Le vite che scorrono accanto di Isabella Garavagno
Che cosa significa vivere una “vita accanto”’?
A questa domanda sospesa, che volutamente lascia cadere nel vuoto almeno una prima specificazione (accanto a chi?), dà una sua risposta Isabella Garavagno, scrittrice piemontese alla sua terza pubblicazione, nelle pagine del romanzo “Vite accanto”.
Insegnante di scienze umane per professione, scrittrice per passione, intreccia con sapiente maestria la sua capacità di indagare l’essere umano, che le deriva probabilmente dal substrato culturale, con i guizzi della sua creatività, capace di portarla lontano nel tempo, mai nello spazio.
Cuneese nel cuore e nello spirito, legata alla piccola realtà provinciale in cui è nata e in cui sono cresciuti i suoi antenati, fa di questi contesti il luogo ideale in cui osservare lo scorrere delle vite dei suoi personaggi.
Laddove dice che i lettori potranno riconoscere personaggi realmente esistiti tra quelli che fanno capolino nei diversi capitoli non sbaglia certo, perché dalle sue pagine emerge una vita che è quella delle persone semplici, profondamente umane nei loro difetti più ancora che nelle loro virtù, capaci di ispirare la sua scrittura.
Il ‘900 di Isabella Garavagno
Le vite accanto sono quelle che sfuggono alla loro predeterminazione, che ingarbugliano i fili di una matassa rendendola caotica, ad un primo sguardo difficile da dipanare e dunque inutile: ma in realtà basta trovare un capo, uno solo, e con pazienza tutto può ritornare all’ordine primitivo, si può tessere una nuova trama, che, se non è quella prevista, non è per questo meno bella.
E’ il 1905 quando, in un piccolo paese del cuneese, arriva il nuovo farmacista, il dott. Cesare Mancini, originario di Ascoli Piceno e con velleità da scienziato grazie ai suoi studi sulla pellagra, capace di portare all’altare nel volgere di poco tempo Giovanna Gramaglia, figlia di un collega.
Non è certo un matrimonio d’amore, ma il fatto non era inconsueto al tempo, l’importante era che tutti i tasselli di ogni esistenza fossero collocati al loro posto, Cesare con una moglie, Giovanna con un marito.
Ma Giovanna, come ci dice subito la scrittrice, è rigida e altera, due aggettivi che l’accompagneranno a lungo negli anni: non ama il marito, non sa nulla della vita matrimoniale e subisce l’atto del dovere coniugale come una forzatura insopportabile, con una malcelata insofferenza che, a distanza di poco tempo dalle nozze, induce Cesare a desistere da ogni tentativo.
La vita con Cesare, da questo momento in poi, diventa per Giovanna la vita accanto a Cesare: sono due entità distanti che mantengono la rispettabilità e il rispetto propri di un matrimonio di facciata, ma che non sapranno o vorranno più condividere nulla della loro quotidianità.
Nello scorrere del tempo e della Storia, i due coniugi passano dagli entusiasmi lasciati dalla coda del Positivismo al dramma di una guerra che ha mandato i giovani, già reduci dalla tragica conquista della Libia, a morire nelle trincee del Carso, dalla titubanza generata dal germogliare di un nuovo pensiero politico all’assurdità di un regime e di una nuova guerra.
A Isabella Garavagno si addice la dimensione diacronica, come già aveva avuto modo di dimostrare nel suo precedente romanzo, pur rimanendo i fatti collettivi sempre alla giusta distanza dal privato, che è il suo vero interesse.
Giovanna Gramaglia Mancini è l’assoluta protagonista della vicenda e ciò accade non solo perché il marito, più vecchio di lei di una decina d’anni, la lascia vedova una sera d’autunno in cui la donna, stringendo tra le braccia il coniuge morente, comprende che no, non ha mai amato un uomo per il quale non ha provato nessuna passione, ma ha saputo legarsi a lui con un affetto profondo, cosicchè “avevano trovato il modo di sorreggersi entrambi: una vita accanto all’altra”.
Molti anni di vita attendono ancora la vedova Mancini, che Isabella Garavagno vuole ora un po’ meno rigida e altera, capace di provare sentimenti ed affetti che al tempo dei suoi trent’anni le erano sconosciuti, capace di chiedere a Cesare febbricitante e inconsapevole di non lasciarla, di restare con lei ancora un po’.
Nonostante tutto.
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Nel tempo del loro matrimonio i coniugi Mancini hanno sfiorato molte altre vite, alcune di queste sono state da Cesare vissute con tanta intensità da compensarlo del vuoto affettivo creatosi con la moglie: frequentatore delle case di tolleranza torinesi da scapolo, ha ripreso i suoi viaggi nel capoluogo dopo la rinuncia a Giovanna, dopo aver compreso l’inutilità di un’insistenza destinata al fallimento.
Ha così visto scorrere esistenze al limite della tollerabilità, ha cercato di comprenderle e di intervenire dove possibile, ha scoperto per una fortuita coincidenza che c’era una donna pronta ad amarlo con passione e trasporto, dedita come lui ad alleviare le tribolazioni delle ragazze della Maison Josette.
Cesare ha amato profondamente, come Giovanna non ha mai potuto fare nella vita: lei sapeva di Teresa ed ha taciuto, ha sopportato i pettegolezzi e le cattiverie del paese e delle amiche, ha salvato la superficie della rispettabilità chiusa nelle stanze della sua bella villa Liberty.
Accanto a lei, prima serva fedele e poi amica negli anni della vecchiaia, Norina, che insieme a Gina e Ninin ha condiviso anni buoni ed anni tristi con la famiglia Mancini, senza abbandonarla mai.
Ninin no, se ne è andata giovanissima per una tragica scelta, ma è stato proprio in seguito alla sua morte che accanto alla vita di Giovanna hanno cominciato a snodarsi quella di Michele e Battista, i suoi fratelli rimasti soli, e poi quella di Benedetta, di Caterina e, anche se solo per un istante, quella di Carmela, dentro ad uno squallido stanzone di un Ospedale psichiatrico.
Isabella Garavagno dipana matasse, scioglie nodi, intreccia storie e vicende, dà vita a personaggi di spessore dove nulla è mai per caso, dove tutto trova una sua ragione d’essere, sino all’epilogo che ci regala una Giovanna Mancini addolcita e capace di amare e proteggere non un uomo, ma quella che potrebbe essere per lei una nipote.
E’ trascorso tanto tempo da quel lontano 1905, i vecchi del paese potrebbero dire che tant’acqua è passata sotto i ponti e forse è proprio stato così, per tutte quelle vite che scorrevano tumultuose una accanto all’altra per più di cinquant’anni: l’acqua ha lavato via dolori e peccati, ha lasciato solo una memoria stanca e più serena, con occhi capaci di proiettarsi ancora verso il futuro e un cuore che ha saputo far pace con il passato.
Giovanna rigida e altera, Giovanna sposa incapace di sorridere e di amare il proprio marito, è adesso attraversata dal rimpianto per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, dal desiderio di una vita in cui lei stessa ha dettato regole che ha pagato a caro prezzo, perché ora sì, ora sa che “bisogna stare con chi si ama”, perché solo in questo modo le vite si intrecciano e non scorrono accanto.
TITOLO : Vite accanto
EDITORE : Araba Fenice
PAGG. 174, EURO 15,00