Ernie addominali: l’intervento più frequente in tutte le sale operatorie

Ernie addominali: l’intervento più frequente in tutte le sale operatorie

Ernie addominali: si tratta della “patologia più frequente in tutte le sale operatorie”. Si interviene chiudendo il buco nel quale si è formata l’ernia con una rete. Si applica una protesi (che può essere a maglie, a cono, o a disco) nel punto nel quale la parete addominale ha subito il cedimento. Le protesi possono essere assorbibili, oppure no. Ma come avviene l’intervento? Proviamo a entrare nella mente del chirurgo.

Abbiamo interpellato in argomento Giampiero Campanelli, direttore Chirurgia generale-Day surgery Istituto clinico Sant’Ambrogio-Milano, professore ordinario di Chirurgia dell’Università dell’Insubria, direttore Milano hernia center (Mhec), editor in chief Hernia journal, Springer-Nature.

Ernie addominali: l’intervento più frequente in tutte le sale operatorie
Giampiero Campanelli

Si tratta di un’operazione frequente?

“Per le ernie addominali, parliamo di 300.000 casi in Italia, due milioni negli Stati uniti”.

Si interviene con azioni personalizzate?

“Si può parlare di chirurgia su misura: i soggetti si distinguono per età, corporatura (un soggetto che pesa 70 chilogrammi e uno che ne pesa 120 pongono problematiche diverse). Poi dobbiamo chiederci se temono l’intervento, se sono sportivi o non lo sono, se hanno un’ernia da cinque mesi, oppure da cinque anni”.

“Ernie addominali”: è una definizione generica?

“Bisogna fare alcuni distinguo. Si determinano casi di ernia inguinale, ombelicale, epigastrica. E ancora: crurale (con protrusione nel cosiddetto canale femorale di un viscere dell’addome), otturatoria, di Spigelio, lombare. Ognuna ha un’identità peculiare e un approccio adatto”.

Ernie addominali: ci sono diversi approcci

Come bisogna operare in caso di ernia addominale?

“Si distinguono diversi approcci. Con l’approccio chirurgico mini-invasivo open si svolgono visita clinica, ecografia e tac. L’intervento avviene in anestesia locale, non ci sono punti. Parliamo di ernie mai operate, senza complicanze, caratteristiche anatomiche nella norma. Si tratta, in sintesi, di casi semplici. Dopo un’ora, il paziente si alza e va a casa. Seguiamolo nel suo iter: arriva in ospedale al mattino e viene portato in reparto. Raggiunge la sala operatoria a piedi. E’ sveglio e viene sottoposto a una blanda sedazione. Si procede alla riparazione dell’ernia con una protesi, secondo i passi che seguono. Dopo l’anestesia viene posta in essere una mini-incisione. Il soggetto viene operato: si ripara l’ernia. Si utilizza una rete, una protesi viene incollata. E’ un intervento senza punti di sutura, che dura al massimo un’ora, con ricovero in giornata, o al più di una notte. Il paziente ha sull’addome un semplice cerotto”.

Ma non tutti i casi sono così semplici.

I laparoceli si determinano quando è stato subìto un precedente intervento. Prima di essere operato, il paziente è sottoposto a un percorso diagnostico in day ospital, come avviene in tutti gli interventi. Per i laparoceli si aggiungono, agli esami di routine, test della respirazione (della dinamica respiratoria) e tac della parete. Parliamo di interventi più articolati, che costituiscono un discorso a parte: ernie recidive e complesse. E’ prevista un’anestesia generale. Segue la prima incisione. Si utilizzano diverse reti, si fanno manovre sui muscoli e si procede alla ricostruzione. Si tratta di trascorrere in ospedale da una a quattro o cinque notti, a seconda della difficoltà dell’intervento”.

Nuove prospettive sono offerte dalla chirurgia robotica, che è un’evoluzione della laparoscopia. E’ di scena la moderna tecnologia, in sinergia con il chirurgo.

“Per un secondo intervento, o primo intervento in ricostruzione con grande diastasi (separazione dei due muscoli retti, che di norma sono uniti), contemporaneo a ernia epigastrica o ombelicale, si propone la laparoscopia robotica. E’ di breve durata, poiché la degenza si protrae per una notte. Se parliamo di laparoceli di complessità medio/alta: molto complessi, plurirecidivi (per esempio in caso di ernie inguinali bilaterali recidive, ernie epigastriche recidive con diastasi), tale procedura al momento è limitata. L’obiettivo futuro è utilizzarla per grandi disastri parietali, al momento appannaggio di una chirurgia molto complessa, da riservare a chirurghi molto esperti. Il disastro parietale, se mal operato, è un dramma“.

Che cosa aggiungere nei casi che riguardano le donne in gravidanza, che notano un inestetismo rilevante nell’addome (che si separa come una cerniera lampo)?

“Per la pancia cadente dopo la gravidanza (diastasi addominale), per esempio, si propone un intervento con addominoplastica. Può essere un intervento aperto, oppure svolto in chirurgia robotica. In situazioni impegnative, come detto, resta possibile un intervento di tipo tradizionale”.

In caso di chirurgia robotica, parliamo di minor dolore, ricoveri ospedalieri più brevi e complicazioni ridotte.

“Può trattarsi di un intervento costoso: è importante che il chirurgo abbia conoscenze adeguate in argomento, sia in grado di collaborare con il robot”.

About Isabella Lopardi

Isabella Lopardi ha lavorato come giornalista, traduttrice, correttrice di bozze, redattrice editoriale, editrice, libraia. Ha viaggiato e vissuto a L'Aquila, Roma, Milano. Ha una laurea magistrale con lode in Management e comunicazione d'impresa, è pubblicista e redattore editoriale. E' preside del corso di giornalismo della Pareto University.

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