Almeno una volta nella vita la depressione colpisce un italiano su dieci (11.5%).
Un male oscuro e una patologia sottovalutata, dalla quale non si è immuni in nessuna età.
Tra il 2% dei bambini e il 4% degli adolescenti in 12 mesi si registrano episodi della durata di due settimane. La percentuale sale al 4,5% negli ultrasessantacinquenni.
Il ruolo del medico di famiglia è sempre più rilevante per prevenzione, diagnosi e cura di questo disturbo. Questi, naturalmente, deve collaborare strettamente con lo specialista.
Depressione, il progetto “Psychè”
Lo scorso anno ha preso il via il progetto “Psychè”. I risultati così ottenuti sono stati presentati al trentaduesimo congresso nazionale della Società italiana di Medicina generale e delle cure primarie (Simg), oggi al termine a Firenze. Ha collaborato a “Psychè” la Società italiana di Psichiatria (Sip). Hanno partecipato 299 medici di 21 diverse città italiane, che hanno raccolto i dati di 2.045 assistiti colpiti dal disturbo. Sono stati fatti confronti in merito all’approccio clinico-terapeutico ed è stato valutato l’uso dei farmaci e degli altri strumenti di gestione della patologia.
Il 5% degli intervistati afflitti da depressione media sono stati invitati ad una visita con lo specialista, richiesta soltanto nel 2.4% dei casi più gravi. Il 26% dei malati interessati da forme lievi del disturbo, contro il 7.2% dei pazienti più gravi, ha consumato almeno una confezione di farmaci antidepressivi.
Depressione, la parola all’esperto
Il dottor Ovidio Brignoli, vice-presidente della Simg e coordinatore del progetto, si è espresso in questo modo: “Psichè non è uno studio clinico ma un confronto tra le varie pratiche professionali. Da questa nostra indagine emerge chiaramente la grande diversità di come i medici di famiglia affrontano il disturbo. E’ necessario uniformare le modalità di cura, rispettando ovviamente le diverse esigenze dei malati. Il prossimo passo sarà creare una rete di camici bianchi che dialoghino tra loro su come affrontare la malattia e che condividano le proprie esperienze quotidiane con gli altri medici di famiglia e gli specialisti di riferimento”.