Margherita Oggero e Slow Food insieme: che cosa lega la scrittrice torinese e la grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali?
Due le risposte esatte: la scrittura e il cibo.
Della prima possiamo dire che Slow Food Editore si fa carico, attraverso le sue pubblicazioni, di illustrare la filosofia del movimento: elogio del piacere, sviluppo del gusto, tutela della biodiversità.
Di Margherita Oggero scrittrice, invece, non possiamo aggiungere granchè di nuovo, dal momento che la deliziosa signora torinese è tanto conosciuta quanto amata grazie ai suoi romanzi e alla trasposizione televisiva/cinematografica che ne è stata fatta.
Del secondo, argomento fulcro (insieme al vino) di tutte le pubblicazioni firmate Slow Food, possiamo dire invece che è stato una sorpresa piacevole relativamente alla Oggero, che qui si racconta in prima persona recuperando ricordi molto lontani della sua vita, legati a un mondo che non esiste più.
Chi conosce Margherita sa quanto sia attenta alle tradizioni culinarie, quanto ami conoscere le specialità semplici di una specifica terra (i formaggi e i dolci, ad esempio), quanto rifugga da lei la condotta un po’ spocchiosa ed aristocratica che i detrattori di Slow Food attribuiscono ai suoi adepti.
Ecco quindi che il connubio si è rivelato felice, forse anche perché il Piemonte, terra che ha visto i natali di entrambi, è sì luogo di eccellenze riservate ai pochi ( tartufo e barolo, ad esempio), ma è anche terra di contadini, dalla pianura alla collina alla montagna, uomini che hanno piegato la loro schiena su zolle tenere o ribelli, garantendo una cultura del cibo semplice ma appagante.
Margherita Oggero e gli anni della guerra
E’ nato così, per la Piccola Biblioteca di Cucina Letteraria, “Guerra e pane”, un agile racconto che strizza l’occhio a Tolstoj evocando il suo corposo “Guerra e pace”, in cui Margherita Oggero ricorda gli anni di guerra in cui lei era bambina e viveva insieme alla mamma la quotidianità difficile, in attesa che, forse, il padre tornasse dal fronte.
A lui è dedicato il libro, a un uomo richiamato alle armi quando Margherita era appena nata e sopravvissuto alla ritirata di Russia con pochi altri commilitoni, provati, più ancora che nel corpo, nello spirito.
A casa erano rimaste le donne di tre generazioni, che non potevano provvedere alla pace, ma al pane sì, industriandosi come potevano per recuperare un po’ di cibo necessario per tutti, anche per dare un po’ di forze e restituire alla vita un uomo che era diventato l’ombra di se stesso.
Non c’è famiglia piemontese che non abbia un ricordo legato ai tragici avvenimenti del tempo, che non abbia pianto un disperso persosi nel gelo delle steppe: la guerra aveva reso tutti simili nel dolore, prima che il riscatto partigiano prendesse forma.
Di questo Margherita Oggero ci racconta, di come la famiglia fosse andata a vivere fuori Torino e della caparbietà della madre che in cambio di qualche ora di lavoro otteneva cibo scambiato poi con altro cibo, in un gioco del baratto che permise a molti la sopravvivenza.
Si parla di forme di pane, di latte appena munto, di ossa spolpate utilizzate per dare un po’ di sapore al brodo e della fantasia delle donne in cucina, capaci di tirar fuori il meglio dal pochissimo che avevano a loro disposizione.
Sulla tavola comparivano spesso la panada o supa mitonà (brodo di carne, pane raffermo, parmigiano, burro, sale e pepe, aglio cipolla e rosmarino, salsa di pomodoro, per chi volesse prepararla oggi, a quel tempo cucinata sul potagè con ciò che era a disposizione) e la panissa, una minestra più ricca con riso e fagioli, alternate alla minestra di semolino o al riso con latte e castagne.
I sapori e i profumi si perdono e si sovrappongono nella memoria di Margherita Oggero, ma sono quasi percepibili da chi legge pensando che ciò che oggi appare scontato era allora un lusso non sempre garantito, che sedersi a tavola e mangiare lentamente, assaporando ogni boccone, non era filosofia di vita recuperata, ma vantaggio immediato, per avere l’impressione che nel piatto ci fosse più pietanza con cui saziarsi.
La famiglia Oggero fu tutto sommato fortunata, messa nella condizione di avere purtroppo la guerra ma per fortuna il pane, e Margherita lo lascia trasparire in conclusione del suo narrare, ricordando questa parte della sua vita come la sua personalissima età dell’oro.
Margherita Oggero e Slow Food
Dopo la guerra fu la ricostruzione: dove si arrestano i ricordi di Margherita Oggero entra in campo Grazia Novellini, collaboratrice della redazione di Slow Food Editore, per raccontare una storia diversa, non di cibi ma di contenitori in cui venivano riposti, i piemontesissimi barachin.
Oggi li chiamano schiscette, termine mutuato dal lombardo, ma erano le antiche gavette, i recipienti di metallo in cui veniva distribuito il cibo quotidiano ai soldati in guerra.
Cibo modesto ma molto amato in tempo di penuria in contenitori modesti ma diventati un simbolo dei piemontesi quando, negli anni del boom, moltissimi lavoravano per la Fiat ed erano chiamati così, i barachin ‘d la Fiat, perché non c’erano ancora le mense e il pranzo era costituito da ciò che era rimasto della cena precedente o da qualcosa di molto semplice cucinato nelle prime ore del mattino.
La ricerca delle nostre origini legate al cibo passa anche attraverso questi oggetti, sui quali grande è l’attenzione posta da Slow Food per ricordarci che il preconfezionato, il cibo industriale che ha tutto lo stesso sapore, non fa parte del nostro dna, non ci identifica.
Nella cucina piemontese valeva il principio che non si spreca nulla, che il cibo va rispettato, motivo per cui non stupisce che il movimento che si batte per la salvaguardia delle risorse del pianeta e per il recupero delle tradizioni in cucina sia nato proprio in Piemonte, a Bra, al confine tra la pianura e le colline di Langa.
In appendice al racconto si trovano le ricette dei cibi citati da Margherita Oggero, per chi volesse provare a cimentarsi con la cucina di una volta, coi piatti che venivano posti fumanti sulle tavole del secolo scorso, quando mangiare era un rito e la convivialità la filosofia dominante.
TITOLO : Guerra e pane
EDITORE : Slow Food Editore
PAGG. 96, EURO 10,00 (disponibile versione eBook euro 3,99)