Pierfrancesco Diliberto è regista, attore, autore televisivo, conduttore radiofonico, sceneggiatore, un mix di fortunate attività nel mondo della cultura dei media che lo ha indotto ad allungare il passo e ad aggiungere al suo palmares anche una prova da scrittore, con buon successo.
Siciliano di Palermo (la città che lo rincorre ovunque nella sua produzione), ferito come tutti i siciliani “perbene” dalla mafia tentacolare e omicida, da poco quarantasettenne, ha legato il suo nome a trasmissioni televisive come Le Iene e a un film di cui è stato regista e interprete, La mafia uccide solo d’estate.
A proposito del suo nome, occorre ricordare che quasi nessuno lo utilizza per intero, preferendogli la forma sincopata Pif, coniata per lui da Marco Berry (che sia il retaggio dell’esilarante scelta del nome per il figlio fatta da Massimo Troisi in Ricomincio da tre, quando anziché Massimiliano proponeva Ugo, molto più efficace e incisivo nei rimproveri?).
Pur essendo figlio d’arte in linea paterna, Pierfrancesco Diliberto si è costruito il successo passo dopo passo, mettendo in luce le sue doti di sarcasmo e ironia, ma anche la sua caparbietà nel portare a compimento le sue battaglie a vantaggio della gente comune, quella di cui nessuno conosce il nome, lungo o corto che sia.
Televisione e sale cinematografiche lo hanno consegnato ad un pubblico vasto ed eterogeneo, al quale è rivolto il primo romanzo, “…che Dio perdona a tutti”, titolo tratto da un modo di dire dialettale la cui prima parte è un po’ troppo irriverente nei confronti della Chiesa ed è quindi recuperabile solo nelle pagine interne.
Il cristianesimo di comodo secondo Pierfrancesco Diliberto detto Pif
L’autore sceglie dunque come sostanza del suo narrare la questione della fede, così come viene quotidianamente declinata secondo un tornaconto egoistico da tutti coloro che si dichiarano cristiani, almeno il tempo necessario per partecipare alla messa domenicale ed essere dunque pubblicamente riconosciuti come tali.
La fede è ormai uno scudo ipocrita che la società ci permette di indossare, un atto politicamente corretto che nasconde la perdita dei più profondi valori cristiani, quelli, tanto per intenderci, che Pif identifica nelle predicazioni di San Francesco d’Assisi.
Lui stesso confessa di essersi interrogato sul suo modo di pensare ed agire in questo ambito, di non sentirsi come tanti né ateo né cristiano, forse agnostico, e di aver maturato (sotto la doccia….) l’idea di lavorare su questo tema in un primo momento in un film, poi accantonato a favore del romanzo.
Quanti sono coloro che si dicono cristiani senza mai esserlo realmente, che a malapena conoscono i passi più celebri delle Scritture, che ritengono sempre delegata ad altri la necessità di essere ad esempio altruisti, onesti, ultimi in questa vita per essere primi nell’altra?
Da un argomento così impegnativo e profondo Pierfrancesco Diliberto è riuscito a far sgorgare un racconto ironico e divertente, in alcuni momenti paradossale, ma tale da poter permettere a ciascuno di immedesimarsi almeno per un momento nei panni del protagonista, Arturo.
E’ intorno a lui che ruota l’intera vicenda: trentacinquenne, un lavoro da agente immobiliare che lo porta a raccontare bugie quotidiane ai clienti, un moderato interesse per questioni poco impegnative, come il calcetto con gli amici, una sola vera e unica passione, i dolci, quelli della sua città, Palermo, sui quali è di una pignoleria insopportabile.
Per gli sciù alla crema di ricotta è disposto a qualsiasi pellegrinaggio nelle pasticcerie, pur di arrivare al migliore.
Nessuno sembra condividere la sua mania, che coltiva in appagante solitudine sino a quando sulla sua strada incontra Flora, figlia di un pasticcere e in procinto di aprire una sua pasticceria per ripetere il successo di quella paterna.
A differenza di Arturo, Flora è fervente cattolica, convinta della sua fede e del suo modo di praticarla, mentre lui, a memoria sua, ricorda un solo intenso momento di preghiera rivolto a Dio, precisamente durante i Mondiali di calcio in Spagna, nel 1982, in relazione al risultato di Italia – Brasile.
Persino un bambino quale lui era poteva costruirsi un Dio ad hoc, disposto ad ascoltare la sua voce e non quella, ad esempio, di un suo coetaneo brasiliano.
Nel rapporto con Flora emerge prepotente la non conoscenza dei fondamentali di fede e questo sembra incrinare il loro rapporto, nonostante l’accondiscendenza di Arturo: a questo punto occorre fare una scelta, foss’anche radicale. E Arturo la fa.
Pierfrancesco Diliberto e il paradosso del mondo rovesciato
Che cosa occorre fare ( ma anche non fare assolutamente più) per essere un cristiano nei fatti e non solo nelle parole?
Quanta ipocrisia vediamo scorrere ogni giorno sotto i nostri occhi, spesso incollati ai social?
Arturo ne prende coscienza e nella speranza di conquistare definitivamente Flora si pone un obiettivo: gli occhi fissi sul calendario di Frate Indovino, promette a se stesso che per tre settimane sarà un cattolico a tutto tondo, il più cattolico dei cattolici, intransigente su ogni principio, da rispettare in ogni ambito e contesto. Saranno le tre settimane più lunghe della sua vita.
Pierfrancesco Diliberto non nutre dubbi sulle passioni del suo protagonista, la pasticcera e i pasticcini, mentre ne esplicita moltissimi sul suo folkloristico modo di approfondire il suo percorso da buon cristiano: come primo atto si impegna a seguire la predicazione dei cinque evangelisti (uno in più che sarà mai…), in seguito ruba al figlio di un amico il libro del catechismo, per finire poi col diventare un integralista cattolico improvvisato.
Le ricadute a cascata sul mondo che lo circonda sono innumerevoli e spesso devastanti: con Flora, con gli amici, col principale, coi clienti tutto cambia, ma non come Arturo avrebbe voluto, sperato e desiderato.
Si scoperchiano verità che non avrebbero dovuto emergere, si palesano l’ipocrisia che soggiace ai rapporti interpersonali, la falsità di chi non fa corrispondere i fatti alle parole, il cinismo di chi mette sopra ogni cosa il vantaggio personale.
La vita di Arturo non sarà più la stessa, ovviamente, in nessun ambito, considerata ( tra le varie vicissitudini) la magra figura riportata durante la rievocazione storica della salita al Calvario.
Se è quasi impossibile essere un Cristo dichiaratamente fasullo, è praticamente impossibile assomigliare realmente a lui e seguirne la predicazione….
In ventun giorni è possibile capire molto di se stessi e del proprio rapporto con Dio: chissà, se tutti seguissimo l’esempio datoci da Pif attraverso Arturo il mondo potrebbe davvero essere un posto migliore?
TITOLO : …che Dio perdona a tutti
EDITORE : Feltrinelli
PAGG. 186, EURO 16,00 (versione eBook euro 9,99)