Silvia Avallone, una storia sull’essere madri in un mondo ostile

Silvia Avallone, una storia sull’essere madri in un mondo ostile

Un quartiere periferico di Bologna che si pone come una scomoda appendice della dotta città, un tempo che può essere oggi, ma è uguale a ieri e con ogni probabilità resterà tale domani e domani ancora, un pullulare di vite incompiute, tutte mancanti di qualcosa di importante ma attente a cercare uno spiraglio dal quale si possa intravedere la perfezione della vita.

Silvia Avallone ha costruito con questi elementi il suo ultimo romanzo, “Da dove la vita è perfetta”, col quale si propone di indagare un tema articolato, contradditorio e complesso come la maternità e la sua derivata genitorialità.

C’è stato un tempo in cui essere figli e genitori faceva parte del ciclo della natura; ci si trovava a vivere le due esperienze in tempi ravvicinati, in quanto da figli si doveva crescere in fretta per essere pronti a lavorare e a metter su famiglia prima che gli orologi biologici scandissero il tempo dei trent’anni.

Oggi che è tutto cambiato, che i ritmi socio-economici hanno scaraventato bruscamente in avanti il raggiungimento dei due obiettivi, essere genitori è diventata una scelta molto consapevole, legata a una serie di fattori di certo condizionanti, non ultime le difficoltà economiche del presente che erodono la fiducia nel futuro, in un progetto a lungo termine qual è quello di dare la vita ad un figlio.

I protagonisti di Silvia Avallone, figli che diventano genitori

L’incipit del romanzo di Silvia Avallone si colloca nel luogo deputato a sancire il passaggio da uno stato all’altro, ovverosia una sala parto.

E’ qui che si trova Adele, troppo giovane per potersi accollare una maternità che deriva da un amore intensamente vissuto solo da lei, abbandonata dal suo compagno, mentre sta per nascere la sua bambina, che verrà poi data in adozione.

Essere madre ha per lei anche questo profondo significato, implica sancire con uno strappo affettivo un futuro migliore alla piccola, lontano da una periferia in cui i legami famigliari sono continuamente lacerati.

In opposizione ad Adele c’è Dora, che desidera un figlio per sentirsi appagata e completa, lei che deve condurre la sua vita nell’incompletezza fisica, in quanto priva di un arto, ma che non riesce a diventare madre biologica e decide di diventarlo tramite un’adozione, convinta che i figli non appartengano realmente a nessuno, dato che il compito dei genitori è solo aiutarli a trovare il loro cammino che poi percorreranno da soli.

A osservare con voluto distacco il mondo del quartiere c’è Zeno, che pur risiedendovi ha trovato il modo di distaccarsi e distinguersi attraverso lo studio. Le sofferenze da lui vissute lo hanno indotto a costruirsi una corazza, impiega il suo tempo ad osservare le vite degli altri, a raccontarle, accantonando la propria.

Agli occhi dei coetanei non merita approvazione ma disprezzo, la cultura è l’ultimo degli approdi a cui essi tendano, indaffarati come sono a procurarsi il necessario e il superfluo in modo spesso illegale.

Tra di loro c’è anche Manuel, l’amico di sempre, che pur non condividendo la sua scelta di emancipazione mantiene un filo legato al loro passato di amicizia solidale: adesso a dividerli c’è anche Adele, verso la quale Zeno prova  un affetto profondo e sincero, ben diverso dal sentimento che ha avuto Manuel prima dell’abbandono.

Un quartiere degradato di Bologna fa da sfondo alla storia raccontata da Silvia Avallone

Quanto ha influito, sulla vita dei protagonisti, il contesto in cui sono cresciuti ed ora vivono?

Anche senza scomodare il filosofo Taine, che elaborò la teoria del condizionamento  di race, moment e milieu sullo sviluppo della personalità individuale, possiamo facilmente immaginare, insieme all’autrice, che la risposta sia molto.

Il degrado sociale ha portato Manuel sulla strada dell’autodistruzione, impedisce ad Adele di crescere la sua bambina , ha tolto a Zeno la voglia di costruire un domani per se stesso, senza limitarsi ad osservare le costruzioni o le distruzioni altrui.

Le grandi città comportano sempre la presenza di questi quartieri satelliti dove la vita sembra scorrere in modo diverso, tra miseria, spaccio, violenze domestiche e squallide abitazioni.

Silvia Avallone non ha edulcorato questa realtà, l’ha descritta impietosamente  come analizzasse un dato di fatto, un unicum sul quale non si può incidere in alcun modo.

Se si vuole cercare una via di fuga a questa realtà occorre farlo dall’interno, non aspettare che la soluzione dei problemi sia legata ad interventi esterni; neanche Zeno sembra aver capito quale strada imboccare in questa prospettiva se non quella della estraneità, garantita dal suo amore per la cultura,sino a quando non riesce ad entrare in sintonia con Adele.

Tutto sta, sembra suggerire Silvia Avallone, nel trovare la giusta prospettiva per osservare ciò che sta fuori di noi e si rispecchia dentro di noi, in modo da maturare un’ottica positiva.

E’ una strada difficile da percorrere, senza garanzia alcuna di trovare  alla fine ciò che si sta cercando, ma è l’unica percorribile per  dare spazio almeno alla speranza, se non alla certezza, di individuare il punto dal quale la vita è perfetta.

Silvia Avallone, una storia sull’essere madri in un mondo ostile

 

AUTORE : Silvia Avallone

TITOLO : Da dove la vita è perfetta

AUTORE : Rizzoli

PAGG: 384,  EURO 19,00

 

 

 

 

 

 

About Luisa Perlo

Luisa Perlo, Critico Letterario dopo una vita spesa tra i banchi di scuola. Amante dei libri, dei gatti e dei viaggi, considera la lettura lo strumento più efficace per crescere, migliorarsi e trovare il proprio posto nel mondo.

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