un totale di 1.994 tonnellate di anidride carbonica.
Di queste 1.912 sono state vendute a 18 € a tonnellata mentre ci sono altre quote disponibili alla vendita per i 15 anni di validità del Pfa, per complessive 8.271 tonnellate.
Il progetto “Foresta condivisa del Po” per adottare una pianta
Si chiama Foresta condivisa del Po piemontese, ed è il primo progetto unitario dell’ente di gestione delle aree protette del fiume.
Un parco fluviale di circa 200 chilometri che attraversa 53 comuni da Casalgrasso, in provincia di Cuneo, ai municipi dell’Alessandrino per poi passare da Torino e arrivare fino a Saluggia e Trino vercellese.
L’obiettivo ambizioso è di giungere a 1,5 milioni di alberi e arbusti, uno per ciascun abitante dei comuni attraversati.
E per realizzarlo l’ente Parco e la Regione hanno lanciato una raccolta fondi per adottare una pianta.
“Chiunque può diventare protagonista con il proprio apporto, non importa quanto sia grande il contributo.
Per dare vita a un nuovo albero bastano anche solo 20 €, che corrispondono a una nuova piccola pianta e ai 10 metri quadrati di terreno che la circondano e le permetteranno di crescere ed essere curata per garantirne l’attecchimento”, spiega Fabio Carosso, vicepresidente della regione.
L’appello è rivolto ai cittadini ma anche alle aziende agricole, alle imprese private, alle associazioni.
“La Foresta condivisa del Po piemontese è un progetto avviato da un paio di anni mettendo a sistema interventi realizzati anche molto tempo prima con fondi pubblici e che consiste nella piantumazione di alberi in aree demaniali o di proprietà pubblica con l’obiettivo di contribuire ad assorbire i gas serra, principali responsabili dei cambiamenti climatici”, dice Carosso.
L’obiettivo è anche il benessere della popolazione
Ma non si tratta solo di assorbire l’anidride carbonica migliorando la qualità dell’aria.
“Con la realizzazione della Foresta condivisa sarà possibile anche donare benessere alla popolazione locale, depurare le acque (fitodepurazione), mitigare l’impatto delle piene, aumentare la stabilità idrogeologica dei terreni, incrementare la biodiversità , fornire una produzione legnosa sostenibile», spiega ancora Carosso.
“È uno strumento di riqualificazione dell’ambiente del Parco naturale del Po piemontese e delle aree circostanti perché punta a ricomporre un vasto sistema di aree naturali e semi naturali, non sempre connesse tra loro ma localizzate in luoghi strategici per la fruizione”, dice Roberto Saini.
“Si possono vedere i primi risultati tangibili perché la Foresta (alberi e arbusti, nuove zone umide e aree verdi attrezzate) ha già ricoperto circa 500 ettari di territorio e ora puntiamo a farla crescere coinvolgendo altri soggetti”, spiega Carosso.
“I fondi del Pnrr possono essere un’opportunità.
È un progetto coerente con le finalità del piano nazionale di attuazione di Next Generation Ue, ma molto possono fare anche i privati”, spiega Saini.
In tanti hanno scelto la società AzzeroCO2 per le loro donazioni, altri, come il Rotary International Distretto 2031, hanno donato 7 mila € all’ente Parco che ha così messo a dimora 300 alberi tipici della pianura padana.
“Con quei soldi sull’isolone Bertolla di Torino sono spuntate 110 piante tra nocciolo, pioppo bianco, ciliegio, acero campestre, olmo ciliato, carpino bianco e frassino maggiore.
In provincia di Vercelli gli alberi e arbusti, piantati nel comune di Crescentino, in località Porzioni, sono in tutto 190, tra ciliegio a grappoli, ontano nero, biancospino, nocciolo e pallon di maggio”, conclude Maurizio Tropeano.
Alla scoperta degli alberi parlanti
Nel Parco Naturale Boschi di Carrega (PR), Blowing in the Woods coinvolge bambini e famiglie in una caccia al tesoro naturalistica da condividere sui social, tra messaggi segreti e ampolle nascoste.
A 15 km da Parma, il Parco Naturale dei Boschi di Carrega è un luogo ricco di biodiversità che ha imparato dalle favole l’arte di nascondere e rivelare segreti.
Nei suoi 1270 ettari di estensione fra il fiume Taro e il torrente Baganza, è come se gli alberi parlassero in una lingua tutta loro, che può essere compresa solo leggendo i messaggi custoditi in oltre 120 ampolle disseminate tra faggi, castagni e felci.
A quanto pare, i bambini sono gli esseri umani che meglio comprendono i pensieri della natura racchiusi nei contenitori del progetto Blowing in the Woods.
Inusuale caccia al tesoro in cui la fortuna non è sigillata in uno scrigno sotto terra ma si apre intorno agli occhi, passo dopo passo, offrendo allo sguardo il senso stesso di un’esperienza alla scoperta dell’importanza del rispetto dell’ambiente e dell’ecosostenibilità.
È questo il tema attorno al quale ruotano le frasi impresse sui fogli contenuti dalle ampolle.
Chi trova i messaggi, può aggiungere la propria firma e riporli di nuovo nella custodia, per lasciare una traccia di sé e del passaggio, senza dimenticare di scattare una foto e condividerla sui social con l’hashtag #blowinginthewoods.
Anche se i Boschi di Carrega accolgono le indagini solitarie di piccoli avventurieri e baby esploratrici, con genitori al seguito, è comunque possibile prendere parte alle iniziative di ricerca organizzate da BenNature Trekking e alle passeggiate per famiglie in compagnia degli asinelli di Asini nel Cuore.