Le nascite sono in calo e si invecchia di più. Non accadeva dal 1918, ma le ragioni erano ben altre: oggi, piuttosto che variare le condizioni di benessere a causa dello sforzo bellico, cambiano semplicemente gli usi e costumi. Tra trent’anni, in Italia ci saranno 400.000 nati e 800.000 morti (perché anche la mortalità è in aumento). Sempre meno passeggini sui nostri viali, sempre più anziani che non hanno il piacere di essere nonni.
Si tratta anche di un problema di ordine anche sociologico. A chi trasferiremo la nostra esperienza, se ci saranno sempre meno bambini? Come trasferiremo ad altri le nostre conoscenze? E all’Italianità, ai nostri usi e costumi, sarà permesso di perpetuarsi? Tutti i costumi sono preziosi e devono essere perpetuati, in ogni luogo del mondo.
Nascite in calo: crisi demografica da non sottovalutare
Non bisogna commettere l’errore di sottovalutare la crisi demografica.
Quanto a lungo sarà garantito il necessario ricambio generazionale?
Si è espresso in merito Giancarlo Blangiardo, professore ordinario di Demografia all’Università di Milano-Bicocca. Sarà relatore al convegno “L’assistenza agli anziani” in programma a Rimini il 9 e 10 marzo. Il suo intervento, dal titolo “Verso una popolazione sempre più matura: avvertenze per l’uso” è previsto per venerdì 9.
Nascite in calo: la parola all’esperto
Con queste parole, l’esperto analizza e commenta gli indicatori demografici Istat sul 2017. “Ci sono due aspetti da sottolineare: il primo è che la popolazione totale diminuisce, perché le nascite calano drasticamente e le morti aumentano. Per la prima volta in un periodo ‘tranquillo’ il saldo naturale è così basso (-183mila): era andata peggio di così solo due volte nel nostro Paese, nel 1917 e nel 1918, anni drammatici tra epidemia di spagnola ed effetti della prima guerra mondiale. Il secondo aspetto è che manca il ricambio generazionale, con la componente anziana della popolazione che tende ad accrescere. Gli over 65 rappresentano il 22,6%, in continua crescita rispetto al passato: ciò significa che stiamo progredendo verso un modello di Paese nel quale la presenza di persone vecchie o molto vecchie andrà ad aumentare in termini numerici, con un forte impatto su sistemi di welfare e sistemi sanitari”.
Ecco che si rende palese la problematica di ordine economico: cresce la fascia di popolazione non produttiva. Senza dimenticare, tuttavia, che la popolazione non produttiva ha un patrimonio in termini di memoria. Memoria che, comunque, bisogna trasferire.
Nascite in calo, aumenta la mortalità
C’è un altro aspetto da non sottovalutare: la mortalità è in aumento, del 5,1%. Aggiunge il professor Blangiarlo: “Era naturale aspettarsi un aumento, alla luce di una popolazione invecchiata, ma la crescita è stata significativa (+31mila decessi rispetto al 2016). Questo può evidenziare qualche segnale di debolezza del sistema sanitario nazionale soprattutto verso i più fragili. In questo quadro anche la speranza di vita non aumenta. Dal 1974 ad oggi è sempre stata in crescita, a parte qualche ‘scivolone’, l’ultimo nel 2015. Nel 2017 è rimasta invariata per i maschi, con un leggero calo per le femmine. Insomma, si registra un arresto nel trend di crescita dell’aspettativa di vita che non è confortante”.
Nascite e morti: tendenze che si consolidano
Alcune tendenze, a livello generale, si stanno consolidando. Il professore ha dichiarato: “Il problema è che queste tendenze possono portare a risultati difficili da gestire e ci dovrebbe essere un messaggio di contrasto a questi andamenti. I dati ci dicono che l’invecchiamento continua, arrivano segnali preoccupanti sulla sopravvivenza della popolazione, l’aspettativa di vita non cresce. E’ evidente che dobbiamo gestire una crisi demografica che c’è, che è stata sottovalutata e talvolta ignorata, e se non lo facciamo il finale della storia non sarà piacevole. Se continuiamo in questa direzione nel 2047, in Italia, avremo 400.000 nati e 800.000 morti: è quello che vogliamo?”.