Cooperazione internazionale allo sviluppo può suonare come l’ennesima sigla coniata con quel “burocratese” che la rende fredda e sterile.
Tuttavia, vi siete mai chiesti come sarebbe stata la vostra vita se foste nati dall’altra parte del mondo?
Secondo le stime odierne, molto probabilmente la vostra vita avrebbe fatto rima con povertà, guerre, fame e innumerevoli altre difficoltà. Possiamo ritenerci fortunati, quindi, di far parte della fetta di popolazione mondiale che può vantare un discreto benessere.
La cooperazione internazionale allo sviluppo, infatti, nasce per questo motivo: garantire quel benessere, almeno in minima parte, alle persone nel mondo che sono meno fortunate di noi.
Non fraintendiamoci, la vocazione spirituale degli aiuti umanitari non è sempre pura come il passo biblico “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Di mezzo ci sono spesso interessi economici. Tuttavia, a prescindere da ciò che muove questi aiuti, è indiscutibile che siano essenziali. A maggior ragione se teniamo presente che, in un mondo in cui la globalizzazione detta legge, le nostre vite sono davvero collegate.
Un modello di cooperazione internazionale: la COOPI
COOPI è un’organizzazione umanitaria italiana, laica e indipendente, fondata a Milano il 15 aprile 1965.
Padre Barbieri, il fondatore, ebbe l’idea di formare dei volontari pronti a partire in missioni umanitarie per il Sud del mondo.
La “ONG del fare“, appellativo che evidenzia il pragmatismo d’intervento dell’organizzazione, oggi è presente in 33 paesi di Africa, Medio Oriente, America Latina e Caraibi.
In 60 anni COOPI ha aiutato più di 110 milioni di persone, con 2.519 progetti in 73 Paesi, impiegando 5.000 operatori espatriati e più di 65.000 operatori locali.
Infatti, il loro sogno è un mondo in cui non esista più la povertà, nel quale gli ideali di giustizia e uguaglianza siano rispettati. La cooperazione e l’incontro tra le persone, in questo contesto, divengono le chiavi per lo sviluppo sostenibile e per una rinnovata coesione sociale.
Del resto, operare in contesti caratterizzati da povertà estrema e fragilità socio-politica, significa saper intervenire in situazioni di emergenza garantendo, allo stesso tempo, riabilitazione e sviluppo duraturi per le comunità.
I principali settori nei quali opera COOPI riguardano: la salvaguardia dell’ambiente, l’aiuto nel fronteggiare eventi naturali estremi, la sicurezza alimentare e nutrizionale, l’approvvigionamento di acqua, dei percorsi educativi in zone colpite da emergenze di varia natura.
Il futuro “prossimo”: una tavola rotonda per la cooperazione internazionale
Il 29 ottobre 2022, a Milano, si è conclusa, con una tavola rotonda aperta al pubblico, l’undicesima edizione del COOPI Meeting.
Infatti, nei giorni precedenti, più di 100 cooperanti da 26 Paesi del mondo, hanno fatto il punto della situazione e discusso di esperienze e prospettive riguardanti la fame nel mondo, il post-pandemia, la povertà e crisi legate a conflitti e cambiamenti climatici.

“Questi meeting sono utili per capire se il nostro approccio cooperativo sia adatto alle nuove sfide odierne. Il progresso e lo sviluppo del mondo alimentano le disuguaglianze, è nostro dovere intervenire unendo le forze, non come singola ONG”, spiega Claudio Ceravolo, Presidente COOPI, agenzia per la Cooperazione Internazionale.
Inoltre, lo stesso Ceravolo, è intervenuto con una considerazione riguardante il titolo dell’evento: il futuro “prossimo”.
“Con la parola prossimo evidenziamo non solo il significato temporale del termine, ovvero un futuro sempre più vicino. Vogliamo sottolineare anche la valenza evangelica-spirituale della parola, ovvero di un futuro a noi vicino e affine, che si fa prossimo”, spiega il Presidente.

Elio Silva, caporedattore de Il Sole 24 Ore e moderatore dell’incontro, ha aggiunto ulteriori riflessioni sul lemma preso in esame.
“La parola prossimo, oltre al futuro, richiama anche il passato prossimo. Lo sguardo verso l’orizzonte deve tenere in considerazione anche l’esperienza del passato. Inoltre, il termine prossimo deriva dal latino proximus che, tra i vari significati, ha anche quello di a portata di mano, in senso pratico”, continua Silva.
La cooperazione allo sviluppo sostenibile non dev’essere, quindi, un’utopia, ma qualcosa di pratico, tangibile e attuabile.
La sicurezza alimentare e la ricostruzione delle filiere
Il World Food Programme (WFP) ha stimato che almeno 828 milioni di persone nel mondo, ogni sera si addormentino affamate. Di queste due terzi si trovano in Asia, mentre l’Africa è il secondo continente a soffrire di più la fame.
Dal pre-covid , le persone che soffrono di insicurezza alimentare, ovvero non aventi accesso a scorte di cibo sano, sono aumentate di 150 milioni, quasi 3 volte la popolazione del nostro Paese.

“Crisi nuove e imprevedibili ci costringono a cambiare metodo. Dobbiamo continuare a ragionare sul lungo periodo e, al contempo, potenziare i nostri interventi nel breve termine per reagire alle emergenze“, spiega Stefano Corsi, docente di Economia agraria presso l’Università degli Studi di Milano.
“Il Covid ha generato un brusco shock del sistema, riducendo i posti di lavoro, rendendo più difficile il trasporto merci e persone, bloccando le filiere”, continua Corsi.
La pandemia, infatti, ha causato una perdita di reddito pro capite, ma nel mondo il riverbero non è stato uguale ovunque. Nei paesi più ricchi una minor disponibilità economica si è tradotta nel non cambiare il televisore, nel comprare un paio in meno di scarpe. Nei paesi più poveri, invece, il risultato è stato vedere ancora più difficile l’accesso a cibo sano.
Ma cosa si intende con cibo sano? È quello che costituisce una dieta variegata durante i pasti giornalieri e annui, in grado di offrire i macro e micro nutrienti necessari alla salute. Per questo motivo, la sicurezza alimentare è un fatto sia di quantità che di qualità.
“In molti paesi poco sviluppati il consumo di carboidrati si avvicina al 50% della dieta, poichè manca un approvvigionamento costante di cibi che permettano l’assunzione di proteine“, spiega Corsi.
Ecco perchè, Africa Orientale e Medio Oriente, grandi consumatori di cereali, risentono molto delle oscillazioni di prezzo di mercato degli stessi. Specialmente in questi mesi, considerando la grande esportazione da parte dell’Ucraina, dilaniata dall’attuale conflitto, c’è meno disponibilità di prodotto e, quindi, lo si compra a prezzi più alti.
La situazione africana
Come spiegato sopra, l’eccessiva dipendenza dai mercati espone a grossi rischi.
“Questi Paesi dovrebbero uscire dal giogo della dipendenza dall’importazione. Dobbiamo dare il nostro contributo affinchè possano realizzare sistemi autosostenibili di produzione. Solo così potranno resistere alle oscillazioni inevitabili di un modo così globalizzato”, aggiunge Corsi.
Per fare ciò, c’è bisogno di:
- Aumentare la produttività, lavorando sui fattori produttivi interni del Paese stesso.
- Ricostruire le filiere, o intervenire laddove non esistono affatto passaggi contigui che possano trasformare la materia prima, in cibo nei piatti. “L’Occidente ha esportato in Africa dei modelli agricoli, e non solo, che necessitano di strutture economiche, sociali e strutturali affinchè possano funzionare. Senza questi, non si va da nessuna parte. Senza un sistema solido, non è raro che un trattore venga abbandonato solamente perchè manca un pezzo di ricambio, bloccando tutto il resto”, continua Corsi.
Disuguaglianza e povertà relativa
Come affermato in precedenza, lo sviluppo, a livello globale, sta accrescendo anche la disuguaglianza in vari settori.

Marco Zupi, direttore scientifico del Centro Studi di Politica Internazionale di Roma ( CeSPI), è intervenuto per delinearne alcuni.
“Stiamo assistendo all’aumento delle disuguaglianze economico-finanziarie, socio-relazionali ( si pensi alla marginalizzazione di alcuni gruppi etnici), territoriali ( collegamenti inadatti con i centri urbani sviluppati), di genere, intergenerazionali ( sensibilità diversa sulle tematiche di attualità in base all’età di chi esprime un pensiero)”, spiega Zupi.
Pur essendo due facce della stessa medaglia, disuguaglianza e povertà vanno spesso di pari passo.
“È opportuno pensare al fatto che la povertà sia da intendere in due modi: interna agli Stati e tra di essi. Solo prendendo in considerazione entrambi questi aspetti avremo un’immagine tridimensionale del problema“, continua Zupi.
Tuttavia, per avere un quadro migliore della questione, bisogna introdurre anche il concetto di povertà relativa.
“Pur avendo a disposizione del cibo e un tetto sotto al quale dormire, al giorno d’oggi non avere un telefono, o strumenti per avere accesso a internet e all’informazione, sono considerabili criteri di povertà relativa“, afferma Zupi.
Basti pensare che 3 miliardi di persone al mondo vivono con meno di 7 dollari al giorno, e molte di queste si trovano in Asia, più precisamente in India e in Cina. Per Zupi “Metà del mondo si può considerare povera in termini relativi“.
Questi Paesi hanno investito per alzare la soglia di benessere minima della propria popolazione, ma la pandemia ha riportato tutto allo stato precedente. “Quello che sembrava un successo era in realtà un traguardo troppo fragile“, continua Zupi.
Inoltre, lui stesso, si dice preoccupato riguardo a un’ulteriore questione. “La Cina sta trainando gli altri Paesi asiatici sopra ad una soglia minima di benessere, ma non è uno Stato che punta su progetti di sviluppo sostenibile“, conclude Zupi.
Poli-crisi, cooperazioni e i 3 valori europei

“Quelli odierni sono decenni caratterizzati dalle poli-crisi“, commenta Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di ActionAid Italia. Con poli-crisi si intendono delle crisi globali a ricomposizione sinergica, ovvero eventi che, sommandosi, aumentano l’intensità e il loro raggio di impatto, intaccando vari settori contemporaneamente.
“L’arma che abbiamo per difenderci dalle poli-crisi sono le cooperazioni“, continua De Fraia.
Non è un caso che la parola in questione, ovvero cooperazioni, sia espressa al plurale.
“Non esiste un organo centrale per la cooperazione allo sviluppo a livello mondiale. Nemmeno le Nazioni Unite (ONU) sono in grado di fornire un piano d’intervento unitario e coeso. Per questo motivo le cooperazioni dei vari Stati, dotate di presidi internazionali, devono collaborare“, spiega De Fraia.
Il segretario generale di ActionAid Italia conclude il suo intervento affermando che vi sia una crisi interna al sistema di aiuti. Sarebbe necessario, quindi, ripartire dalla riflessione sugli strumenti stessi per fornire aiuto all’estero; interrogarsi se siano adatti per sopperire alle sfide mondiali odierne.

Affinchè ciò sia possibile, la società ha il diritto e il dovere di proporre soluzioni alla classe politica, ricoprendo un ruolo proattivo.
Interviene, infine, Roberto Ridolfi, Presidente di LINK2007, Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
“Sono 3 i valori che dovrebbero guidare l’Europa in questi aiuti umanitari: il coraggio della solidarietà, la creatività ( per rispondere a sfide odierne con l’esperienza del passato), e infine entusiasmo, per non fermarsi davanti alle difficoltà”, conclude Ridolfi.
Foto di Dazzle Jam: https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-in-scala-di-grigi-di-little-boy-1029783/