Concita De Gregorio scrive di donne, di figure femminili che hanno attraversato la sua vita talora con la loro reale presenza, a volte con il loro semplice esserci.
Sono donne che hanno faticato e lottato, che spesso hanno dovuto vivere ai margini e mordere ferocemente il loro presente per poter avere un futuro.
Sono donne stigmatizzate, additate come esempi negativi dai benpensanti, chiuse in recinti reali, come gli ospedali psichiatrici, o familiari e sociali, private della loro voce.
Sono le donne la cui vita è confluita nel libro “ Un’ultima cosa”, in cui l’autrice consente loro di esprimersi ancora una volta prima del silenzio definitivo, attraverso un’orazione funebre rivolta al pubblico presente alle esequie, ma anche a chi la loro voce non ha voluto o saputo ascoltare.
Donne difficili con vite complicate
Concita De Gregorio, ampiamente nota come scrittrice e come giornalista, ha scelto dodici emblematiche figure, che lei stessa afferma di aver assemblato per empatia, non seguendo un preordinato percorso.
Eppure, a chi si sofferma su queste esistenze, appare in controluce un filo conduttore che le lega con forza, le trasforma in voci che dall’oblio rivendicano un loro posto nella Storia proprio attraverso le loro storie, mai comuni, mai banali.
Sono dodici in tutto, hanno attraversato il secolo scorso comprendendone la forza e la debolezza, legata a un tempo infinitamente accelerato rispetto al precedente.
E’ forse questo uno dei punti cardine su cui soffermarsi: l’autrice, minuziosa osservatrice e interprete del presente, sa perfettamente che la società liquida di Baumann si è consumata in un progresso che mai aveva avuto uguali e che ha lasciato indietro molte vittime.
Tra queste ultime le donne meritano purtroppo un posto privilegiato, la loro ricerca di una giusta visibilità, di un diritto ad esternare il proprio pensiero o la propria vena artistica è stato raramente compreso ed è stato più facile emarginarle, metterle a tacere per poi forse riscoprirle a posteriori, come è successo ad alcune delle donne di Concita De Gregorio.
“Essere state messe al bando. Escluse. Non volute, non “tenute con sé” da chi amavano. Essere arrivate troppo presto, troppo tardi, che peccato. Aver detto troppo, e incomprensibilmente. Quindi ridotte al silenzio, denigrate. Aver dato in eccesso. Erba cattiva nel giardino buono, inopportune rispetto al decoro: perciò, da estirpare. Fonte di eresia, dunque di desiderio e di colpa. Il desiderio è la colpa.”
Le orazioni funebri di Concita De Gregorio
Quante volte abbiamo pensato che tutti, nell’immediato post mortem, sembrano essere diventati più buoni, più limpidi, più degni di lacrime e memoria?
Concita De Gregorio non ha esitazioni nello scardinare questo sentire comune: le sue donne non mistificano se stesse e il proprio passato nel momento in cui si offrono al pubblico convenuto al loro funerale per parlare un’ultima volta, dire un’ultima cosa.
Sarebbe davvero bello poterlo fare, scrutando i visi falsamente compunti di coloro che in precedenza avevano mostrato solo disprezzo, o, come dice l’autrice, si erano tenuti lontani per non sporcare la propria immagine.
“Era prima, che avrei avuto bisogno della vostra premura. Ma prima serviva anche il vostro coraggio. Prima avreste fatto scandalo, a venire da me – a stare con me.”
Ecco dunque che nelle pagine di questo libro prende forma l’impossibile, queste donne si alzano in piedi al loro funerale e raccontano di sé ciò che esse vogliono sia ricordato, mostrandosi impertinenti e non allineate sino alla fine.
E’ in fondo l’ultimo momento utile per dire la propria verità, l’unica che conti a livello personale, quella che si vuole lasciare in eredità.
La scrittura di Concita De Gregorio si fa teatrale nel momento in cui aderisce con tutta se stessa a queste figure, diventa autrice di soliloqui che non hanno diritto di replica, fonde la scrittura del romanzo con quella della poesia, dà vita a pagine che sono state trasportate con successo nei teatri.
Chi cerca la biografia resta deluso: è confinata in poche righe che precedono i diversi capitoli, uno per ogni donna.
Prende forma invece il riscatto, il desiderio ultimo: “Rinominate, nell’ascolto e nella cura. Del resto tutti vogliamo solo questo, al mondo: essere visti, sentiti, capiti.”
Donne che hanno attraversato o solo sfiorato il mondo
La morte ha raggiunto le donne di Concita De Gregorio in tempi molto diversi e distanti, ma ognuna di loro porta in sé una modernità senza tempo, perché ancora molta strada è da percorrere prima che l’accettazione sociale e familiare possa definirsi compiuta.
Come dice Lisetta Carmi, adesso sono tutte nel vento, perché siamo fatti di vento ed è forse per questo che le nostre ceneri vanno disperse in un luogo amato.
Lisetta era di famiglia ebrea, ha vissuto gli anni delle leggi razziali diventando poi una musicista, una fotografa e una mistica.
La fotografia l’ha portata in giro per il mondo prima di fondare un ashram in Puglia.
Rivendica la scelta di non essere mai appartenuta ad alcuno, di non aver creato o accettato la condizione di chi potesse dire di lei “è mia”.
La condizione di non essere più in un mondo che ha fotografato negli angoli più bui e nascosti le permette di definirsi libera, non vittima della morte.
Anche Vivian Maier ha fotografato se stessa e il mondo, pur non essendo mai una fotografa ed essendo stata scoperta come tale solo dopo la sua morte, per una serie di coincidenze fortuite.
La sua attività era quella di bambinaia, e come tale costruisce la sua orazione funebre, rivolgendosi direttamente a loro, ai bambini.
Alle spalle una famiglia disastrata, è cresciuta sotto la protezione di una nonna, ma spesso lontana da lei: la sua storia familiare è stata un condizionamento perenne, ma la sua dichiarazione finale è quella di aver vissuto la vita che voleva, tra camere oscure costruite nei bagni e bambini che la trovavano simile a Mary Poppins.
La sua orazione si conclude con un richiamo alla simmetria del caso e alla necessità di vivere sorridendo, perché la vita è una commedia.
Delle donne prescelte, di cui queste due sono solo un esempio, Concita De Gregorio ha cercato di carpire ogni dettaglio possibile, ascoltando o leggendo le loro parole o le parole dette su di loro.
Questo fa sì che le sue orazioni funebri siano costruite sulla verità e non sulla finzione, l’immaginazione non trova posto nei suoi soliloqui.
Lo trovano invece i ricordi delle cliniche psichiatriche in cui sono state rinchiuse ad esempio Dora Maar, la musa di Picasso, o Aloise Corbaz, oggi un’artista dalla reputazione internazionale, dopo decenni in manicomio.
Concita De Gregorio ha restituito la voce alle donne che l’oblio aveva messo a tacere: fare in modo che non vengano dimenticate per come sono realmente state è un dovuto riscatto.
TITOLO : Un’ultima cosa
EDITORE : Feltrinelli
PAGG. 176 EURO 17,00 (versione eBook euro 11,19)