Le foreste sono lì da ancor prima che gli uomini calpestassero il suolo terrestre, eppure, oggi, sono in pericolo.
E i numeri, purtroppo, parlano chiaro. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Nature nel 2015, il numero di alberi sulla Terra, dalla prima rivoluzione agricola di 10.000 anni fa, si sarebbe dimezzato: da 6.000 a 3.000 miliardi.
Contemporaneamente, noi uomini, siamo passati da 180 milioni a 7 miliardi.
Numeri che spaventano, ma che non portano persone come Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università di Milano, ad arrendersi.
La resilienza del bosco
Nel suo libro “La resilienza del bosco“, Vacchiano ci parla delle intime connessioni presenti nelle foreste, della loro capacità di resistere ai cambiamenti, degli avvenimenti catastrofici che lasciano spazio a nuove forme di vita. Ma il tutto giace sul filo di un rasoio: i cambiamenti climatici renderanno sempre più difficile la sopravvivenza degli ecosistemi.
In un passo del libro, Vacchiano descrive il disastro della tempesta Vaia del 2018, abbattutasi sulle Alpi centro-orientali. L’alluvione aveva fatto franare 10 chilometri di versante montano, devastando il paesaggio. Arrivato sul posto un mese e mezzo dopo, Vacchiano constatò l’enorme disastro e, incredibilmente, che alcune piantine stavano crescendo. Con la caduta degli altri alberi, queste avevano finalmente la possibilità di ricevere la luce dei raggi solari. Tuttavia, l’autore ricorda di averle guardate con il timore che, anch’esse, non avrebbero avuto una vita semplice davanti a eventi meteorologici catastrofici sempre più frequenti.
Forse non è il caso di scomodare Giacomo Leopardi, ma questo passo può essere sovrapposto alla celebre poesia “La ginestra“. Il celebre fiore che cresce sulle pendici del Vesuvio, che resiste alla collera di una natura ostile, che continua a lottare senza arrendersi. Basta sostituire all’equazione la ginestra con le persone, e la natura con i fenomeni atmosferici di un clima impazzito, ed il gioco è fatto.
Bene, come nella famosa poesia, se riuscissimo a unirci per combattere e prevenire questi eventi, forse potremmo davvero rallentare e fermare i cambiamenti climatici di una natura che, se sembra impazzita, ha i suoi ottimi motivi per essere rancorosa nei nostri confronti.
Il ruolo delle foreste nella lotta al cambiamento climatico
Che il cambiamento climatico stia mettendo in pericolo i “polmoni della terra” è, purtroppo, un fatto noto.
Ma, in questo circolo vizioso, le foreste giocano ancora un ruolo fondamentale.
Giorgio Vacchiano sottolinea che le foreste siano in grado di offrire, principalmente, un aiuto su due diversi fronti: mitigazione e adattamento.
La mitigazione delle foreste
Con la parola “mitigazione” si intende il lavoro incessante di filtraggio dell’aria che le foreste svolgono. Le piante, infatti, utilizzano la fotosintesi clorofilliana per crescere e sopravvivere. Per semplificare questo complesso processo chimico, si può dire che, insieme all’acqua e ai raggi solari, assorbono CO2 (anidride carbonica) dall’atmosfera; a questo punto, spezzando le molecole, trattengono in parte il carbonio e rilasciano nuovamente ossigeno nell’aria.
Quindi, tornando alle foreste, è chiaro il motivo per cui le si possa immaginare come immensi filtri naturali per l’anidride carbonica. Infatti, contribuiscono all’assorbimento di 1/3 delle emissioni antropiche, ovvero prodotte dall’uomo, a livello mondiale.
“In Italia le foreste assorbono circa il 10% delle nostre emissioni“, commenta Vacchiano. Il dato non è certo positivo e deriva da due motivi. In primo luogo vi è una sproporzione tra l’eccessiva immissione nell’atmosfera di anidride carbonica, rispetto alla quantità di foreste presenti sul territorio. In secondo luogo, le nostre foreste non sono così “sane“. Ma cosa significa per una foresta essere sana? “Una foresta sana si misura attraverso il suo tasso di crescita e la capacità di fotosintesi, e anche in base alla sua resilienza ai fenomeni estremi“, prosegue Vacchiano.
Se ci pensate, non è molto diverso rispetto a ciò che noi persone intendiamo per salute.
Tirando le somme, non solo è importante che le foreste ci siano per svolgere il loro lavoro, ma devono anche essere sane e, su questo punto, ci torneremo tra poco.
L’adattamento delle foreste
Giorgio Vacchiano usa la parola “adattamento” indicando la capacità delle foreste di sopportare l’impatto ambientale della crisi climatica. Per spiegare questo punto, analizziamo due contesti differenti.
In montagna, per esempio, le foreste svolgono la funzione di barriera per la caduta di massi o frane verso valle. Prendendo il caso delle frane, è opportuno parlare di dissesto idrogeologico. Con questo termine si intende l’insieme dei processi che alimentano la degradazione del suolo e, di conseguenza, la sua instabilità. Se prendiamo il caso di un’alluvione, con conseguenti frane, quasi nulla può fermare lo smottamento del terreno e l’avanzata di fiumi di fango, se non le radici degli alberi. Queste, se ben ramificate nel terreno, aiutano a tenerlo coeso, contrastando, almeno in parte, fenomeni meteorologici di portata estrema.
Inoltre, continuando con il discorso sulle alluvioni, anche l‘esondazione dei fiumi può essere un evento dannoso. La presenza di foreste lungo le sponde dei fiumi consente un maggiore, e più rapido, assorbimento dell’acqua in eccesso, prevenendo l’inondazione dei terreni circostanti.
“In città gli alberi svolgono anche una funzione rinfrescante“, continua Vacchiano. Proprio così, durante le ondate di calore estive, il verde urbano può contribuire ad abbassare le temperature anche di 5-6 °C. Credo sia capitato a tutti, infatti, di passeggiare in un bosco e di aver provato questa piacevole sensazione di refrigerio.
Come si manifestano i segni del cambiamento climatico sulle foreste?
Se è vero che le foreste possono contribuire ad allentare gli effetti della crisi climatica, bisogna considerare che, anche loro stesse, ne subiscono le conseguenze.
Il Professor Giorgio Vacchiano ci aiuta a delineare i punti principali.
- Risposta lineare rispetto alla presenza d’acqua. Le piante hanno bisogno di acqua e umidità per la fotosintesi. Per questo, siccità e carenza d’acqua, riducono drasticamente la crescita delle piante. “Quest’estate abbiamo assistito a un triste fenomeno; le piante lasciavano cadere a terra le loro foglie per risparmiare la poca acqua a disposizione”, commenta Vacchiano. Un fenomeno senza precedenti nel periodo estivo, indice di una smodata siccità.
- Relazione a campana rispetto ai cambiamenti di temperatura. Il grafico a campana presenta una punta o apice che scende, più o meno gradualmente, verso i lati, proprio come una campana. In questo caso, indica che le piante hanno bisogno di temperature ben precise per svolgere al meglio le loro funzioni vitali, e le riducono drasticamente se le temperature aumentano o diminuiscono. “Nelle zone artiche un aumento di temperatura potrebbe anche giovare alle foreste, discorso diverso per le zone tropicali nelle quali, un aumento di qualche °C, porterebbe le piante a risentirne notevolmente”, prosegue Vacchiano. In poche parole, alcune foreste potrebbero essere soggette, in futuro, a temperature ottimali ma, molte altre, dovrebbero far fronte a ondate di calore non più sostenibili.
- Problemi di germinazione dei semi. Dopo periodi prolungati di siccità e incendi, il terreno non contiene più le sostanze nutritive adatte perchè nuove piante possano nascere e crescere. Questo fenomeno contribuirebbe a cambiare l’intero paesaggio, portandolo sempre più verso la desertificazione.
- Alterazione delle perturbazioni. Non sono in molti a sapere che le foreste, si pensi per esempio a quella amazzonica, contribuiscono alla formazione di nuvole e perturbazioni atmosferiche. “Le foreste sono pompe d’acqua formidabili, sprigionano umidità e vapore acqueo nell’atmosfera che può spostarsi per moltissimi chilometri”, afferma Vacchiano. Questi “fiumi atmosferici” provenienti dall’Amazzonia combattono la siccità e la desertificazione anche nelle regioni meridionali degli Stati Uniti e, talvolta, possono arrivare fino in Europa. Ma, come è facile dedurre, la deforestazione indiscriminata e fenomeni meteorologici estremi stanno riducendo notevolmente la superficie di foreste nel mondo, alterando, di conseguenza, anche le perturbazioni atmosferiche.
Da pozzo a fonte
Abbiamo visto come le foreste siano in grado di filtrare l’anidride carbonica restituendo ossigeno all’atmosfera. Ma, a questo punto, una domanda sorge spontanea. Che fine fa il carbonio?
Il carbonio, smantellato dalla molecola di anidride carbonica mediante la fotosintesi, rimane “imprigionato” nelle piante. Questo processo prende il nome di “sequestro del carbonio” e basta pensare che, questo elemento chimico, compone quasi il 50% del legno.
Tuttavia, quando un albero muore, può essere decomposto da batteri e funghi che riportano il carbonio allo stato gassoso, liberandolo nell’aria. Stesso discorso vale per gli incendi che, bruciando gli alberi, sprigionano nell’atmosfera enormi quantità di carbonio allo stato gassoso.
“Stiamo assistendo alla trasformazione delle foreste da pozzi di carbonio a vere e proprie fonti“, continua allarmato Vacchiano. Alcune foreste, ormai sature di carbonio, iniziano a sprigionarne nell’aria più di quanto riescano ad assorbirne. Un bilancio drammatico, in particolar modo per chi sostiene erroneamente che le foreste possano essere la nostra unica soluzione.
Con un po’ di ironia, si potrebbe dire che se non dovessimo svegliarci in grado di respirare anidride carbonica e capaci di emettere ossigeno nell’aria, potremmo avere qualche problema in futuro.
Cosa possono insegnarci le foreste
Il 12 Novembre dello scorso anno, a Glasgow in Scozia, si è conclusa la COP26, ovvero la conferenza sul clima organizzata annualmente dalle Nazioni Unite. I delegati dei Paesi partecipanti hanno espresso un parere unanime: siamo indissolubilmente legati agli ecosistemi che ci circondano e dobbiamo preservarli per garantire la sopravvivenza della nostra e delle altre specie.
Parole che ai più possono risultare scontate, devono invece risuonare come monito, e non c’è più tempo per esitare.
“Siamo connessi e intrecciati alla biodiversità e agli ecosistemi che ci circondano, non possiamo stravolgerli o le conseguenze saranno gravissime e imprevedibili“, continua Vacchiano. Con biodiversità ed ecosistemi si intendono, rispettivamente, la varietà degli organismi viventi e il determinato contesto di appartenenza.
Di certo se il mondo non avesse mai visto sorgere grattacieli e sfrecciare auto rombanti, ora i suoi verdi polmoni non starebbero tossendo. Tuttavia, anche noi come specie abbiamo il diritto di ritagliarci il nostro spazio e, allo stesso tempo, abbiamo anche il dovere di non calpestare il prato dei nostri vicini.
“Nel mondo nulla è statico; tutto è sensibile e in costante evoluzione“, continua Vacchiano. Per questo non potremo contare solamente sulle foreste per far fronte ai problemi di un clima sempre più imprevedibile. “Abbiamo il dovere di preservarle, e di sfruttare l’aiuto che vogliono offrirci“, conclude Vacchiano.
Foto di eberhard grossgasteiger: https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-di-foggy-forest-1367192/