Un padre sardo e una madre francese, una grande passione per la letteratura, un amore sconfinato per Marcel Proust e una professione da insegnante: Michael Uras si presenta così ai suoi lettori, non solo francesi ma anche italiani, al momento di accompagnare l’uscita nelle librerie del suo ultimo romanzo, “Le parole degli altri”.
Convinto assertore del potere curativo, se non addirittura salvifico della letteratura, l’autore riconosce obiettivamente che il nostro mondo è così caotico e rumoroso che trovare uno spazio silenzioso in cui fruire di questa “medicina” non è semplice come potrebbe sembrare.
Eppure gli uomini hanno percorso questa strada per secoli, riconoscendo nei libri oggetti preziosi da salvaguardare, capaci di indicare la strada da percorrere a chi l’aveva smarrita.
Su quest’ultimo aspetto Michael Uras ferma la sua attenzione e crea l’embrione narrativo del suo romanzo: i libri sono il mezzo attraverso cui l’uomo moderno può curare le sue ansie e le sue difficoltà, può uscire dal buio di una insistita tristezza o approcciare con rinnovata sicurezza un problema.
Il libro, insomma, è terapia e chi sa inoltrarsi in un labirinto di storie, autori e titoli senza esitazioni è un biblioterapeuta.
Michael Uras, curarsi con i libri
Le parole degli altri a cui Michael Uras fa riferimento sono dunque le parole che autori più o meno grandi hanno lasciato scritte senza certo immaginare quale uso avrebbero potuto farne i posteri: a capirlo bene è stato Alex, il protagonista, il quale si è specializzato in biblioterapia ed ha fatto di essa il suo lavoro quotidiano, il suo mezzo di sostentamento.
Attento indagatore dell’animo umano, ascoltatore paziente e ottimo conoscitore della letteratura, egli si propone di individuare per ogni suo paziente la lettura adatta a risolvere i suoi problemi, ricercandola in modo mirato, accollandosi le problematiche di coloro i quali ricorrono a lui.
L’idea di partenza di questo romanzo non è nuova, ed anche l’autore ne è ben cosciente, ma è una tematica che fa presa sui lettori, spesso alla ricerca di suggerimenti da estrapolare dalle pagine dei romanzi e fare propri, in una sorta di autoterapia di certo priva di danni collaterali.
In Alex vediamo come in uno specchio le passioni di Michael Uras, appartiene ad entrambi la curiosità di cercare, non appena si inoltrano in una casa sconosciuta, il posto che in essa occupano i volumi: se non se ne vedono, è un brutto segno, una casa senza libri è vuota, manca di una sfaccettatura dell’anima, se invece essi sono presenti il gioco si fa intrigante, si leggono i nomi degli autori e i titoli, ma anche si vuole capire il criterio con cui sono stati disposti, l’ordine che li caratterizza, l’usura che rivelano…
Ecco che i libri diventano il modo in cui noi ci dichiariamo agli altri, li lasciamo entrare nella nostra intimità.
Attraverso questo passaggio, ad esempio, Alex si approccia al primo paziente della storia, Yann,un giovane adolescente introverso e ostile al mondo a causa delle conseguenze di un terribile incidente occorsogli tempo prima, che la madre vorrebbe aiutare con la biblioterapia, visto l’insuccesso di tutti i precedenti approcci.
Michael Uras ci mette in guardia dal pensare che la soluzione di ogni difficoltà sia a portata, tanto che gli interventi del suo protagonista non vanno sempre a buon fine, o per lo meno non si rivelano una panacea universale: laddove sembra essere evidente il fallimento, però, rimane aperto uno spiraglio sul futuro, come se la terapia avesse gettato un seme che darà i suoi frutti, prima o poi, curando le ferite o gli strappi dell’anima.
Terapia e terapeuta di Michael Uras
L’aspetto curioso del protagonista è che lui stesso avrebbe bisogno di trovare il modo di risolvere i suoi problemi esistenziali, ma si sa, essere medici di se stessi è assai complicato.
Alex si porta appresso il ricordo di una madre molto ingombrante, docente di letteratura, capace di trasformare le feste di compleanno del proprio figlio in momenti di discettazione culturale e di autocompiacimento, una donna che ha certo avuto un’influenza profonda e non sempre positiva sul proprio figlio.
Garantirsi una formazione da biblioterapeuta è stata una scelta che lo ha portato a studiare lontano senza ottenere risultati eccelsi, ma offrendogli comunque la possibilità di guadagnare il necessario per vivere.
Lo smarrirsi tra i libri è poi diventato un sistema di vita, che ha permeato così intensamente le sue giornate da fargli dimenticare la realtà degli affetti che stanno al di fuori delle pagine dei romanzi e allontanarlo da Melanie, la sua compagna di vita, che sembra non riuscire più a ritagliarsi uno spazio autonomo.
Per Alex l’abbandono è come una resa dei conti, la sua attività non colma i vuoti affettivi nemmeno quando si fa più umana e personale, come per i pazienti dell’unità geriatrica, e certo non quando deve avere a che fare con uomini stressati dal proprio lavoro o calciatori di fama poco colti.
Dovrà trovare da sé la strada da percorrere per ricostruire la sua felicità, ricollocando realtà ed illusione nella loro giusta prospettiva.
Michael Uras sa bene che la nostra società ci induce sovente a cercare un conforto ai nostri problemi quotidiani nelle parole dei libri, sa che come professore deve provare con ogni mezzo ad inculcare nei suoi studenti la passione per la lettura, ma sa altrettanto bene che, come ci ha insegnato Daniel Pennac, “il verbo leggere non sopporta l’imperativo”, motivo per cui ognuno dovrà trovare la terapia che meglio gli si adatta, nella convinzione che anche le parole degli altri siano strumento per raggiungere il benessere tanto desiderato.
AUTORE : Michael Uras
TITOLO : Le parole degli altri
EDITORE : Nord
PAGG. 352, EURO 16,90