Natale a tavola: le tradizioni gastronomiche italiane da Nord a Sud
Il Natale è festa grande, la più lunga dell’anno, e il convivio non può che esserne la massima rappresentazione. La tavola di Natale c’è chi la pratica alla sera della vigilia, chi al mezzogiorno successivo, e c’è chi approfitta di entrambe. In ogni caso, come cita Goethe dal suo viaggio in Italia (1787): “…specialmente le feste di Natale sono giorni famosi per le scorpacciate. Sono giorni di cuccagna universale”. Insomma se è vero che a tavola non si invecchia, trascorrere il Natale a tavola ci fa addirittura tornare bambini.
All’inzio era il pane
Il gran “convivio” di Natale, dedicato originariamente alle cerimonie propiziatorie dell’anno in arrivo, impone per antica tradizione, l’impiego del pane e della carne, cibi nei quali si manifesta la presenza del binomio eucaristico. Il pane è simbolo della vita eterna e della fertilità della terra. Diceva Gesù: “…io sono il pane della vita chi viene da me non avrà più fame”. Bethleme, ove il bambino nacque, vuol dire in ebraico “casa del pane”. Il pane, in occasione di questa festa, doveva essere speciale per sostanza. Più ricco, più grande e più alto, con il quale potersi nutrire fino all’Epifania. Natale a tavola, insieme al pane vedeva principalmente la carne: alimento che rappresentava l’abbondanza, cucinata nelle diverse ricette regionali sia nei “primi” che nei “secondi”. Altra protagonista indispensabile della festa era la minestra col brodo di carne, dove “nuotavano” scrigni di pasta ripiena, anch’essi sinonimo di ricchezza, perché utilizzavano la carne come farcia.
Il cappone era il piatto centrale, ma il simbolo più festoso della tradizione era rappresentato dai dolci, ai quali la collocazione al termine del convivio, affidava l’onore della gloria finale. Anticamente era il miele a costituire “l’offerta dolce” per eccellenza, perché si riteneva propiziasse la “dolcezza” del nuovo anno.
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Dagli agnolotti allo zelten, passando per il capitone e i tortellini: le tradizioni e i piatti della cucina italiana a Natale sono tantissimi e molto diversi lungo tutta la Penisola. A cominciare da quando si mangia: al Centro e al Sud, infatti, si festeggia con il “Cenone della Vigilia”, mentre al Nord è d’obbligo il pranzo del 25. Comunque, da qualche decennio, la maggior parte degli italiani bissa l’appuntamento con la tavola di Natale.
E ci sono anche regole precise per quanto riguarda il che cosa mangiare: il 24 sera è opportuno preparare una cena di “magro”, solitamente a base di pesce, mentre a Natale si può dare libero sfogo alla fantasia (e via libera anche alla carne). Tratti comuni non mancano: dalla frutta secca ai panettoni.
Natale a tavola al Nord
Una delle specialità valdostane che si mangia per la festa di Natale è la carbonade, carne di manzo cotta nel vino rosso; vanno poi molto anche i crostini al miele, da condire con salumi di capra o pecora essiccate e aromatizzate.
In Piemonte non è Natale senza gli agnolotti e il gran bollito misto, condito con le salsine tra cui il bagnet rosso e verde. Ravioli, verdi o di carne, e cappone magro, piatto di verdure e pesce, troneggiano invece sulle tavole liguri: e se in Lombardia, a sorpresa, uno dei piatti più tradizionali è l’anguilla cotta al cartoccio, in Veneto si mangia la polenta con il baccalà e il lesso con le salse.
In Friuli si va di brovada e muset, una zuppa di rape e cotechino, con la polenta, e poi trippa con sugo e formaggio e il cappone. E in Trentino-Alto Adige campeggiano piatti di canederli, capriolo o capretto al forno e per chiudere lo strudel o lo zelten, a base di frutta secca e canditi.
Tortellini e passatelli, rigorosamente in brodo, tagliatelle e lasagne, ma anche tortelli di zucca e alle erbette, e prosciutto culatello: è l’Emilia Romagna, patria della buona cucina soprattutto a base di carne. Anche se ci sono delle eccezioni: come Modena, dove si mangia pesce, soprattutto conservato. Lì si gustano gli spaghetti con tonno, sgombro, acciughe e pomodoro, ma anche il baccalà in umido o fritto.
Natale a tavola in Centro
E il baccalà è protagonista anche nelle tavole della vigilia nel Lazio, dove abbonda anche il fritto misto di verdure e il capitone. A Roma, alla Viglia, non può mancare la minestra di pesce o la pasta e broccoli in brodo di arzilla. Ci sono anche gli spaghetti con le alici, l’anguilla fritta o in carpione e l’insalata di puntarelle. E per finire: il torrone e il pampepato, con tanta frutta secca da sgranocchiare. A Natale, invece, si fa l’abbacchio al forno con le patate e i cappelletti in brodo, ma anche il bollito o il tacchino.
In Molise si mangia la zuppa di cardi, il brodetto alla termolese, a base di pesce, e il baccalà arracanato, fatto con mollica di pane, aglio, alloro, origano, uvetta, pinoli e noci, o quello al forno con verza, prezzemolo, mollica, uva passa e noci.
I toscani gustano i crostini di fegatini, ma anche e i fegatelli o il cappone ripieno. Si cuoce anche il bardiccio, una salsiccia di maiale speziata al finocchio. Nelle Marche sono tradizionali i maccheroncini di Campofilone, ma anche i cappelletti in brodo, come pure in Umbria dove talvolta sono ripieni di cappone e piccione. Agnello arrosto e bollito di manzo, ma anche le lasagne e le zuppe sono protagonisti in Abruzzo. Tipici della zona di Teramo sono i caggionetti, ravioli dolci fritti ripieni di mandorle e purè di castagne.
Natale a tavola al Sud e sulle Isole
Brodo di cappone, spaghetti alle vongole, friselle, cappone imbottito con insalata di rinforzo e poi struffoli, roccoccò e frutta secca: è la Campania, che si presenta in grande per le feste di Natale. Per la Vigilia molti mangiano il capitone, la femmina dell’anguilla. Il perché è presto spiegato: essendo molto simile a un serpente, il capitone simboleggerebbe la vittoria degli uomini su Satana, che assunse proprio la forma di questo animale per tentare Eva.
Pesce, carne e verdure non mancano nemmeno in Basilicata, Calabria e Puglia. Nella prima, per le feste si mangia la minestra di scarole, verze e cardi in brodo di tacchino, e poi baccalà lesso e pane con le mandorle. Come dolce si preparano le scarpedde, sfoglie di pasta fritte e condite con il miele. La Calabria sfoggia salumi, dalla pancetta al capicollo, dalla soppressata alla salsiccia, e poi spaghetti con mollica di pane e alici e capretto o pesce stocco accompagnati con broccoli calabresi saltati.
Dall’altra parte dello Stivale si fanno invece le cime di rapa e le pettole (o pittule), che sono frittelle di pasta lievitata che si farciscono con pomodori, capperi, origano e alici, ma anche gamberi sgusciati, cime di rapa e ricotta. Si mangia poi anche l’anguilla arrostita e il baccalà fritto e poi l’agnello al forno con lampascioni, che sono delle cipolline leggermente amare. Infine, i dolci: turdilli o cannaricoli e la pitta ‘mpigliata.
In Sardegna si possono assaporare i culurgiones de casu, che sono ravioli ripieni con sugo di pomodoro, e poi gli immancabili malloreddus, gnocchetti di semola al sugo di salsiccia. Insalata di arance, aringa e cipolla, cardi in pastella, gallina in brodo, pasta con le sarde e beccafico imperano invece in Sicilia. Si fa anche lo sfincione, una pizza tipica a base di cipolla, che si abbina ai cardi in pastella e alla gallina in brodo. Tanti i dolci: dai buccellati alle cassate ai cannoli.
Natale a tavola è gioco, ma soprattutto premio
Nei tempi antichi molti erano anche i giochi gastronomici collegati al Natale. Dopo la cena della vigilia, i presenti in casa facevano il gioco della ventura, (tombola primitiva di usanza secolare). Entro un recipiente chiuso, venivano messi tanti marroni cotti, quanti erano i membri della famiglia, più uno. In una delle castagne veniva introdotto un fuscello e in un’altra una moneta. Si cominciava poi l’estrazione fatta dal minore d’età. Il primo marrone estratto era assegnato ai poveri, gli altri per ordine d’anzianità. Chi otteneva il marrone col fuscello, riceveva in dono un pollo, chi veniva in possesso di quello con la moneta, se la teneva. Nel caso che uno di questi marroni privilegiati fosse assegnato ai poveri, il dono era inviato alla persona più bisognosa conosciuta dalla famiglia.
Nel mezzogiorno si faceva il “gioco delle nocciole”, che consisteva nello spingere le “palline” dentro un’apposita fessura. Vinceva un premio gastronomico, carne affumicata o frutta, chi riusciva nell’impresa dalla maggiore distanza. Durante le festività natalizie, a qualunque gioco si giocasse, il premio era sempre inteso come “viatico” di buona fortuna.