Nonni che perdono la via di casa tornando da una passeggiata, genitori che non sono più in grado di muoversi o esprimersi, mariti e mogli che ricordano momenti del passato, ma non il pranzo appena fatto: molto spesso si tratta di invecchiamento cognitivo.
Chiunque, direttamente o indirettamente, ha sentito parlare di Alzheimer e demenza senile e, purtroppo, queste situazioni sono familiari a molte persone.
Tuttavia, come capire quando queste malattie colpiscono i nostri cari? A quali specialisti affidarsi? Come comportarsi con la versione distorta e sbiadita delle persone che un tempo conoscevamo e ora sembrano a noi estranee?
Cosa si intende per invecchiamento cognitivo
Il termine invecchiamento cognitivo racchiude una serie di disturbi neurodegenerativi e, in questo caso, ci riferiamo alle varie forme di demenza.

“Con il termine demenza si intende una condizione di disfunzione cronica progressiva delle funzioni cerebrali che porta a un declino delle facoltà cognitive della persona. Nello specifico, ci si riferisce a: linguaggio, calcolo, attenzione, difficoltà motoria e altre ancora”, spiega Iacopo Battaglini, Neurologo presso l’Ospedale Santa Croce di Moncalieri (TO) e Docente di Neurofisiologia presso l’Università degli studi di Torino.
“La conseguenza principale di queste patologie è che il soggetto perde la sua funzionalità all’interno della società e della propria famiglia”, spiega il Neurologo.
In poche parole, in base alle diverse funzioni compromesse nel malato, questo perde la sua autosufficienza, con le inevitabili conseguenze che derivano da tale condizione.
I principali tipi di demenza
Stabilire quale sia il tipo di demenza di cui soffre il paziente non è semplice. E, altre volte, non è scontato nemmeno capire se si tratti di demenza o meno.
Le demenze, infatti, sono il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici, modificazioni neurochimiche, e interazioni con altre malattie. Talvolta, possono comparire nei cosiddetti “stati misti“, vale a dire situazioni in cui il malato presenta i sintomi caratteristici di più forme di demenza contemporaneamente.
Tuttavia, possiamo fare un po’ di chiarezza cercando di suddividere alcune tipologie di demenza nelle forme principali.
- Malattia di Alzheimer. È tra le forme più diffuse di demenza. Infatti, in Italia, si parla di circa 600 mila casi all’anno, condensati tra le persone over 70. Alla base della malattia ci sono alcuni difetti genetici che favoriscono la sintesi di due proteine, la beta-amiloide e la tau, che favoriscono la formazione di ammassi in grado di “distruggere” i neuroni.
- Demenza associata alla malattia di Parkinson. Tendenzialmente si manifesta come declino mentale in seguito a molteplici anni di problemi muscolari e motori tipici del Parkinson e che, tra l’altro, rimangono i sintomi più evidenti.
- Demenza da corpi di Lewy. Molto simile a quella associata al morbo di Parkinson ma, tendenzialmente, i problemi muscolari e motori si manifestano poco dopo il deterioramento mentale.
- Demenza vascolare. Si manifesta in seguito alla distruzione del tessuto cerebrale come conseguenza di un blocco o dello scarso apporto di sangue. Gli ictus ne sono il più delle volte la causa. In questo caso, la forma di demenza che si sviluppa non è detto che peggiori ma può, infatti, rimanere invariata dal momento del trauma.
- Demenza fronto-temporale. Descrive un gruppo di sindromi che presentano un deficit nelle funzioni esecutive. Si suddivide, principalmente, nelle due varianti comportamentale e linguistica. Si registrano alterazioni nei comportamenti che non sono più consoni al contesto, tendenza all’irritabilità, e altri elementi che potrebbero ricordare un paziente psichiatrico. Inoltre si parla di afasia (difficoltà di comprensione del linguaggio), e disfasia (espressione compromessa).
I campanelli d’allarme
“Il primo riscontro circa l’invecchiamento cognitivo è il parere dei care giver cioè delle persone (familiari e non) che frequentano con continuità il presunto malato”, spiega Battaglini.
Infatti, sono proprio i cambiamenti repentini il primo campanello d’allarme, e si manifestano, molte volte, nell’arco di soli sei mesi. Per questo motivo sono proprio i parenti, spesso, i primi a rendersi conto che “qualcosa non va” come dovrebbe.
Tra le anomalie nel comportamento più diffuse, segnaliamo le principali.
- Perdita di memoria, che può riguardare, per esempio, i nomi dei familiari, o azioni appena compiute.
- Difficoltà di concentrazione.
- Difficoltà a svolgere compiti quotidiani, come lavarsi, vestirsi, usare gli elettrodomestici e gestire il denaro.
- Difficoltà a seguire una conversazione o a trovare la parola giusta.
- Cambiamenti d’umore, spesso ingiustificati o con manifestazioni inadatte al contesto in cui ci si trova.

“Tra i primi sintomi che si riscontrano, spesso, ci sono confusione e disorientamento“, spiega Patrizio Schinco, Geriatra di Torino.
“Tuttavia, non è raro che le persone anziane perdano i punti di riferimento per altri motivi. Per esempio, parlando di tecnologia, non essendo nativi digitali, o davanti a cambi epocali, come il passaggio dalla lira all’euro nel 2002″, continua il Geriatra.
I parenti, pertanto, devono tener conto anche di questi elementi e, se la situazione persiste al punto da non rendere più autosufficiente la persona in breve tempo, possono valutare di rivolgersi al medico di base e, in seguito, allo specialista.
Esistono dei test casalinghi per diagnosticare l’invecchiamento cognitivo?
“Fondamentalmente non esistono test che i parenti possono effettuare direttamente“, afferma il Neurologo.
Diagrammi e schemi da completare, ripetere i giorni della settimana al contrario e altri esempi simili, sono solamente dei derivati semplificati di test che vengono somministrati in sede clinica dallo specialista.
Le risposte a questi test, infatti, potrebbero portare a una falsa percezione dello stato della persona esaminata, se analizzate dai parenti.
“Fattori come età, contesto e grado di scolarizzazione, influiscono notevolmente sulla qualità delle risposte, pertanto è opportuno che lo specialista corregga il risultato“, continua Battaglini.
Tuttavia, lo specialista può condurre dei test di questo tipo nella fase di anamnesi diagnostica, ma saranno esami strumentali a chiarire il quadro clinico. Solo dopo si potrà esprimere un parere circa la malattia che ha colpito la persona e la serietà con cui si manifesta.
Per esempio, parlando di Alzheimer, si possono eseguire i seguenti.
- Risonanza magnetica, che consente di ottenere una precisa immagine della struttura del cervello. In seguito, sovrapponendola a un’immagine eseguita ad alcuni mesi di distanza, può mostrare alcune differenze.
- TAC ( tomografia assiale computerizzata), che permette di misurare lo spessore di una determinata parte del cervello. Nei malati di Alzheimer, queste sezioni cerebrali si assottigliano rapidamente.
- SPECT ( tomografia computerizzata a emissione di fotone singolo), può essere utile per misurare l’afflusso di sangue al cervello e, nei malati di Alzheimer, è notevolmente ridotto a causa della diminuita attività cerebrale.
- PET (tomografia a emissione di positroni), consente di evidenziare delle problematiche nel funzionamento del cervello come, per esempio, l’utilizzo anomalo del glucosio.
Come prendersi cura dei nostri cari malati
Accettare che le persone che conosciamo diventino repentinamente non autosufficienti è molto difficile.
Perdere un membro attivo all’interno della propria famiglia può diventare un problema su più fronti.
Per esempio, pensando a un nonno, questo non sarà più in grado di andare a prendere i nipoti a scuola, di comprare il giornale, di aiutare nelle faccende domestiche. Anzi, la sua cura potrebbe diventare un vero e proprio peso che grava sulle persone circostanti.
“La gestione del malato deve essere guidata dall’affetto, dal coraggio, dalla comprensione e dalla pazienza dei parenti“, concordano il Neurologo e il Geriatra.
Infatti, è opportuno sottolineare che solo in una prima fase dell’invecchiamento cognitivo il malato è cosciente di non essere più autosufficiente. Con l’aggravarsi della malattia, invece, perde totalmente la percezione della sua situazione di salute.
“Non è raro che alcuni pazienti oppongano resistenza o siano stupiti quando i parenti chiedono il mio aiuto“, spiega Schinco.
Tuttavia, parallelamente a terapie farmacologiche, il Geriatra può aiutare la famiglia dando consigli utili.
Può valutare fino a che punto il malato sia autosufficiente, può consigliare di praticare esercizio fisico aerobico, può aiutare il malato a non essere totalmente escluso dai contesti sociali.
Ciò che è certo, è che se si tratta di disturbi neurodegenerativi la situazione del malato non è destinata a migliorare. Ma i parenti, con forza, coraggio e pazienza, possono addolcire e alleviare una situazione che, purtroppo, si può solo accettare.
Foto di Andrea Piacquadio: https://www.pexels.com/it-it/foto/due-donne-adulte-l-una-accanto-all-altra-3768114/