Donato Carrisi ha compiuto il suo personalissimo salto nel vuoto, senza alcuna rete che potesse attutire una possibile eventuale caduta: da scrittore molto amato, con una schiera di lettori devoti alla sua indole poliziesca, si è trasformato in sceneggiatore e regista, privilegiando le immagini alle parole.
E’ nato così il film “La ragazza nella nebbia”, che nel titolo richiama pari pari l’omonimo romanzo, scritto dallo stesso Carrisi un paio d’anni orsono.
Quello da lui percorso non è un cammino facile, per quanto possa all’apparenza essere visto come una semplice trasposizione da un codice espressivo ad un altro: una sceneggiatura relega ad un ruolo secondario, se non addirittura nullo, le pagine di introspezione psicologica, di riflessione, di analisi e di autoanalisi che normalmente catturano l’attenzione e si rivelano empatiche all’atto del leggere.
Il linguaggio cinematografico non ammette inutili lentezze, incalza lo spettatore attraverso la visione di immagini in rapida successione, gli chiede un’attenzione diversa, spesso gli offre l’oggetto di fruizione già definito e strutturato, senza indurlo ad un processo di personale interpretazione.
In questa diversità va ricercato uno dei sentimenti più diffusi tra chi, letto un libro, si approccia alla visione del film da esso tratto: un senso di delusione, la convinzione che per quanto bello il film appaia orfano di quel certo “quid” che il lettore ha trovato nelle pagine scritte.
Probabilmente consapevole di questo rischio Donato Carrisi se n’è assunto oneri ed onori, non cedendo ad altri un diritto di interpretazione ma diventando egli stesso l’adattatore prima e il regista poi della sua storia, quella di Anna Lou, una sedicenne apparentemente anonima che scompare improvvisamente nella nebbia.
Nebbia reale e nebbia metaforica nella vicenda di Donato Carrisi
Un piccolo paesino situato in una valle alpina, Avechot, è il luogo prescelto dallo scrittore per fare da sfondo alla sua storia, seguendo per altro un cliché abbastanza diffuso, perché la montagna è di per sé un luogo affascinante e misterioso, capace di custodire per anni, talora per millenni, segreti inconfessabili, celati tra la neve ed il ghiaccio.
In questi luoghi anche la nebbia è diversa, è fredda e gelida, tagliente come una lama, così subdola da penetrare nelle ossa e non volersene andare più: chi si smarrisce in essa perde anche se stesso, le proprie certezze e sicurezze, tanto realmente quanto metaforicamente.
E’ quanto accade all’agente Vogel, un detective fuori dagli schemi ( è ormai quasi impossibile trovare, nella pagine dei giallisti contemporanei, un investigatore che rientri nei canoni della normalità, capace di infondere un senso di pacatezza e di squisita intelligenza come accadeva, per esemplificare, con un Sherlock Holmes o un Maigret), il quale sta indagando sulla scomparsa della ragazza da settimane, prima di ritrovarsi vittima di un incidente automobilistico che lo lascia in stato confusionale.
Al suo fianco trova il dottor Flores, psichiatra e medico di Avechot, il quale molto raramente ha dovuto farsi carico di situazioni così critiche e di certo mai in piena notte, quando la nebbia sembra indurre anche i criminali a ritirarsi in casa.
Dall’incontro tra i due uomini prende le mosse la storia, che muove i suoi passi in direzione di Anna Lou, perché questo è all’apparenza il motivo principale delle scelte fatte, il ritrovamento della ragazzina e la consegna del responsabile alla giustizia.
Sotto questa patina di verità e giustizia si nasconde in realtà altro, perché Vogel è un cinico ed ambizioso agente, il prodotto di una società che ha spettacolarizzato tutto, trasformando l’informazione in uno show dove tutti si sentono protagonisti e non desiderano altro che avere i riflettori puntati su di sé.
Per questo motivo egli palesa quanto prima un atteggiamento che lo rende persino sgradevole al lettore, che riconosce in lui la volontà di sacrificare tutto e tutti sull’altare della notorietà, anche una ragazzina la cui unica colpa è stata quella di scomparire, anche il suo professore Loris Martini, da poco residente ad Avechot, che si trasforma da un giorno all’altro in un mostro, senza via di scampo.
Attraverso un gioco di rimandi temporali, sostanzialmente costruito sul ritmo dell’analessi, Donato Carrisi ricostruisce la vicenda nei suoi aspetti principali, segue le strade che portano all’individuazione errata del presunto colpevole, spiega e analizza le pieghe contorte della personalità di Vogel, che finisce con l’essere l’indubbio protagonista del romanzo (nella versione cinematografica il suo ruolo è affidato al grandissimo Toni Servillo), regala un finale inatteso ed una soluzione, non sempre del tutto appagante, ai tanti dubbi sollevati nel corso della narrazione.
Il gioco al massacro dei media nell’interpretazione di Donato Carrisi
Quello che più colpisce in questa vicenda, e che il romanzo ha saputo sottolineare con la dovuta insistenza, è il ruolo che i media hanno assunto nella quotidianità, trasformando il dolore personale in una tragedia collettiva, strumentalizzando cinicamente le vittime per fare audience, condannando senza processo e senza possibilità di appello chi potrebbe essere, ma non vi è alcuna certezza che lo sia, il colpevole.
Vogel non ha scrupoli, ha trasformato il suo metodo di indagine per piegarlo alle esigenze dei media, è convinto che sia il Male a dominare la storia e ad avere il diritto alla visibilità, riduce le vittime ad elementi secondari nel corso delle sue indagini, perché queste ultime non hanno presa sui sentimenti del pubblico.
Anche una tragedia diventa per lui spunto per una specie di Grande Fratello investigativo, ove gli occhi di milioni di persone sono puntati sugli stessi individui, scorticati e analizzati come cavie su un tavolo anatomico.
Donato Carrisi ci ricorda che a determinare il Male è spesso la banalità, non servono profonde motivazioni a cui si possa contrapporre una risoluzione catartica, perché sono le piccole cose su cui i nostri occhi si posano con indifferenza a dover invece essere analizzate in profondità.
La banalità del Male condiziona la vita dell’uomo, Vogel si muove con disinvoltura in un simile pantano sino a quando anche lui dovrà fare i conti con la sua nebbia interiore, che ha ormai avvolto in una fitta cortina i sentimenti positivi.
Se il pubblico vuole un colpevole questo avrà, che sia reale o costruito ad hoc su pochi indizi, l’adesione al vero diventa un elemento opzionale, l’inversione dei ruoli è costante, in un contesto dove verità e finzione si sovrappongono e si scambiano lasciando come unico risultato il dubbio.
Il romanzo di Donato Carrisi può essere letto come un grido di allarme nei confronti di ciò che siamo diventati, manipolati dai media, da sedicenti giornalisti, da salotti televisivi e da talk show improponibili: la sfida è quella di tornare a recuperare la nostra capacità di discernimento, di attesa silenziosa della risoluzione delle tragedie annunciate, di rispetto verso chi sta vivendo una sofferenza reale e non una fiction.
La storia di Anna Lou ci ricorda anche e soprattutto questo: è la giustizia a dover fare ascolti, non la sua degenerazione, sono i veri responsabili a dover essere identificati come tali, non i “mostri da prima pagina” che sembrano soddisfare le nostre aspettative.
Se una ragazza scomparsa nella nebbia è riuscita a portarci a queste riflessioni e a questa consapevolezza,non possiamo far altro che ringraziare Donato Carrisi, sia come scrittore che come regista, per il ruolo che ha avuto.
AUTORE : Donato Carrisi
TITOLO : La ragazza nella nebbia
EDITORE : Longanesi
PAGG. 378, EURO 18,60