Ian McEwan, la giustizia sopra ogni cosa
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Ian McEwan, la giustizia sopra ogni cosa

08/12/2018
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Ci sono romanzi che lasciano un segno indelebile all’atto della loro lettura e ci sono film al termine dei quali gli spettatori si sentono arricchiti da un messaggio, dal modo di agire di un personaggio, da una scelta da lui stesso operata.

E poi ci sono, rari a dir la verità, connubi pienamente riusciti tra una narrazione scritta ed un racconto per immagini, capaci di far scattare emozioni e riflessioni legate tanto all’operato dello scrittore quanto a quello del regista.

Ian Mc Ewan è lo scrittore britannico che è riuscito in questa non facile impresa, partendo da un suo romanzo, “La ballata di Adam Henry”, per arrivare al film “The children act- il verdetto”.

La riuscita trasposizione ha tratto giovamento anche dal fatto che lo stesso Ian McEwan ne ha scritto la sceneggiatura, poi affidata alla bravura del regista Richard Eyre e dell’attrice Emma Thompson, in una superba interpretazione.

I dilemmi etici nelle pagine di Ian McEwan

Il titolo originale del romanzo, “The children act”, fa riferimento ad una legge del Parlamento inglese  in cui vengono definite le funzioni attribuite agli enti locali, ai tribunali, ai genitori e alle agenzie del Regno Unito, al fine di garantire e promuovere il benessere dei minori.

Presso l’Alta Corte britannica esiste una Sezione Famiglia espressamente operante nel campo delle difficili relazioni familiari, volta alla ricerca, ad esempio,  della soluzione migliore per figli minorenni durante una separazione, oppure impegnata a risolvere problemi di carattere etico che non hanno trovato una diversa soluzione.

In questo contesto lavora il giudice Fiona Maye, a cui lo scrittore affida il difficilissimo compito di decidere in merito alla vita o alla morte di un ragazzo diciassettenne malato di leucemia, Adam Henry (da cui il titolo della traduzione italiana).

Ian McEwan è scrittore i cui romanzi trattano temi complessi e insoliti nella vita quotidiana, ma che in realtà, se ben analizzati, appartengono a ciascuno di noi.

Ci auguriamo spesso di non dover scendere nei meandri della morale acquisita per dover prendere decisioni relative a noi stessi o a chi ci è più vicino, ma nella realtà queste situazioni risultano essere molto più frequenti di quanto si possa immaginare.

La penna di Ian McEwan dà voce ai sentimenti più articolati con estrema lucidità, riuscendo a mantenere una posizione esterna ai fatti unita a momenti in cui l’animo dei personaggi viene scandagliato in profondità, portando alla luce verità mai confessate.

“La ballata di Adam Henry” non si sottrae a questo carattere specifico: è il giudice Maye a dover operare una difficile scelta, dal momento che Adam Henry, non ancora maggiorenne, come i suoi genitori abbraccia la fede propria dei Testimoni di Geova, rifiutando una trasfusione che potrebbe salvargli la vita.

A cosa bisogna assegnare il peso maggiore? A una richiesta dei medici che ritengono fondamentale per il ragazzo la trasfusione per regalargli un prolungamento della sua giovane vita, oppure a un credo religioso che non permette ai propri seguaci di avere sangue altrui nelle proprie vene?

Adam è fermamente convinto della bontà di questo principio, che trova la propria ragion d’essere in passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, sostenuto anche dai suoi genitori, ma il Giudice Maye, sulle cui spalle poggia tutto il peso della responsabilità della scelta, non vuole che persegua la propria distruzione, decidendo diversamente.

Ian McEwan  ci pone davanti a questo percorso antitetico dei due protagonisti che poggia sul  contrasto tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che si può o si deve accettare.

E’ un dilemma  etico che ci accomuna tutti, che trova nella semplicità della vita quotidiana, e non solo in un’aula dell’Alta Corte britannica, il modo di turbare profondamente chi lo vive. Eppure, sembra dirci lo scrittore, funziona davvero così, il distacco emotivo diventa difficile in simili situazioni e l’unico modo per affrontarle è sentire dentro di noi il senso della giustizia.

Attraverso uno stile asciutto, che poco concede al superfluo ma indugia su tutti i particolari che contribuiscono a creare un personaggio ( ne è un esempio la descrizione dell’appartamento del giudice che apre la narrazione), Ian McEwan demanda a Fiona Maye il difficile compito di non scordare mai che dietro ad ogni atto processuale ci sono delle persone, che meritano attenzione e gentilezza, “l’ingrediente umano essenziale”.

Spinta da questa convinzione, la donna decide di contravvenire alle regole e di recarsi in ospedale per conoscere Adam Henry, per cercare qualcosa che vada al di là di un semplice nome e cognome.

Non è più il Giudice, ma la donna che ha dedicato tutta se stessa al lavoro, a farsi coinvolgere profondamente dalla sua sorte, cercando forse in lui il figlio mai avuto, incapace di sottrarsi all’empatia che si crea tra loro.

La sua decisione determina un temporaneo miglioramento del ragazzo, ma scatena anche una dinamica relazionale tale per cui Adam comincia a mettere in crisi il suo sistema di precetti religiosi, entra in conflitto con la sua famiglia e cerca un appoggio in Fiona, tentando senza successo di affidarsi completamente a lei.

Nei pochi mesi che lo separano dai diciotto anni il ragazzo è ancora soggetto al Children Act, ma in seguito diventa padrone di se stesso e delle sue decisioni, non più suscettibili di restrizioni da parte dei genitori e della legge, che egli persegue con lucidità e rassegnazione.

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Ian McEwan e la commistione tra la sfera del privato e quella del pubblico

Se nelle aule di tribunale la protagonista sembra essere padrona del suo essere, non altrettanto si può dire seguendola tra le mura domestiche: prossima a compiere sessant’anni, con una posizione sociale invidiabile, vive un profondo stato di malessere nella sua vita matrimoniale, diventata, a detta del marito, una convivenza tra fratello e sorella.

A lui però la quiete che contraddistingue il loro tempo non basta più, vuole rivivere emozioni forti, sentirsi ancora coinvolto da una donna anche a livello sessuale, tutto questo senza però mentire alla moglie, cercando addirittura la sua approvazione.

Nel lussuoso appartamento curato sin nei minimi particolari Fiona e Jack vivono un momento di crisi profonda, non si riconoscono più nei loro ruoli e combattono furiosamente tra loro nel tentativo di sentirsi ciascuno dalla parte del giusto e dell’eticamente corretto.

Ian McEwan mette in luce l’ipocrisia del quotidiano, quella che nasconde la polvere sotto i tappeti fingendo poi che non esista, mantenendo inalterata una superficie di apparente benessere e armonia, di illusoria sicurezza.

La crisi di Jack non ha corrispondente in Fiona, ma la rende emotivamente fragile, scardinando le sue certezze e mettendo in crisi il suo concetto di giusto e sbagliato.

L’incontro con Adam e tutto ciò che ne consegue la porta così ad abbandonare la sua razionalità e a fare scelte di cuore, come quella di incentivarlo affinchè continui a scrivere versi, come le ha confidato di fare.

Ian McEwan porta i suoi protagonisti verso un finale solo apparentemente scontato, perché ciò che appare inevitabile non è frutto del caso, ma di una scelta consapevole, una di quelle necessarie quando ci si trova di fronte a un bivio dell’esistenza.

Giusta o sbagliata che sia, è la nostra scelta e come tale va rispettata, così come lo sono quella di Fiona e di Adam, il cui intenso legame non può far altro che rendere migliore il tempo della loro esistenza, per breve che possa essere.

Ian McEwan, la giustizia sopra ogni cosaAUTORE : Ian McEwan

TITOLO : La ballata di Adam Henry

EDITORE : Einaudi

PAGG. 208,   EURO 20,00 ( disponibile in versione eBook)

Luisa Perlo, Critico Letterario dopo una vita spesa tra i banchi di scuola. Amante dei libri, dei gatti e dei viaggi, considera la lettura lo strumento più efficace per crescere, migliorarsi e trovare il proprio posto nel mondo.

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