Ernie: si determinano quando un viscere fuoriesce dalla cavità che, di norma, lo contiene. Quest’ultimo passa, per esempio, attraverso un orifizio, oppure un canale anatomico.
Le ernie: un fenomeno frequente
Le ernie: non sono così rare, in verità. Ora, esiste un impianto biologico, che permette di rigenerare i tessuti. I difetti della parete addominale si riparano di conseguenza, nell’ambito di situazioni cliniche complesse. Tra gli esperti a livello mondiale, si tratta del trattamento a oggi più utilizzato.
Ernie: la parola all’esperto

Pier Luigi Ipponi è nato a Firenze, 61 anni or sono. Laureato in medicina e chirurgia a Firenze, si è specializzato in chirurgia generale a Padova. Esercita la professione di chirurgo generale, presso l’Azienda Usl centro Toscana dal 1990 presso l’Ospedale di San Giovanni di Dio, a Firenze. E’ presidente in carica dell’Italian society of hernia and abdominal wall surgery (Ishaws) ed è uno dei fondatori della Scuola nazionale di Chirurgia dell’ernia e della parete addominale, che si tiene annualmente a Roma dal 2009. Lo abbiamo raggiunto e intervistato. Ecco le sue parole. “Le ernie rappresentano una complicanza piuttosto frequente di qualsiasi procedura chirurgica eseguita sull’addome. A livello addominale, possiamo distinguere due tipologie: le primitive, legate a problemi congeniti nella struttura del collagene – la principale proteina del tessuto connettivo – che porta ad un indebolimento strutturale della parete addominale e quelle secondarie, dette anche post-incisionali o laparoceli, con un’incidenza tra il 15 e il 32% in pazienti sottoposti ad interventi chirurgici, sia tradizionali che mininvasivi, e facilitate da una infezione del sito chirurgico”.
Ernia: come avviene chirurgicamente la riparazione?
“Nel passato la riparazione di un difetto erniario della parete addominale veniva effettuata accostando i tessuti con punti di sutura. L’elevato numero di recidive, la sintomatologia dolorosa e i lunghi tempi di guarigione, hanno spinto i chirurghi a preferire, a partire dagli anni ’80, l’impiego di materiali protesici, in grado sopperire ad una debolezza spesso congenita dei tessuti coinvolti. Il loro impianto può avvenire con tecnica mini-invasiva, mettendo il materiale protesico all’interno della cavità addominale, oppure, attraverso un’incisione, posizionando il materiale nello spessore della parete addominale, evitando così il diretto contatto con i visceri, ripristinando così l’integrità anatomo-funzionale della parete addominale. Le caratteristiche strutturali dei materiali impiantati conferiscono immediatamente una stabilizzazione meccanica, che diventa molto più performante una volta che si è sviluppata la loro completa colonizzazione da parte dei tessuti dell’ospite”.
Come si applica l’impianto biologico?
“Questi materiali sono posizionati nella sede del difetto erniario, a stretto contatto con i tessuti a colmare il difetto erniario, fissandoli con punti di sutura, colla biologica o sintetica, clips metalliche o riassorbibili. In tempi più recenti l’industria ci ha fornito materiali autofissanti, simili al Velcro, che riducono sostanzialmente il discomfort post-operatorio legato ai mezzi tradizionali di fissazione”.
E come si determina nei dettagli la rigenerazione dei tessuti? (colonizzazione cellulare)
“La rigenerazione tissutale, dopo l’impianto, prende origine dalla risposta infiammatoria, secondaria all’insulto chirurgico. La risposta cellulare, inizialmente interpretata dalle piastrine, attraverso mediatori chimici, coinvolge successivamente altre linee cellulari, come i leucociti (granulociti e monociti) che contrastano una eventuale contaminazione batterica ed i fibroblasti, che portano al processo di guarigione che avviene attraverso la deposizione del collagene, la proteina più diffusa nel corpo umano, sostituendo la perdita dei tessuti traumatizzati con tessuto cicatriziale e consentendo di recuperare in gran parte (fino all’ 80%) le capacità meccaniche dei tessuti originali”.
Come si interagisce con l’organismo, modulando il naturale crearsi di tessuto cicatriziale?
“La risposta biologica all’impianto protesico può esser influenzata dalla natura dei materiali e dalla loro sede d’impianto. Nel primo caso, i prodotti di origine biologica, grazie alle affinità strutturali, sono in grado di offrire una risposta più naturale e fisiologica da parte del ricevente rispetto ai materiali di derivazione sintetica. Purtroppo il loro impiego è limitato dai costi elevati, legati alla filiera produttiva, che limita il campo d’utilizzo a casi clinici complessi, come nel caso di contaminazione batterica del campo chirurgico. I materiali di sintesi, caratterizzati da un relativo basso costo, trovano invece un ampio consenso tra i chirurghi, che li usano da anni con eccellenti risultati. Questa categoria, annovera materiali apparentemente simili tra loro, ma che differiscono sostanzialmente nella risposta biologica da parte dell’ospite. Le caratteristiche strutturali e chimico-fisiche possono favorire la loro integrazione come nel caso dei materiali idrofilici, rispetto ai materiali idrofobici. Anche la porosità dei materiali svolge un ruolo preminente, dimostrato da studi condotti su più di mille protesi espiantate nell’uomo, evidenziando una migliore integrazione per i materiali macroporosi (reti con pori delle dimensioni superiori al 1,5 millimetri) rispetto a quelli dotati di una struttura microporosa, che invece ostacola la crescita del tessuto di granulazione infiammatorio, suscitando una risposta flogistica cronica, da corpo estraneo. La stretta vicinanza di questi materiali con strutture ben vascolarizzate, come i tessuti muscolari della parete addominale, favorisce una migliore integrazione dei materiali con i tessuti propri del paziente, dovuta alla rapida vascolarizzazione degli impianti da cui deriva una altrettanto rapida colonizzazione cellulare“.
Ernie: un esempio di impianto biologico
Permacol è un esempio di impianto biologico, che risulta indicato non soltanto per la riparazione di ernie addominali, ma anche quando bisogna ricostituire il pavimento pelvico, oppure la parete toracica, nonché nell’ambito della chirurgia colo-rettale. Sulla nostra penisola si svolgono oggi 2 milioni gli interventi chirurgici convenzionali (open), che coinvolgono la parete addominale. Questi ultimi, nel 28% dei casi, sono legati all’insorgenza delle ernie addominali: una conseguenza pericolosa. Che fare? La riparazione è una buona idea. E’ una delle operazioni chirurgiche più praticate al mondo.
Ernie: protesi per la riparazione
Essa si svolge grazie al supporto di protesi, che come detto possono essere di natura biologica, oppure sintetica.
La categoria delle protesi biologiche è molto ampia: le caratteristiche enumerate sono molto diverse. Distinguiamo le protesi biologiche per l’origine del materiale – uomo, suino, bovino – e del tessuto del quale sono costituite – derma, pericardio, sub-mucosa.
Una volta supportato da questo utile materiale, l’organismo si ripara da solo, senza incerti creati da cicatrici.
In Italia, ci sono circa 2000 impianti biologici Permacol: parliamo del sistema più utilizzato al mondo.
I vantaggi per i pazienti riguardano la riduzione del tempo di ospedalizzazione e di re-intervento.
Si tratta della situazione giusta quando si considerano casi di trapiantati e obesi; e ancora: pazienti oncologici, pazienti affetti da una contaminazione della ferita chirurgica, dalla presenza di una rete sintetica infetta o di un’ernia incisionale su stomia. Parliamo dei cosiddetti pazienti complessi. In tali casi, si sviluppano minori complicanze post-operatorie e un rapido ritorno alla normale attività quotidiana risulta possibile.
Il materiale, di origine suina, è più stabile, grazie al processo di produzione. E’ stato incrementato il cross linking delle fibre di collagene; è stata così garantita una maggiore permanenza del materiale impiantato, che conferisce inizialmente un adeguato supporto meccanico alla parete addominale. In seguito, si ottiene la fisiologica colonizzazione cellulare, che conduce alla guarigione della ferita. E la natura torna a fare il suo corso.