Ossa fragili? Potrebbe trattarsi di Osteogenesi imperfetta

Ossa fragili? Potrebbe trattarsi di Osteogenesi imperfetta

Aumento della fragilità scheletrica, diminuzione della massa ossea e predisposizione alle fratture di diversa gravità. Questi i principali sintomi dell’Osteogenesi imperfetta (OI), malattia genetica rara conosciuta anche come “sindrome delle ossa di vetro o cristallo”.

L’Osteogenesi imperfetta, in realtà, comprende un gruppo molto eterogeneo di disordini ereditari principalmente del tessuto connettivo con una prevalenza stimata tra 1/10.000 e 1/20.000 in tutto il mondo, colpisce indistintamente maschi e femmine e l’esordio dipende dalla gravità della malattia (Dati Orphanet).

È causata da mutazioni genetiche che alterano la produzione di collagene, una proteina essenziale per la formazione delle ossa.

A livello clinico, sono state identificate cinque forme di OI.

Il segno clinico più rilevante in tutti i tipi di OI è la fragilità scheletrica che si manifesta con fratture multiple e/o deformità ossee.

In Italia, si stimano oltre un migliaio di casi, con un’incidenza elevata in Sardegna dove si registrano, in generale, oltre 11 mila casi di soggetti affetti da malattia rara.

Focus sui sintomi

I sintomi dell’OI mutano in base alla gravità della malattia. Nei casi più gravi, i neonati possono nascere con fratture multiple già presenti, mentre nei casi più lievi le fratture possono iniziare a manifestarsi solo durante l’infanzia o l’adolescenza.

I sintomi principali includono:

  • Fragilità ossea: le ossa sono molto fragili e possono rompersi con una facilità estrema, anche senza una lesione significativa.
  • Deformità scheletriche: le ossa possono deformarsi e causare una curvatura della colonna vertebrale o delle gambe.

Osteogenesi imperfetta: trattamento

Non esiste una cura per l’OI, ma esistono diverse terapie volte a ridurre la gravità dei sintomi e migliorare la qualità della vita delle persone affette.

“L’osteogenesi imperfetta deve essere sospettata in caso di fratture ricorrenti traumatiche nella stessa sede, di fratture non traumatiche o causate da traumi lievi.

La radiografia è utile per evidenziare alcuni elementi caratteristici che possono indirizzare il sospetto diagnostico”, dice il professore Paolo Tranquilli Leali, Past President SIOT, Presidente della Fondazione SIOT-Delitala e Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore dell’Università di Sassari.

“La mineralometria ossea computerizzata (MOC-DEXA), inoltre, permette di valutare la densità ossea e si esegue dai tre anni in poi a cadenza annuale.

Il trattamento chirurgico si rende necessario per la correzione delle deformità scheletriche e della colonna e, in ottica di prevenzione, di ulteriori fratture ma come sempre nelle malattie croniche e, soprattutto, in quelle rare, è necessario mantenere sempre un alto livello di ascolto e vicinanza nei confronti del malato e dei suoi familiari”.

Nelle forme gravi di Osteogenesi imperfetta la terapia standard prevede l’utilizzo dei bifosfonati, farmaci per contrastare la perdita di densità minerale ossea e ridurre il dolore osseo e il rischio di frattura, e dell’ormone della crescita (GH).

Molto importante è la prevenzione del deficit di vitamina D e calcio nel paziente.

La fisioterapia precoce, inoltre, è fondamentale per aiutare a mantenere la forza muscolare, migliorare la mobilità e l’autonomia del paziente attraverso la valutazione dei deficit motori e la riduzione del rischio di cadute.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

Il trattamento dell’osteogenesi imperfetta deve avere un approccio multidisciplinare quindi: medico, ortopedico, fisioterapico e riabilitativo, che coinvolga diversi specialisti.

L’obiettivo principale della cura è quello di migliorare la qualità della vita della persona affetta, riducendo il rischio di fratture e prevenendo le complicanze associate alla malattia.

Inoltre, è importante fornire supporto psicologico e sociale alla persona e alla sua famiglia, in quanto la malattia può avere un impatto significativo sulla qualità della vita e sull’autostima della persona.

“Crediamo che per tutte le patologie e ancor più per quelle rare, la multidisciplinarietà e l’empowerment del paziente rappresenti uno strumento fondamentale per la gestione ottimale ed efficiente della terapia”, dice Antonella Celano, Presidente APMARR.

“Per questo motivo, il percorso di cura deve andare verso il paziente che va ascoltato e coinvolto, insieme al caregiver”.

 

 

 

 

 

 

 

Immagine copertina di Ivan Samkov https://www.pexels.com/it-it/foto/mani-penna-alla-ricerca-medico-4989186/

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