Midollo osseo: se si guasta, si invecchia più velocemente? Se la vita, come abbiamo notato, si allunga, non significa necessariamente che aumentino di conseguenza gli anni che si trascorrono in salute. Molti anziani, all’apparenza, sono sani: in realtà, risultano più fragili di altri. Costoro sono meno indipendenti. Si riscontra la difficoltà a far fronte agli eventi logoranti della vita. Quando si è avanti negli anni, ci si ammala più facilmente. Con una ricerca, la fondazione MultiMedica intende dimostrare che la causa di questa fragilità è la disfunzione delle cellule rigenerative contenute nel midollo osseo. Un dato deve essere messo in risalto: il processo potrebbe essere reversibile. Con adeguati interventi nutrizionali e di esercizio fisico, le cellule riparative potrebbero tornare ad aumentare e indicare un recupero della funzionalità midollare.
Sessantacinquenni: ecco le statistiche
In Europa, oggi i sessantacinquenni sono il 16%. Entro il 2031, diventeranno il 22%, pari a circa 137 milioni di persone. La popolazione invecchia progressivamente. Si tratta di un fenomeno demografico che preoccupa, per via dell’aumento atteso di malattie legate alla terza età. Molti anziani “sani” risultano essere spesso fuori forma. Essere autosufficienti, far fronte ai cambiamenti della vita e allo stress è sempre più difficile. Si sperimenta la cosiddetta “sindrome della fragilità geriatrica”. Parliamo di un decadimento funzionale e cognitivo che contribuisce ad aumentare il rischio di malattia e di morte. Esso finisce con l’assorbire ingenti risorse del sistema sanitario nazionale. Tale condizione affligge il 15% degli ultrasessantacinquenni italiani. I meccanismi alla base sono ancora avvolti da molta incertezza. Questa l’ipotesi al vaglio di uno studio della Fondazione MultiMedica Onlus: un midollo osseo “guasto”, nel quale le cellule riparative non funzionano più come dovrebbero, potrebbe essere la causa della fragilità e, di conseguenza, di un invecchiamento accelerato.
Anziani: che cosa significa essere fragili
Il professor Paolo Madeddu di fondazione MultiMedica si è espresso in questo modo: “La fragilità è caratterizzata da perdita di massa muscolare e ossea, con debolezza, ridotta mobilità, aumentato rischio di fratture, anemia, rallentamento nella guarigione delle ferite, predisposizione alle infezioni e declino cognitivo. Molti sintomi della fragilità possono essere attribuiti al midollo osseo, l’organo che costituisce la principale riserva di cellule staminali e che presiede al mantenimento della omeostasi dell’intero organismo. Finora, però, nessuno studio specifico ha dimostrato l’associazione tra la disfunzione del midollo osseo e la fragilità. L’obiettivo del nostro progetto è proprio quello di mettere in relazione le alterazioni quantitative e funzionali delle cellule riparative presenti nel midollo osseo e in circolo nel sangue con la fragilità, misurata attraverso un questionario standard riconosciuto a livello internazionale. Proponiamo poi di intervenire con l’esercizio fisico e la terapia nutrizionale, per invertire il circolo vizioso che porta all’inattività, alla mancata forma fisica e alla disabilità”.
Studiare il midollo osseo: livelli di fragilità
Queste le parole di Gaia Spinetti, biologa della fondazione MultiMedica: “Attualmente stiamo arruolando i pazienti. Sono soggetti sottoposti a protesi d’anca per artrosi, nei quali possiamo studiare il midollo osseo presente nella testa del femore che, invece di essere considerata materiale di scarto operatorio, viene inviata al nostro laboratorio per l’analisi della struttura e dell’abbondanza di cellule riparative. Per ogni paziente facciamo una stima dell’indice di fragilità secondo i criteri dello score di Rockwood, un punteggio da 0 a 40 che tiene conto dell’indipendenza nello svolgere le attività della vita quotidiana, di una valutazione psico-sociale, di eventuali comorbidità, dello stato mentale e di quello nutrizionale, della capacità polmonare e della forza muscolare. Da 0 a 16 abbiamo un indice di fragilità lieve, da 16 a 27 moderato e da 27 a 40 severo. Cercheremo poi di capire se ai diversi livelli di fragilità misurati nei pazienti corrispondono specifiche caratteristiche del midollo osseo. Ci aspettiamo di rilevare nei pazienti più fragili una diminuzione della quantità di cellule riparatrici midollari e circolanti. Auspichiamo, inoltre, che gli interventi nutrizionali e di esercizio fisico correlino invece con un aumento delle cellule riparative, indicando un recupero della funzionalità midollare. Un primo dato preliminare già emerso è l’effettiva associazione inversa tra il livello di attività fisica e la fragilità: più esercizio si pratica, meno si è fragili”.
Che cosa contraddistingue i centenari (variante Lav)
La variante Lav (Longevity-associated variant) della proteina BPIFB4 è stata identificata grazie a una serie di studi che si sono protratti per anni. Essa è stata rilevata in misura maggiore nei centenari rispetto alla popolazione generale. Annibale Puca di Fondazione MultiMedica ha dichiarato: “Questa variante è stata selezionata dal processo evolutivo per l’adattamento all’ambiente. La proteina, abbondante nei centenari sani, ha un grosso potenziale terapeutico, come accertato dalla sua somministrazione in modelli animali di disfunzione endoteliale, ischemia periferica, ipertensione, aterosclerosi e fragilità (questi ultimi dati sono ancora preliminari o non pubblicati). I meccanismi attraverso i quali la proteina opera sono stati in parte svelati. Ulteriori sforzi sono necessari per la piena comprensione dei potenziali terapeutici della Lav ed è su questo fronte che ci stiamo concentrando”.