Endometriosi: patologia molto diffusa ma raramente riconosciuta
Salute

Endometriosi: patologia molto diffusa ma raramente riconosciuta

22/03/2021
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L’endometriosi è una delle più frequenti malattie benigne ginecologiche.

Può essere causa di dolori all’apparato riproduttivo, intestino, reni e vescica oltre che di infertilità.

Colpisce 1 donna su 10, debilitandola con forti sanguinamenti, crampi e dolori addominali, con importanti ripercussioni sulla qualità di vita e sull’umore.

Molto diffusa, spesso dolorosa, complessa da diagnosticare e senza indicazioni chiare sulla causa.

Se ne parla molto a marzo, grazie al mese dell’endometriosi, ma non abbastanza, vista la difficoltà di offrire soluzioni definitive a chi ne soffre.

Un problema che accompagna la vita di molte donne che si ritrovano a dover gestire il controllo del dolore ma anche quello del flusso molto abbondante e improvviso”, dice la ginecologa Manuela Farris.

Endometriosi: cos’è

“L’endometriosi è una patologia causata da una localizzazione al di fuori dell’utero di tessuto uterino cioè dell’endometrio, l’intonaco che si sfalda ogni mese con la mestruazione.

Questo intonaco può andarsi a localizzare sui legamenti dell’utero, sulle ovaie ma anche su visceri che occupano le pelvi come l’intestino, la vescica o anche l’alto addome come il diaframma e altri organi”, spiega il dottor Marcello Ceccaroni, direttore ginecologia e ostetricia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

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Cause

Le cause dell’endometriosi non sono ancora del tutto note.

“L’evento scatenante sembrerebbe essere quello della mestruazione retrograda.

Durante il ciclo il sangue nell’utero invece di fluire verso l’esterno, subirebbe un ritorno verso le pelvi.

Ad alcune donne questo tessuto endometriale, cioè tessuto mestruale, attecchisce nel peritoneo, che é questo “lenzuolo” che avvolge tutti gli organi e i visceri.

Questo porterebbe alla crescita anomala del tessuto”, dice Ceccaroni.

Sintomi

“Il corredo di sintomi dell’endometriosi è molto vario però ha una caratteristica: la ciclicità.

Sono sintomi che si associano costantemente al ciclo mestruale, quando la patologia diventa cronica invece possono essere presenti anche tra un ciclo e l’altro.

La mestruazione dolorosa è l’evento più importante ma ci sono altri sintomi come:

  • Il dolore durante i rapporti sessuali.
  • Dolore a urinare, sempre ciclico.
  • Dolore durante la defecazione, un senso di peso e di oppressione proprio durante l’evacuazione.
  • Difficoltà a rimanere incinta.

Il tessuto endometriale diventa un tessuto che ha le caratteristiche di un’infiammazione acuta cioè arrossato é fortemente infiammato.

Ma dall’altra parte è anche un tessuto che ha le caratteristiche di un’infiammazione cronica cioè infeltrito, indurito.

Ed è proprio questa la caratteristica principale, quella nelle sue fasi più avanzate o nelle manifestazioni più aggressive, quella di infeltrire gli organi, di appiccicarli tra loro”, spiega Ceccaroni.

Diagnosi

“Il problema più grave è diagnosticarla.

Tantissimi studi in tutto il mondo testimoniano che il tempo medio di attesa tra l’insorgenza della patologia e la diagnosi è di circa 7 anni.

Questi anni sono legati a un ritardo diagnostico per una sottovalutazione dei sintomi o per una ridotta expertise nel riuscire a porre la corretta diagnosi strumentale e clinica.

Il dolore che si manifesta spesso viene confuso come un forte dolore dovuto al ciclo piuttosto che a una ipersensibilità della paziente.

Quindi non si prende in esame di fare una diagnostica mirata per capire se si tratta di endometriosi.

Bisognerebbe partire già pensando che si tratti di quello, così da poterlo escludere in caso di esito negativo”, sottolinea Ceccaroni.

Trattamenti e innovazioni tecnologiche

“È importante personalizzare il trattamento sulla paziente e non tanto sulla patologia.

Ci sono delle lesioni endometriosi che in alcune donne sono poco sintomatiche e possono rispondere molto bene a dei trattamenti medici e trattamenti ormonali come la pillola contraccettiva.

In questo caso ce ne sono alcune specifiche per la patologia endometriosica.

In altri casi la patologia sfugge al controllo farmacologico e allora è importante valutare anche l’opzione chirurgica”, dice Ceccaroni.

“Negli anni ci sono state molte innovazioni tecnologiche per curare la patologia.

Metodiche mini invasive come la laparoscopia.

Chirurgia mini invasiva che non fa tagli sulla pancia ma utilizza dei fori attraverso cui si introducono degli strumenti.

La tecnologia permette ai chirurgi e all’equipe multidisciplinare di affrontare questa patologia facendo interventi molto grandi anche multi viscerali ossia sull’intestino, sulla vescica, l’utero e gli annessi con metodiche che sono meno invasive, meno aggressive.

L’endometriosi si riesce a risolvere soprattutto quando il trattamento è radicale, cioè la patologia viene eliminata.

In questo caso si è dimostrato che il tasso di recidiva è intorno all’8% nell’arco della vita.

Non è detto che queste pazienti debbano poi ricorrere necessariamente a un secondo intervento.

Perché l’endometriosi essenzialmente deve cercare di essere una patologia non chirurgica.

La chirurgia diventa solo l’uscita di sicurezza quando questa patologia non è più controllabile dalle metodiche farmacologiche a disposizione.

L’endometriosi è una patologia benigna ma si comporta per molti versi, nella sua modalità di crescita come una patologia tumorale.

Quindi l’obiettivo è quello di fare diagnosi sempre più precoci e riuscire a personalizzare o addirittura a rendere inutili dei trattamenti chirurgici proprio perché esistono dei farmaci in grado di tenere la patologia controllata o addirittura farla regredire.

La ricerca sta facendo passi da gigante per cercare di dare risposte nella conoscenza della reazione immunitaria che l’ospite ha verso il nodulo di endometriosi.

Perché tante pazienti con lo stesso quantitativo di patologia hanno dei sintomi diversi e delle risposte diverse alle terapie e quindi questa risposta sta nel sistema immunitario che è codificato dal nostro codice genetico.

Le prospettive future quindi sono arrivare a una diagnosi con tempi sempre più stretti e di riuscire poi a fare degli interventi sempre più mirati”, conclude Ceccaroni.

Come “provare” a conviverci

“Sebbene ci siano diverse opzioni di trattamento, il processo per trovare la soluzione su misura, può essere faticoso e difficile.

Nel caso in cui oltre ai dolori sia presente un flusso mestruale abbondante il problema può essere superato dall’utilizzo di dispositivi medici come le coppette mestruali che richiedono lo svuotamento dopo 8 ore di utilizzo.

È essenziale sviluppare un buon rapporto con il ginecologo per comunicare i sintomi e sentimenti in modo libero e chiaro. 

Non conosciamo la causa esatta dell’endometriosi, ma può essere incredibilmente difficile conviverci, sia fisicamente che emotivamente.

È una condizione a lungo termine ma fortunatamente ci sono trattamenti che possono migliorare la situazione e la qualità della vita.

Ci sono anche molti gruppi di supporto, enti di beneficenza e forum online per condividere il problema, contribuendo a non far sentire sole tutte le donne che ne soffrono”, dice Manuela Farris.

Endometriosi e gravidanza

Nell’ultimo decennio, il progresso nelle tecniche di vitrificazione degli ovociti ha permesso lo sviluppo di efficaci programmi di preservazione della fertilità.

Offrendo sempre maggiori garanzie di una futura gravidanza alle donne la cui riserva ovarica può esser compromessa per diversi motivi.

Tra questi c’è l’endometriosi: circa il 10% delle donne in età fertile soffre di questa patologia.

Nella maggior parte dei casi, implica la necessità di affrontare un percorso di fecondazione assistita per coronare il desiderio di maternità.

Il numero di ovociti crioconservati e l’età della paziente sono fattori chiave per il successo del percorso di riproduzione assistita.

Ma qual è il numero di ovociti da vetrificare per ottimizzare le possibilità di successo del trattamento di PMA (procreazione medicalmente assistita)?

Questa domanda ha dato origine a uno studio condotto dalla dottoressa Ana Cobo, Direttrice dell’Unità di Crioconservazione di IVI.

Lo studio ha dimostrato che maggiore è il numero di ovociti vitrificati, tanto più alte saranno le possibilità di successo del percorso di fecondazione assistita.

In particolare, nelle pazienti di età inferiore ai 35 anni, affette da endometriosi, è stato raggiunto un tasso di successo del 95% nei trattamenti di PMA effettuati a seguito della vitrificazione di circa 20 ovociti.

Mentre, nelle pazienti di età superiore ai 35 anni, il tasso di successo si è attestato intorno all’80%.

Questi dati erano già noti per le donne che si sottopongono al social freezing e a trattamenti di oncofertilità.

Ma non erano ancora stati verificati per le pazienti con endometriosi, per le quali la questione è ancor più rilevante dal momento che, per loro, il rischio di esaurimento prematuro della riserva ovarica è maggiore.

Questa ricerca intende fornire uno strumento in più ai medici specialisti in fecondazione assistita e alle pazienti con endometriosi.

Per stabilire aspettative realistiche circa le loro possibilità di concepimento, sulla base degli ovociti vitrificati”, ha affermato la dottoressa Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzato in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma.

Endometriosi: lo studio

Lo studio ha preso in esame i dati di 485 pazienti affette da endometriosi che hanno preservato la loro fertilità presso le cliniche IVI in Spagna, tra gennaio 2007 e luglio 2018, e che successivamente hanno cercato una gravidanza.

I risultati indicano l’effetto positivo della giovinezza sugli esiti riproduttivi nelle pazienti con endometriosi.

Tuttavia, occorre fare una precisazione riguardo le pazienti che presentano uno stadio avanzato della malattia o che sono state sottoposte a un intervento chirurgico.

Infatti, prelevare circa 15-20 ovociti per la vitrificazione (verosimilmente in due cicli di stimolazione) è relativamente facile nel caso di donne giovani.

Mentre in alcune pazienti la riserva ovarica potrebbe essere compromessa già al di sotto dei 35 anni, specialmente se si sono sottoposte a un intervento chirurgico.

A questo riguardo, uno studio precedentemente condotto dalla dottoressa Cobo ha dimostrato che le giovani donne hanno ottenuto risultati migliori quando si sono sottoposte al trattamento di preservazione della fertilità prima dell’intervento di rimozione chirurgica dell’endometrioma ovarico.

“Questo studio è fondamentale per la consulenza medico-paziente nei casi di endometriosi.

E nello stesso tempo, è uno strumento molto utile nella cura delle donne che soffrono di questa patologia”, dice Galliano.

“Esistono diversi trattamenti in grado di ridurre il dolore, di preservare la fertilità e migliorare notevolmente la vita delle pazienti che ne sono affette.

Il tipo di trattamento dipende dallo stadio della malattia, dal danno alle ovaie e dall’età della paziente.

L’endometriosi può risultare fortemente invalidante e può essere causa di infertilità.

Quello che consiglio alle donne che sospettano di esserne affette è di effettuare gli esami necessari per diagnosticarla precocemente, per migliorare il prima possibile la loro qualità della vita.

In particolare, è bene far presente, anche e soprattutto alle più giovani, che forti dolori durante il ciclo o durante i rapporti sessuali non sono normali.

Consultare uno specialista quanto prima è fondamentale per intervenire e arginare l’avanzamento della malattia”, conclude la dottoressa Galliano.

Endometriosi: la ricerca continua

l’Irccs “Burlo Garofolo” di Trieste ha avviato un progetto che si ripropone di indagare le cause genetiche e ambientali dell’endometriosi, una malattia che causa notevoli sofferenze a un gran numero di donne.

L’endometriosi, infatti, è una patologia cronica caratterizzata dalla presenza di endometrio, tessuto che tipicamente riveste l’utero, in sedi extrauterine come ovaie, intestino o vagina, portando quindi a una reazione infiammatoria a carico di pelvi e addome.

Ancora oggi resta un disturbo sottostimato perché poco conosciuto e difficile da identificare con chiarezza.

Si ritiene che in Italia circa 650mila donne tra i 15 e i 50 anni ne siano colpite.

“Con questo progetto, che vede coinvolti più specialisti tra genetisti, ginecologi, microbiologi e immunologi, si investe ulteriormente nella ricerca.

Grazie a questo studio riusciremo a conoscere a quali profili genetici sia legata una certa suscettibilità nello sviluppo della patologia.

Sarà così possibile predisporre un percorso diagnostico e terapeutico specifico per ogni paziente, dando risposte tempestive e mirate”, dice il Vicepresidente della Regione Fvg con delega alla salute, Riccardo Riccardi.

Il progetto

Il progetto si propone di studiare, in un gruppo di circa un centinaio di donne che soffrono di endometriosi, una correlazione genotipo-fenotipo.

Questo per vedere quali varianti genetiche siano legate all’insorgenza della patologia e all’entità della sintomatologia.

Si parla di dolori durante le mestruazioni, all’atto sessuale e durante la minzione causati dalla formazione e infiammazione di cisti più o meno grandi.

Il profilo genetico e fenotipico di queste donne sarà confrontato con quello di un gruppo di controllo di soggetti sani per valutarne le opportune differenze.

Alle donne reclutate verrà prelevato, oltre a un campione di sangue, anche una porzione di tessuto endometriosico.

Asportato con un intervento chirurgico minimamente invasivo, svolto a scopo terapeutico per cercare di risolvere la patologia.

“Il Dna estratto da un prelievo di sangue di ogni paziente sarà analizzato in modo molto accurato.

Questo grazie a tecnologie di ultima generazione, al fine di identificare quali varianti genetiche siano presenti, e in che modo esse possano essere coinvolte nell’insorgenza della malattia.

Si partirà dall’analisi di geni già noti in letteratura per essere coinvolti nello sviluppo della malattia per proseguire poi alla possibile identificazione di nuovi geni”, dice Giorgia Girotto, ricercatrice universitaria e genetista presso la Struttura Complessa di Genetica Medica del Burlo

Endometriosi e sistema immunitario

Un ruolo molto importante nello sviluppo della patologia endometriosica è svolto anche dal sistema immunitario.

In quanto solitamente cellule che si localizzano in sedi ectopiche, ovvero dove normalmente non si dovrebbero trovare, sono rimosse da cellule del sistema immunitario.

Questo processo non avviene nelle donne che sviluppano la malattia: questo potrebbe essere indice di una disfunzione immunologica presente nelle pazienti con endometriosi.

Importante sarà capire, dal punto di vista immunologico, come determinate varianti geniche siano coinvolte nei processi di sviluppo delle lesioni.

“In particolar modo, ci si concentrerà sul ruolo di uno specifico componente del sistema immunitario, ovvero il sistema del complemento.

Una vera e propria cascata di enzimi che partecipa al processo di difesa contro i patogeni.

Come è stato visto in un recente studio condotto su modelli animali, contribuisce allo sviluppo delle lesioni endometriosiche attivando le mastcellule, particolari cellule immunitarie importanti proprio nell’insorgenza di dolore e infiammazione”, spiega Chiara Agostinis, ricercatrice presso la clinica ostetrica e ginecologica.

Fattori ambientali

Un altro aspetto analizzato è quello relativo allo sviluppo della malattia legato a fattori ambientali.

Si ipotizza che il ferro sia coinvolto nella genesi e nella progressione della malattia.

In quanto questo metallo si libera durante le emorragie cicliche e tende ad accumularsi nei tessuti circostanti le lesioni endometriosiche.

Soprattutto a livello dell’ovaio, cosa che potrebbe comportare un aumentato rischio di infertilità.

“Si vuole capire da cosa sia determinato l’accumulo di ferro e quanto questo sia collegato a un’esposizione a certi metalli inquinanti.

Inoltre, si cercherà di comprendere se ci sia una certa predisposizione genetica responsabile dell’accumulo di ferro e di metalli ambientali, nonché dei loro effetti”, dice dichiara Lorella Pascolo, ricercatrice presso la clinica ostetrica e ginecologica del Burlo.

Anche il ruolo dei microbiologi sarà determinante per analizzare il microbiota vaginale e fecale per vedere se ci siano alterazioni in donne con endometriosi rispetto al gruppo di controllo.

“Grazie a questo studio, conoscendo a quali profili genetici sia legata una certa suscettibilità nello sviluppo dell’endometriosi, si potranno indirizzare le pazienti che presentassero queste specifiche varianti geniche verso un percorso diagnostico e terapeutico tempestivo e mirato”, conclude Giorgia Girotto.

Endometriosi: un nuovo farmaco rimborsabile (Aggiornamento del 05/09/2024)

Una notizia importante per le donne che soffrono di endometriosi. Il farmaco Visanne, contenente il principio attivo Dienogest per la terapia di prima linea e fra i più prescritti nella cura di questa patologia, è stato inserito nella fascia A del Servizio sanitario nazionale.

Si tratta di un nuovo significativo passo avanti per l’accesso alle cure, ma anche per il riconoscimento della patologia, che fino a pochi anni fa era ancora poco conosciuta e che tuttora richiede spesso un iter diagnostico troppo lungo. 

L’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, da oltre 18 anni impegnata nella difesa dei diritti delle donne con endometriosi, accoglie con soddisfazione la notizia che dimostra come sulla patologia e sui costi ad essa connessi si stia iniziando a porre maggiore attenzione.

“L’endometriosi spesso pesa in maniera importante sull’economia delle donne che ne sono affette. Alcune di loro rinunciano a curarsi perché non hanno la disponibilità per farlo. Complici anche le difficoltà che affrontano nel mondo del lavoro e le mancate tutele. Non dover quindi pagare la pillola è sicuramente un grande aiuto e un primo importante passo verso un’equità di diritti. Tuttavia, la terapia deve essere sempre prescritta dal proprio ginecologo di fiducia. Pertanto si consiglia di non modificare la propria terapia in base al farmaco che si trova in fascia A, ma di restare fedeli al percorso indicato dal proprio medico il quale sceglie il farmaco in base alle specifiche esigenze terapeutiche della paziente”, commenta Annalisa Frassineti presidente dell’A.P.E.

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