Nick Hornby, lo scrittore inglese che da quasi trent’anni occupa la scena nazionale ed internazionale coi suoi romanzi e saggi, è tornato in libreria con “Lo stato dell’unione”.
Di lui non si può dire che sia stato un fanciullo prodigio, in quanto la sua vena narrativa esplose nel 1992, compiuti i trentacinque anni, dopo essersi dedicato all’insegnamento e al giornalismo, ma di certo sembra essere rimasto indenne al trascorrere degli anni, rimanendo l’eterno Peter Pan che ha raccontato nelle sue pagine più famose.
A rigor del vero, bisogna definirlo un eclettico, dal momento che è stato ed è scrittore, sceneggiatore, paroliere, critico musicale e critico letterario britannico.
Un trascorso di tutto rispetto, all’interno del quale spiccano i numerosi romanzi tradotti in italiano e diventati un cult generazionale: tra tutti ricordiamo “Un ragazzo” (trasposto anche cinematograficamente con la parte da protagonista affidata a Hugh Grant), considerato un punto di riferimento nel panorama del romanzo di formazione.
Nick Hornby ha sempre cercato di sviscerare i comportamenti passibili di indagine sociologica, costruendo figure di giovani e giovanissimi alle prese con i cambiamenti soggettivi ed oggettivi del mondo in cui vivono, un mondo che, pur presentando i caratteri tipici dell’Inghilterra degli ultimi decenni, ha una valenza universale, è adattabile a qualsiasi contesto.
I giovani e la musica (“Alta fedeltà” è un romanzo da leggere e da ascoltare, attraverso gli innumerevoli e mai casuali riferimenti discografici in esso contenuti), insieme al calcio (diventato protagonista in “Febbre a 90”) hanno occupato il suo tempo a lungo, contribuendo a creare l’immagine dello scrittore chiuso nel bozzolo del suo mondo, non desideroso di spingere lo sguardo al di là di una specifica generazione.
Ora, dopo alcuni anni di silenzio, torna con un nuovo romanzo, che si lascia alle spalle le problematiche giovanili per affrontarne altre, anche queste universali e quotidiane: i ragazzi di Nick Hornby sono cresciuti, si sono sposati e sono andati in crisi, mettendo in forse la solidità del loro legame matrimoniale.
Nick Hornby, la vita coniugale al centro dell’attenzione
Come sempre, è la Gran Bretagna il convitato di pietra del romanzo di Nick Hornby, richiamata nel titolo dato in traduzione italiana, dove lo stato dell’unione è riferibile sia alla vita privata dei protagonisti sia al tempo della Brexit, che volente o nolente influenza chi questo tempo lo sta vivendo.
L’attenzione dell’autore si focalizza su una coppia andata in crisi non all’improvviso, ma attraverso un lento logorio sfociato poi in un gesto plateale, che ha costretto Tom e Louise ad affrontare la realtà.
Lui è un critico musicale disoccupato, lei è una gerontologa: nel loro rapporto i ruoli tradizionali sono invertiti, in quanto è lei a mantenere economicamente la famiglia.
Due figli, una passione comune per le parole crociate e le serie televisive sembrano essere l’unica liaison esistente, per cui decidono di affrontare la realtà mettendosi a nudo (sembra facile, ma non lo è) di fronte ad una consulente matrimoniale, nel tentativo di recuperare il loro rapporto.
Ed è così che per dieci settimane si danno appuntamento in un pub sito di fronte allo studio della consulente, cercando in una birra e in un bicchiere di vino le parole da dirsi, prima e durante la seduta.
Il loro matrimonio viene sottoposto ad una impietosa autopsia, sebbene essi lo considerino agonizzante e non definitivamente deceduto, emergono i non detti sommersi, le rivendicazioni di anni, le scelte sbagliate, ma anche un “ti amo” spiazzante sebbene significhi “in fondo in fondo io ti amo”.
Dal tavolo del pub osservano le altre coppie che escono dal palazzo dopo essere state dalla psicoterapeuta e in ognuna di esse trovano agganci utili a sé, necessari per definire i contorni della loro situazione attuale.
Nella calma piatta della loro esistenza, tra pessimismo e abitudine, Tom e Louise hanno smarrito la complicità, il dialogo, la passione e l’interesse per l’altro, trasformato in una sorta di inamovibile suppellettile domestica.
E’ stato necessario un forte scossone, un cambiamento improvviso a scoperchiare il loro vaso di Pandora, che ha di certo innescato il conflitto, ma che li ha anche portati a confrontarsi viso a viso per la prima volta dopo tanto tempo.
Il buffo è che il loro lavoro di indagine in se stessi e nell’altro viene sviluppato nel pub, non di fronte alla terapeuta, sottolineando come l’intervento di terzi possa essere scatenante ma non risolutivo.
Di Canyon Long, la consulente, non sappiamo nulla, vive solo nei loro discorsi al pub, è un elemento esterno irrilevante per la definizione dei protagonisti, che scavano e indagano nella loro vita: il problema è che dividere in tanti frammenti un matrimonio è come smontare un computer, alla fine saprai quali sono i suoi componenti ma non saprai più assemblarli.
Cosa si può fare a quarantaquattro anni, quando tutto, secondo Louise, è out? Out il sesso, out il lavoro, out matrimonio, vita e amici? Si può combattere, non arrendersi alla propria infelicità e alternare momenti migliori e momenti peggiori, come succede in una vacanza in crociera.
Nick Hornby, la vita come una rappresentazione teatrale
C’è, nel romanzo di Nick Hornby, un’impostazione prettamente teatrale, che permetterebbe una immediata trasposizione su un palcoscenico.
La vicenda di Tom e Louise è raccontata in dieci passaggi, dieci capitoli che corrispondono ciascuno a un incontro settimanale nel pub prima della seduta, per un tempo complessivo di due mesi e mezzo, durante i quali Tom lascia la casa familiare e si trasferisce altrove.
Narrazione e descrizione scompaiono nel testo a fronte dei dialoghi, protagonisti indiscussi del romanzo: a prescindere da pochi interventi di comparse che nulla modificano, sono i continui scambi di battute dei protagonisti a renderci nota ogni cosa, dal tempo in cui si sono incontrati per arrivare alla crisi del momento.
La realtà è dunque filtrata dai loro ricordi e dai loro occhi, a volte è in netto contrasto, altre coincide; la conversazione è il mezzo attraverso il quale vogliono ricucire gli strappi, evitando di farlo in presenza di Canyon; la violenza verbale esplode in rari momenti, lasciando spazio ad un confronto più civile.
Nick Hornby ha fatto suo lo humor britannico concedendo ai suoi protagonisti il dono della battuta ironica, delle metafore improponibili, delle riflessioni paradossali.
Perdendo l’intesa sessuale hanno smesso di attrarsi in modo magnetico, ma non è di terze parti la colpa del fallimento, esse sono solo l’inevitabile conseguenza di un matrimonio che di fatto non è più tale.
I matrimoni non muoiono mai di morte improvvisa, sostiene Tom, sono sempre malati da un po’ di tempo prima di tirare le cuoia: in fondo è questo il punto iniziale da cui far derivare il seguito, la volontà di farsi curare o lasciarsi morire.
I dieci incontri da Canyon dovrebbero servire da cura, ma forse saranno più risolutivi gli incontri settimanali al pub, tra battute pungenti, figli reali e altri ipotizzati, tanti “se fosse stato…” e altrettante confessioni sincere.
Queste scene da un matrimonio, che sin dalla partenza ci fanno ricordare il capolavoro di Bergman, vanno in una sola direzione, ovverosia il tentativo di salvare una coppia dal fallimento del loro matrimonio.
Il finale? Una piccola sorpresa, per Tom, per Louise e per i lettori.
TITOLO : Lo stato dell’unione
EDITORE : Guanda
PAGG. 145, EURO 16,00 (disponibile in versione eBook euro 9,99)