Sono 18 milioni nel mondo di cui 230 mila le persone che ogni anno in Italia perdono la vita per cause cardiovascolari, un numero destinato a crescere oltre il 34% e che nel 2030 raggiungerà i 24 milioni: circa 66.000 decessi al giorno.
Un dato che preoccupa, in questo anno e mezzo infatti la pandemia COVID ha ridotto le prestazioni ai pazienti, in particolare la prevenzione cardiovascolare e l’attività diagnostica , facendo aumentare la mortalità. Ecco qualche dato: l’attività chirurgica è diminuita tra il 50 e l’85% , 55% in meno degli interventi di cardiochirurgia, 75% degli ecocardiogrammi trans esofagei e delle attività diagnostiche per cardiopatia ischemica, del 10% di nuove diagnosi di scompenso cardiaco e del 30% di invio allo specialista, e ad un aumento del 20% della mortalità cardiovascolare e di quella generale.
La prevenzione cardiovascolare inizia in città
Sappiamo che il COVID-19 ha praticamente interrotto le cure ambulatoriali e i percorsi diagnostico-terapeutici di molte altre patologie, come quelle cardiovascolari. Il rischio è preoccupante sopratuttto nelle aree urbane: si calcola infatti che, nel 2050, la percentuale di persone che abiterà nelle città arriverà al 74%. L’Oms prevede che il 63% della mortalità globale, sia dovuto a malattie non trasmissibili, e buona parte di queste morti è attribuibile a rischi legati all’urbanizzazione e alla crescente sedentarietà. Di conseguenza la prevenzione cardiovascolare dovrà basarsi anche sulla correzione di questi specifici fattori di rischio: stili di vita meno sani, controllo dell’ipertensione e l’ipercolesterolemia, ma anche su una buona assistenza sanitaria e sulla prevenzione primaria e secondaria.
Dati allarmanti
Tra le malattie cardiovascolari, lo scompenso cardiaco che colpisce circa 1 milioni di italiani sopra i 40 anni, è la prima causa di ricovero nelle persone con oltre 65 anni. Purtroppo questo evento è associato a tassi di mortalità altissimi: 1 paziente su 25 non sopravvive al primo ricovero, il 10% muore entro 30 giorni dal ricovero, fino al 30% entro un anno dal ricovero.
Preoccupano anche i dati legati all’ipercolesterolemia, il principale fattore di rischio delle cardiopatie ischemiche prima di fumo, diabete, ipertensione e obesità.
Senza contare che entrambe le patologie hanno costi di gestione sanitara elevatissimi.
La prevenzione cariovascolare da sola non basta
La consapevolezza che la gestione delle complicanze cardiovascolari possa diventare la più grande crisi sanitaria per il sistema sanitario dopo il COVID-19, il City Health Institute ha lanciato un messaggio di invito ad agire con urgenza per disporre piani e politiche nazionali in grado di megliorare la situazione riguardo le patologie cariovascolari, suggerendo alcune priorità molto tecniche che, comunque, vi riportiamo testualmente.
- Strutturare modelli di medicina di iniziativa, per una presa in carico più “proattiva” dei pazienti cronici
- Ripensare un modello assistenziale orientato verso un’offerta territoriale integrata con i servizi sociali, prevedendo percorsi codificati e condivisi con i cittadini e puntando sulla prossimità
- Rendere omogeneo l’accesso alle cure, anche innovative, ai pazienti su tutto il territorio nazionale
- Ripristinare l’attenzione dei cittadini verso la propria salute del cuore perché diventino parte attiva del percorso di prevenzione e cura.
Su questi punti si sono confrontati le società scientifiche Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), Società Italiana di Cardiologia (SIC), Società Italiana per la prevenzione cardiovascolare (SIPREC), Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi (SISA), le associazioni pazienti Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (AISC), Fondazione Italiana per il Cuore e GIP-FH – Gruppo Italiano Pazienti per l’Ipercolesterolemia F