Allevamenti: un taglio alla carne in attesa che diventi più etica
Alimentazione

Allevamenti: un taglio alla carne in attesa che diventi più etica

04/11/2022
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Gli allevamenti e le relative filiere legate alla produzione di carne, sono un modello superato?

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma“, affermò Antoine-Laurent Lavoisier, chimico francese del ‘700. Il suo discorso trovava contesto nella chimica, parlando più precisamente della materia che compone qualsiasi sostanza; che possa, questa stessa massima, essere applicabile anche al futuro degli allevamenti?

I nostri antenati, migliaia di anni fa, sono passati dall’essere cacciatori-raccoglitori a più organizzati allevatori-agricoltori. Si potrebbe, quindi, affermare che l’allevamento sia, quasi da sempre, nella cultura dell’essere umano. E l’allevamento, seguendo la tesi di Lavoisier, dovrà sapersi adattare ai cambiamenti che la situazione attuale ci impone. La stessa che siamo stati noi a creare.

Se esistesse una soluzione unica e netta in stile “nodo gordiano”, come l’intuizione di Alessandro Magno che con un fendente di spada lacerò il famoso nodo diventando imperatore, questo tema non sarebbe così dibattuto.

Tuttavia, mettendo insieme considerazioni ambientali, etiche, economiche e di salute, proviamo a capire quale sarà il futuro degli allevamenti. E, se la prossima volta che mangeremo una bistecca ci chiederemo come è arrivata sulle nostre tavole, avremo fatto un piccolo-grande passo.

Allevamenti e inquinamento ambientale

È fatto noto che gli allevamenti e i processi legati alla produzione di carne da consumare abbiano un notevole impatto ambientale.

Un articolo del 2020 di Greenpeace, la celebre Organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, afferma che l’impatto ambientale degli allevamenti, in Europa, superi addirittura quello delle automobili. Dal 2007 al 2018 le emissioni annuali di gas climalteranti sono aumentate del 6%, l’equivalente di 8,4 milioni di auto in più sulle strade europee.

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Giorgio Vacchiano

“In Italia, l’inquinamento derivante dagli allevamenti contribuisce al 7% delle emissioni di gas serra. Nel mondo, la cifra si aggira attorno al 15%”, commenta Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università di Milano.

Quindi, cerchiamo di chiarire in cosa consiste l’inquinamento prodotto dagli allevamenti.

“È opportuno suddividere questo tipo di inquinamento in due categorie: climatico e chimico“, prosegue Vacchiano.

  • L’inquinamento climatico consiste nell’emissione di gas climalteranti nell’atmosfera, ovvero i responsabili del cosiddetto “effetto serra“. I gas prodotti dagli allevamenti sono, principalmente, anidride carbonica e metano. La produzione di mangimi, che vengono spesso prodotti a partire dalla soia in Sud America , richiede che enormi porzioni di foreste siano disboscate per lasciare spazio a terreni coltivabili. Una drastica riduzione dei “verdi polmoni” amazzonici. Questa impronta inquinante viaggia nel mondo seguendo la soia. Utilizzare come mangime questo cereale coltivato in maniera indiscriminata, può incidere sull’ambiente persino per animali allevati in Italia. Una sorta di inquietante effetto farfalla.
  • L’inquinamento chimico deriva, invece, dai residui di azoto dei reflui e delle deiezioni animali. Questi, se non smaltiti correttamente, possono filtrare nel suolo e, attraverso le acque sotterranee, giungere fino a mari e oceani. Qui, avviene il processo di eutrofizzazione, ovvero la fertilizzazione delle alghe. Queste, moltiplicandosi a dismisura e decomponendosi, consumano l’ossigeno circostante creando le cosiddette “zone morte” nelle quali nessuna creatura può sopravvivere.

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Allevamenti intensivi ed estensivi

La carne che consumiamo, ormai, è diventata un bene comune e non più di lusso come un tempo. Il motivo? Una forma di allevamento che massimizza la produzione minimizzando i costi: l’allevamento intensivo.

Allevamento intensivo

Gli allevamenti intensivi, infatti, sono un modello industriale su grande scala che si basa su enormi quantità di animali, cresciuti in spazi ridotti, destinati a diventare cibo.

Dalla loro parte hanno il grande vantaggio di sfruttare poco territorio, prevenendo, almeno in parte, la deforestazione per creare nuovi terreni di pascolo.

Proprio per questo motivo, il loro impatto climalterante, secondo alcuni studi, è inferiore al secondo tipo di allevamento, ovvero quello estensivo.

Con allevamento estensivo si intende il lasciar pascolare semi-liberamente gli animali destinati alla produzione di carne e ciò richiede molto spazio.

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Allevamento estensivo

“Dal punto di vista prettamente climatico di impatto ambientale, gli allevamenti intensivi sono più efficienti. Tuttavia, è opportuno non confondere questo discorso con punti di vista etici“, afferma Vacchiano.

Infatti, la demonizzazione degli allevamenti intensivi, deriva proprio da questo: potranno mai essere felici animali che vivono ammassati in ambienti artificiali? Si potrebbero aprire numerose argomentazioni a riguardo, ma rischiamo di scoprire, con uno sguardo più attento, che in questo caso proclamarsi animalisti non corrisponde a essere ambientalisti.

Ciò che è certo, è che la “catena di montaggio” degli allevamenti intensivi presenta altri due problemi: lo smaltimento dei reflui e la zoonosi.

Un gran numero di animali in spazi ridotti equivale ad avere enormi quantità di deiezioni da gestire correttamente, o si rischia che i residui di azoto inquinino l’ambiente, come spiegato in precedenza. Discorso diverso per gli allevamenti estensivi, nei quali i reflui non sono così concentrati rispetto al territorio pascolato.

Se smaltiti correttamente e opportunamente trattati, i reflui animali possono rappresentare un’importante risorsa energetica“, continua Vacchiano.

Con il termine zoonosi, invece, si intende il passaggio di infezioni e malattie da animali a uomini. Ambienti stretti e sovrappopolati possono portare a una carenza igienica, agevolando la diffusione di queste malattie.

E, purtroppo, abbiamo tutti presente a cosa abbia portato l’ultimo “salto di specie” da dicembre 2019, sebbene non sia direttamente collegato agli allevamenti.

Il caso dei bovini

I bovini appartengono alla categoria dei ruminanti, ovvero animali erbivori dotati di molteplici suddivisioni dello stomaco. Il materiale vegetale che consumano, essendo di difficile digestione, dopo essere stato ingerito torna nella bocca per essere nuovamente masticato; infine sarà nuovamente ingurgitato e continuerà il suo processo digestivo.

Inoltre, rispetto a cavalli, polli, maiali, definiti animali monogastrici in quanto dotati di un solo stomaco, i bovini hanno un’altra particolarità: la loro digestione si basa sulla fermentazione enterica.

Ciò significa che alcuni batteri, intervenendo nella digestione, scompongono gli alimenti in molecole più semplici. Tuttavia, questi microrganismi produco metano durante il processo, un gas climalterante che le mucche emettono dalla bocca durante le varie fasi di masticazione.

“Il metano è un gas serra 12 volte più potente dell’anidride carbonica, e la sua presenza in atmosfera è aumentata del 170% negli ultimi 150 anni”, spiega Vacchiano. La colpa non è solamente dei bovini, ma l’allevamento di grandi masse di ruminanti ha comunque un impatto su questi numeri.

Tuttavia, al Simposio Scientifico InternazionaleCow is Veg“, tenutosi lo scorso 29 settembre a Roma, si è discusso anche di questi argomenti.

Anne Mottet, responsabile dello sviluppo del bestiame presso FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), si è espressa sul ruolo dei ruminanti definendoli “Animali ad efficiente indice di conversione proteica, in grado di produrre 1kg di proteine assumendo 600g di proteine vegetali”.

Tuttavia, bisogna tener presente il problema sorto in precedenza.

“Per ridurre l’impatto climalterante dell’allevamenti di bovini, è necessario gestire meglio le emissioni di metano“, aggiunge Frank Mitloehner, Specialista della qualità dell’aria nell’estensione cooperativa presso il Dipartimento di Scienze Animali della UC Davis.

La domanda sorge spontanea. Come fare, dal momento che la produzione di metano è intrinseca alla digestione stessa dei bovini?

“Sono in fase di sperimentazione alcune diete innovative per ridurre la produzione di metano da parte dei bovini“, spiega Vacchiano. Questa strada potrebbe, forse, rappresentare una soluzione per quanto riguarda la produzione di metano in allevamento, evitando, in questo modo, di demonizzare i bovini senza proporre soluzioni utili.

Mangeremo carne in futuro?

È una domanda dalla risposta non semplice, soprattutto dopo le premesse fatte. Ma prima di addentrarsi nei meandri di possibili soluzioni e risposte, precisiamo ancora due punti.

“Le filiere legate agli allevamenti si trovano dinanzi alla grande sfida della sostenibilità. Infatti, 1 miliardo e 300 milioni di persone nel mondo vivono grazie al lavoro in zootecnia“, afferma Maurizio Martina, Vicedirettore Generale della FAO. Con zootecnia, per precisare, si intendono le discipline che si occupano della produzione, dell’allevamento e della cura (non in senso clinico-veterinario) degli animali domestici.

Inoltre, “Il settore zootecnico globale utilizza circa 2,5 miliardi di ettari di suolo, il 77% dei quali sono praterie, non coltivabili e, quindi, utilizzabili solamente dagli animali al pascolo. Queste distese, se riconvertite e colture, creerebbero danni ai servizi ecosistemici”, spiega ancora Anne Mottet.

Un’ultima riflessione è stata fatta, sempre al Simposio “Cow is Veg” di Roma 2022, da Miki Ben-Dor, Ricercatore in nutrizione e diete ancestrali presso il Dipartimento di Archeologia dell’università di Tel Aviv. Lui stesso, considerando gli essere umani una specie evolutasi nel Paleolitico come “ipercarnivora“, afferma che ci siamo adattati a una dieta in cui lipidi e proteine, rispetto ai carboidrati, offrono un contributo importante all’approvvigionamento energetico.

Possibili soluzioni e alternative

  • Carne vegetale, composta prevalentemente da verdure, legumi, cereali, per sostituire la carne tradizionale. È un settore attualmente in forte crescita e che sta riscuotendo largo successo in tutto il mondo. Lo stesso Bill Gates, famoso imprenditore e filantropo statunitense, ha donato circa 75 milioni di dollari all’azienda statunitense “Impossible Foods“, la quale promuove prodotti a base di carne vegetale.
  • Carne sintetica, da non confondere con la precedente. Viene creata in laboratorio a partire da cellule staminali di origine animale, ma occupa tutt’oggi una piccola nicchia di mercato a causa degli elevati costi di produzione.
  • Ridurre la quantità di carne che mangiamo. Sia Vacchiano che Sciotti, concordano su questo punto, ribadendo che per troppo tempo abbiamo esagerato con il suo consumo. Per dare un’idea, gli USA hanno un consumo pro capite di carne bovina che è 2-3 volte più alto di quello italiano.
  • Acquistare e mangiare meno carne climalterante, allevata e cresciuta mediante l’utilizzo di mangimi (come quelli a partire dalla soia sud-americana) che hanno un notevole impatto ambientale. Tuttavia, questa carne, è spesso venduta a buon mercato nei nostri supermercati, poichè incidono sul prezzo finale il ridottissimo costo del lavoro estero e l’ormai, quasi abbattuto, costo del trasporto in nave. “Se in queste logiche economiche giocasse un ruolo anche l’impatto ambientale, la situazione sarebbe diversa”, conclude Vacchiano.
  • Migliorare, nell’ottica della sostenibilità sia etica che ambientale, le forme di allevamento intensivo ed estensivo attraverso le soluzioni citate in precedenza.

Pexels, foto di:

Yan Krukov: https://www.pexels.com/it-it/foto/mangiando-agricoltura-fattoria-erba-5216152/

Mehmet Turgut Kirkgoz : https://www.pexels.com/it-it/foto/campo-prateria-mucche-pascolando-11542221/

Julissa Helmuth: https://www.pexels.com/it-it/foto/campo-erba-mucche-pascolo-8633330/

Umberto Urbano Ferrero, collaboratore -Torinese d’origine, cittadino del mondo per credo. Laureato in Lettere moderne, ama l’arte in tutte le sue forme e viaggia per conoscere il mondo, oltre che se stesso. Umberto è appassionato di sport e Urbano, al contrario di ciò che l’etimologia suggerisce, apprezza la vita a contatto con la natura. Ritiene la curiosità una delle principali qualità in una persona, caratteristica essenziale per guardare il mondo da più angolazioni.

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