Libri: si vendono come patate e seguono le mode. Con qualche eccezione

Libri: si vendono come patate e seguono le mode. Con qualche eccezione

Parlare di libri significa anche parlare di editoria e mercato. Romanzi, manuali, saggi non sono altro che prodotti (seppur frutto dell’ingegno), generi di consumo e come tali dovrebbero essere trattati. Chi sostiene che i libri appartengano solamente all’ambito della cultura, o vive in un mondo parallelo oppure ci sta raccontando una favoletta. Certo, come esiste il cibo spazzatura esistono anche i libri spazzatura. Ma, per fortuna, come esitono tanti strumenti che migliorano la qualità di vita esistono tanti libri che ci aiutano a vivere meglio, ad allargare gli orizzonti, a crescere. Quindi chi ama davvero i libri deve conoscerne il mercato, osservare come si stanno orientando le scelte degli editori, quelle degli autori e del pubblico.

Su questo argomento abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandra Penna, Libri: si vendono come patate e seguono le mode. Con qualche eccezioneeditor della Newton Compton. Ecco il suo punto di vista.

Ebook VS libro cartaceo. Stiamo andando verso i libri digitali o vince la tradizione?

Partiamo dai dati: c’è una flessione nelle vendite in libreria, per quanto ci sia una crescita rispetto all’anno precedente, e c’è un’attestazione dell’ebook che vale circa il 10 % del mercato. Si tratta di due mercati diversi. In ebook hanno molto più successo certi generi (il rosa, l’erotico, il thriller, ovvero la narrativa più “di genere”), rispetto a quei romanzi considerati più mainstream, che magari vendono meglio in libreria. Più che altro si dovrebbe notare l’aumento, davvero consistente, delle vendite di copie cartacee sugli store online, Amazon in primis. L’auspicio – mio personale – è che le librerie possano tornare a essere piene. Ma chi lavora nel settore ha l’obbligo di confrontarsi con questo cambiamento e di provare a comprenderlo.

Pubblicare senza editore. A distanza di qualche anno, possiamo considerare self publishing un’autentica rivoluzione?

Direi che è un fenomeno con cui, chi lavora nell’editoria, tanto più commerciale, si è dovuto confrontare. Quello del selfpublishing è un mondo in cui ciò che si pubblica non è sottoposto a regole: a quelle della valutazione, a quelle dell’editing. C’è chi decide di autopubblicarsi perché ama questa assenza di regole e non ha alcun desiderio di uscire da quelle piattaforme. C’è chi invece lo ha fatto e lo fa sperando poi di essere notato da un editore tradizionale. Tra le migliaia di autori che hanno deciso di autopubblicare il proprio romanzo, alcuni sono scomparsi, altri hanno avuto un blando successo, alcuni – rari – hanno avuto invece un riconoscimento anche a livello di editoria tradizionale. Cito Anna Premoli tra tutti, che Newton Compton ha cominciato a pubblicare nel lontano 2012 e che è arrivata a vincere il Premio Bancarella. È un fenomeno che secondo me gli addetti ai lavori devono conoscere proprio per cercare di trarne il meglio.

Circa 65 mila libri pubblicati ogni anno, lettori in caduta libera, editoria in crisi. Come ci siamo arrivati? Anche gli editori probabilmente hanno delle responsabilità.

L’editoria ormai è un’industria. Parlerei di evoluzione del settore – necessaria o evitabile, questo non spetta a me dirlo – più che di colpa o responsabilità. La mia personale opinione è che in Italia abbiamo invece a che fare con un’insufficienza, se non completa mancanza, di politiche che abituino alla lettura e all’acquisto di libri. Recentemente il 18app, il bonus cultura da 500 euro per chi abbia compiuto 18 anni, ha dato un impulso all’acquisto di libri, ma sono convinta che le politiche in tal senso dovrebbero riguardare i ragazzi in età scolare. Con iniziative non una tantum ma sistematiche e strutturate. Il libro, la lettura “dovrebbero” diventare un’abitudine sin da quando si è piccoli. E se questo non accade tramite la famiglia, credo dovrebbe essere uno Stato, attraverso politiche mirate, a stimolare il bisogno di leggere. Rispetto a paesi come la Francia o la Germania, siamo lettori deboli, e lettori deboli corrono il rischio di diventare cittadini ignoranti e un giorno lavoratori, manager, dirigenti e politici ignoranti. Insomma, leggere ci rende persone migliori, più capaci, più consapevoli. È miope e incapace di agire in prospettiva una politica che non se ne rende conto. Ma forse questo non è che un aspetto di ciò che, in effetti, la nostra politica è diventata: gestione delle emergenze priva di capacità di guardare oltre il qui e ora.

Come si alimenta la passione per i libri?

Leggendo, su questo non ho dubbi. I libri – i romanzi nella fattispecie – sono la porta d’accesso ad altri mondi, potenzialmente infiniti. Sono lo strumento per continuare a sognare indipendentemente dall’età che abbiamo, per imparare costantemente, per di più in modo piacevole. Non dovrebbe esserci esperienza più desiderata.

Chi guarda dall’esterno ha la sensazione che i libri seguano le mode esattamente come accade per gli abiti o gli accessori. Un esempio: il fantasy che ha vissuto un vero boom qualche anno fa, oggi sembra in flessione. Chi decide che cosa va e che cosa non va?

Non siamo un Paese che detta legge, tanto più dal punto di vista editoriale. In genere risentiamo delle “mode” che arrivano da Stati Uniti e Inghilterra. Per cui, per esempio, c’è stato il ritorno dell’erotico con le Sfumature, quello del thriller psicologico con la Flynn e poi soprattutto la Hawkins. Proprio perché l’editoria è ormai un’industria, spesso sembra comportarsi come la moda. Ci sono però delle eccezioni. Nel 2011, con Un regalo da Tiffany, di Melissa Hill, la Newton Compton rilanciò la commedia brillante, o il genere “rosa” come lo si preferisce chiamare. E da quel momento il femminile d’evasione non ha lasciato né gli scaffali delle librerie né le classifiche di vendita. Altro esempio, di tutt’altro genere: il fenomeno Ferrante. Si è imposto in Italia senza creare una vera e propria moda e contemporaneamente si è affermato all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, come non accadeva non ricordo più da quanto a un romanzo italiano. Siccome nella tua domanda mi sembrava ci fosse una “critica” alle mode, be’, la saga della Ferrante è un esempio di successo commerciale che non si è giovato o è stato facilitato – mi pare – dal suo inserirsi in un filone già battuto. Magari la Ferrante ha dato ai lettori quello che (in massa) cercavano ma che non c’era? Al di là di mode facili.

Perché un libro di narrativa pubblicato 20/30 anni fa e che all’epoca ci è piaciuto, oggi spesso non ci cLibri: si vendono come patate e seguono le mode. Con qualche eccezioneonvince più? È solo perché non ci riconosciamo più (un po’ come quando guardiamo un film degli anni ’70) o ci sono altre ragioni?

Credo che un buon libro pubblicato 20/30 anni fa resti bello come poteva esserlo al tempo. E così vale per i film. Io credo che la qualità di un libro sopravviva al tempo (e alle mode) ed è solo quella qualità a fare la differenza. Altrimenti non continueremmo a leggere quelli che chiamiamo classici. Qualche settimana fa ho riletto Il signore delle mosche, che lessi per la prima volta al liceo. Direi che mi ha convinto come allora, forse solo i motivi sono diversi.

Su quali filoni si sta orientando il gusto dei lettori? Secondo te (anche dal punto di vista dell’editore) che generi pensi andranno di più nel prossimo futuro?

Mi sembra che i lettori continuano ad appassionarsi ai thriller psicologici. Il genere si sta senz’altro raffinando e sono tanti gli autori nuovi e degni di nota. Quello che personalmente auspicherei sarebbe l’emergere di autori italiani che, all’interno di questo genere, possano affermarsi alla stregua degli stranieri. Mi piacerebbe anche che si continuasse a fare – con lo stesso talento – quello che ha fatto Elena Ferrante (e che secondo me la renderà attuale anche tra 20/30 anni), ovvero riuscire a parlare di storie particolari e private e contemporaneamente della storia dell’Italia.

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Rossana Pessione, Direttore responsabile

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