Sulla base di un testo pubblicato dal Journal of the American Heart Association, i soggetti con depressione che hanno superato i 50 anni hanno la possibilità di incorrere in un ictus cerebrale con una probabilità raddoppiata rispetto alla media. Ma come si sviluppa e come si riconosce negli individui in età avanzata la depressione?
Depressione: la parola all’esperto
Il dottor Paolo Pomero, psichiatra e neurologo, a fine aprile ha formato gruppi di aiuto ai pazienti in ospedale da inviare presso l’Ospedale di L’Aquila. Ecco quanto afferma in merito alla depressione senile: “Dal momento che il numero degli anziani è in continuo aumento, i disturbi depressivi dell’età senile stanno diventando un grave problema di salute mentale. La depressione è molto comune negli anziani, anche se non deve essere considerata una componente “normale” dell’età avanzata. In particolare, la sua frequenza varia a seconda delle popolazioni considerate. La depressione negli anziani pone specifici problemi diagnostici, date le differenti modalità di presentazione clinica rispetto agli adulti giovani”.
Anziani in depressione: che cosa complica il trattamento?
“Nella pratica clinica, il trattamento risulta complicato dalle modificazioni fisiologiche associate alla vecchiaia e dall’accresciuta probabilità di una comorbilità somatica (coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo, ndr) Inoltre, si dovrebbero scegliere farmaci quanto possibile privi di effetti indesiderati a carico della funzione psicomotoria e cognitiva, di rischio cardiovascolare e senza potenziali interazioni farmacocinetiche. La diagnosi può inoltre essere resa difficoltosa dalla coesistenza di malattie somatiche e/o di deterioramento cognitivo di vario grado. Il mancato riconoscimento porta inevitabilmente ad un mancato trattamento o comunque all’adozione di misure terapeutiche inadeguate. Le conseguenze psicologiche e fisiche di un non trattamento possono essere gravi.”
Anziani: a che cosa porta una depressione non curata?
“Una depressione in un soggetto anziano, se non curata, presenta, infatti, un elevato tasso di ricadute e di cronicizzazione e determina un incremento della mortalità, naturale e per suicidio, una prognosi peggiore delle malattie somatiche concomitanti ed un più frequente ricorso al ricovero ospedaliero ed all’inserimento in strutture residenziali”.
Come distinguere un anziano depresso da un non depresso?
“Distinguere un anziano depresso da uno non depresso è più difficile se si applicano gli stessi criteri che si applicherebbero ad un giovane. Diciamo che in generale ci sono un numero minore di manifestazioni, e che vanno rapportate al funzionamento precedente della persona. Quindi una persona anziana depressa non è uguale a se stessa come era stata nel periodo precedente, e non soltanto se “per la sua età” ha un ritmo di attività e una vivacità minori”.
Negli anziani, depressione mascherata
“La persona anziana ad esempio può manifestare la cosiddetta ‘depressione mascherata’, cioè non riferire sintomi di tipo psichico (per esempio umore malinconico, irritabile, triste, cupo), ma lamentare prevalentemente disagi corporei vari o peggioramento delle capacità intellettive”.
La depressione nei giovani adulti
A differenza degli anziani, i giovani adulti i sintomi che portano al suicidio sono espressi chiaramente e l’umore depresso è il sintomo chiave. C’è una differenza sostanziale tra uomini e donne, che il dottor Pomero esprime in questo modo: “All’epoca della parità, dell’uguaglianza tra i sessi, alcuni ricercatori americani hanno tentato di scoprire se gli avvenimenti che favoriscono la depressione sono gli stessi negli uomini e nelle donne. Risultato: se le donne sono più sensibili ai problemi familiari, pare che gli uomini facciano più fatica a vivere una separazione o le difficoltà professionali.
Gli uomini descrivono eventi che hanno a che fare con la perdita di lavoro, preoccupazioni professionali, furti, preoccupazioni di carattere giudiziario o legale, separazione coniugale o divorzi. Le donne citano più spesso difficoltà di trovare casa, problemi con i familiari, la perdita di una persona cara o l’insorgenza di problemi di salute, baby blues (disagio interiore della donna appena diventata madre. Il 20% sviluppa la depressione post partum, ndr) e depressione post partum”.
Che cosa può avvenire alle madri
“In generale si ritiene che il baby-blues si manifesti fra il terzo e il sesto giorno dopo il parto, come una specie di malinconia. Le mamme si sentono di umore variabile, piangono e si irritano facilmente, a volte provano ansia e paura di non farcela. Tuttavia non perdono la capacità di prendersi cura nel neonato, di provare gioia e di dormire abbastanza bene. Dopo alcune settimane il disturbo tende a svanire spontaneamente.
Accade invece, che tra la quarta e la sesta settimana, queste sensazioni possano accentuarsi e si trasformino poi in una vera e propria depressione post-parto. Essa può però manifestarsi anche più tardi. I sintomi specifici più importanti sono: tristezza, perdita d’interesse, di autostima e di energia, incapacità di provare gioia (anedonia), sensi di colpa perché si prova fastidio o ostilità per il neonato ritenuto troppo esigente, pessimismo e senso di incompetenza, difficoltà nel contatto fisico con il neonato e eventualmente nell’allattamento, disperazione. A questi si aggiungono alcuni dei sintomi depressivi non specifici quali: la difficoltà di attenzione e concentrazione, disturbi del sonno, rallentamento psico-motorio, ansia, agitazione, incapacità di prendere decisioni. Possono inoltre manifestarsi anche sintomi somatici: cefalee, vertigini, dolori addominali e lombari, nausea e perdita di appetito, stitichezza, dimagrimento. Tra i fattori di rischio pensiamo al parto con un’assistenza spersonalizzante, operativo o cesareo, in cui non ci si è sentite protagoniste”.
La disposizione d’animo del depresso
“Le persone depresse tendono ad assumersi la responsabilità degli eventi negativi (ma non di quelli positivi) che si verificano nella loro vita”.
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