Il cibo, non ha solo un valore nutritivo, è anche un valore psicologico e sociale. Nutrirsi è un po’ come comunicare agli altri chi siamo. Nell’alimentazione la presenza degli altri e le relative risposte alla loro presenza sono molto importanti. Pensiamo al significato simbolico del “mangiare insieme” o del “mangiare con qualcuno”, pensiamo all’espressione linguistica che descrive una situazione opposta ”non ho mai mangiato con te” nella quale il messaggio dominante è “non abbiamo nulla da condividere”. Insomma, i comportamenti alimentari sono un messaggio importante del nostro modo di concepire la vita.
Il rapporto con il cibo identifica il rapporto che abbiamo con il nostro io. Quando una persona ha un cattivo rapporto con se stessa, cioè non si piace, è molto difficile che possa sentirsi accettata dagli altri. Le diete, per esempio, sono uno degli strumenti più utilizzati per raggiungere l’obiettivo di “piacersi” per “piacere”. Spesso, però, le diete vengono iniziate e mai finite.
Comportamenti alimentari: la confusione viene anche dai media
Mai come oggi, sono stati pubblicati tanti libri di cucina, tante trasmissioni TV sono dedicate al cibo, non è mai successo che ci fosse tanto interesse per le tradizioni alimentari nazionali ed etniche. Purtroppo è in aumento anche l’offerta di prodotti precucinati, take-away e fastfood inventati dall’industria alimentare . Non ci interessiamo realmente alla qualità di quello che mangiamo: ci accontentiamo di distinguere fra cibi dannosi e sicuri alla salute.
Ma che cos’è un buon cibo? E soprattutto: come si arriva a sceglierlo?
Giornali, web, tv dispensano consigli nutrizionali su come scegliere cibo salutare, mettendo in secondo piano gioia, piacere e qualità che, a nostro parere, sono altrettanto importanti.
I comportamenti alimentari nascono in culla
Mangiare non è solo un atto concreto di sopravvivenza ma anche elemento di affettività e di relazione con gli altri. Il neonato e poi il bambino “sente” come le persone che si prendono cura di lui non sono indifferenti al cibo che assume, e molto presto scopre che il suo modo di alimentarsi, può diventare strumento di potere. Il bambino percependo questo effetto utilizza il suo potere per ottenere qualcosa. E’ qui che nascono molte delle problematiche nutrizionali che investono gli adolescenti.
Dopo la pappa, cibo da “grandi”
Quando il bambino cresce e può mangiare qualcosa di diverso dalla pappa, il suo cibo dovrebbe essere uguale a quello degli adulti, tutti sanno che è meglio dare piccoli bocconi spezzettati, ma gli esperti consigliano di presentare le pietanze prima nella loro forma intera. Per esempio: le polpette con patate dovrebbero essere lasciate belle intere, in modo che il piatto del bambino sia uguale a quello dell’adulto, e solo in un secondo tempo bisognerebbe sminuzzare il tutto. Anche il rifiuto dei piccoli a mangiare la verdura sarebbe dettato dalla loro irriconoscibilità una volta spezzettate o peggio frullate.
I comportamenti alimentari si orchestrano in famiglia
La maggior parte dei bambini attraversa fasi in cui predilige esclusivamente un particolare cibo. Non è un problema dire: “Basta“, si deve però rinunciare all’idea di giustificare la decisione criticando i gusti del bambino o facendogli una “predica” sui principi di un’alimentazione sana. È sufficiente dire più semplicemente: “Oggi no, ti preparo qualcos’altro”.
Le fasi monomaniacali si possono prevenire, in una certa misura, invitando i bambini ad essere partecipi nella scelta dei cibi che entrano in casa, per esempio, portandoli con noi a fare la spesa , scegliendo insieme le ricette da fare in cucina. Non ci si può aspettare naturalmente che già a sei anni i piccoli sappiano distinguere i piatti di qualità e riconoscano gli ingredienti, possiamo però inseganre loro a usare le mani, gli occhi e il naso per conoscere ed assaggiare un alimento ancora crudo appena arrivato a casa.
Diventare degustatori: un gioco che fa bene
Facciamo provare la differenza tra una cotoletta preparata con carne di bassa categoria e una tenera e gustosa fatta con carne di prima scelta. Diamo l’occasione di apprezzare il profumo e il sapore di una mela nostrana di stagione confrontandola con una mela cerata proveniente dall’estero. Diamo ai bambini la possibilità di sperimentare la differenza tra un’insalata coltivata nell’orto e una cresciuta nei trucioli di legno; fra un pomodoro fresco appena colto dal campo e il suo parente povero importato da zone lontane, fra gli hamburger delle catene di fastfood e una buon hamburger di vera carne di manzo. Facciamo vedere e gustare la differenza tra una tavoletta di cioccolato di qualità mediocre e un cioccolato di buona qualità. Facciamo capire e gustare la differenza tra una carota fresca e succosa e una raggrinzita e legnosa, o fra una molliccia e troppo cotta e una che dopo la cottura conserva la sua consistenza e il suo sapore.
Spettatori da seggiolone, poi piccoli cuochi
E’ importante coinvolgere il più presto possibile i bambini mentre si preparano i pasti. I genitori dovrebbero posizionare il seggiolone vicino al tavolo di cucina. Non appena sono in grado di esprimere preferenze li si può invitare a collaborare. Intorno ai tre anni sarebbe consigliabile proporgli un giorno fisso alla settimana per cucinare assieme, sicuramente non molti bambini di 3 anni saranno attratti in modo serio e continuativo dall’arte culinaria ma per loro è molto significativo stare con i genitori e avere al tempo stesso l’opportunità di sentirsi utili.
Tra i cinque e i dieci anni l’approccio alla cucina dei bambini è particolare, alcuni osservano altri amano il lavoro pratico, alcuni imparano con le mani mentre altri assimilano con gli occhi. Ricordiamoci sempre che i differenti comportamenti alimentari dei bambini non sono solo innati, ma vengono modellati dall’interazione e dall’educazione. Alcuni cibi dei fastfood (pochi in realtà) sono di ottima qualità come certi panini fatti con pane fresco e buoni ingredienti, il resto rientra nella categoria del junkfood, una parola che richiama la spazzatura e le droghe, dunque alimenti scadenti che provocano dipendenza.
Fastfood e Junkfood: comportamenti alimentari ad alto rischio
Questi prodotti che non definiamo “cibo” hanno in comune un valore nutrizionale praticamente inesistente, perché sono confezionati con gli ingredienti più economici, bisogna però accattare l’esistenza del junkfood, esattamente come abbiamo coscienza dell’esistenza di pessimi libri, brutti film o di molte altre cose scadenti presenti nella società contemporanea. Spetta al singolo fare delle scelte consapevoli, in questo caso ai genitori. La maggior parte dei bambini va pazza per i prodotti del junkfood, di conseguenza papà e mamma devono formulare norme e regole realistiche perché possano essere rispettate. Merendine negli intervalli a scuola, snack al cioccolato a merenda e due sacchetti di patatine la sera è chiaramente troppo.
In linea generale dovremmo proporre la norma che il junkfood rappresenta un’eccezione, non è pensabile che alla richiesta delle patatine si possa rispondere ogni volta con una carota, ma stabilire restrizioni in campo alimentare è essenziale per costruire uno stile alimentare virtuoso.
Junkfood risponde a un bisogno sociale, il bisogno di “fare come gli altri”. Per questo non ha senso cadere nel fanatismo e pronunciare divieti che nessun ragazzino può osservare con gli amici. I genitori devono trovare un equilibrio fra la propria cultura alimentare e la vita sociale al di fuori delle quattro mura domestiche.