Tumori: i nuovi trattamenti, l’equipe multidisciplinare e gli effetti del Covid
I vantaggi della gestione del paziente oncologico in equipe, secondo un percorso guidato che va dalla diagnosi al trattamento dei tumori, sono indiscutibili.
A parlare dei nuovi trattamenti, delle figure che entrano in gioco e delle diagnosi perse durante l’anno di pandemia, è la dottoressa Maria Alessandra Mirri, direttore Dipartimento Oncologico Asl Roma 1 e appartenente all’Omceo Roma.
L’importanza dell’equipe multidisciplinare
Il lavoro in équipe è la modalità operativa più adeguata per rispondere alle esigenze del malato e della sua famiglia.
Il gruppo di lavoro si definisce “multidisciplinare” perché al suo interno lavorano professionisti di ambiti differenti e con diverse modalità di lavoro.
Questo approccio è essenziale per migliorare la qualità della vita delle persone. Sotto tutti gli aspetti: sanitari, psicologici e sociali.
Per questo è indispensabile che gli operatori abbiano competenze non solo tecniche, ma anche relazionali. Per promuovere un dialogo aperto durante il quale possano emergere i bisogni di cura del malato e della sua famiglia.
“Il nostro Dipartimento oncologico viene definito come Dipartimento di prevenzione formato da unità differenti chirurgiche e mediche.
Serve a dare vita a quei percorsi oncologici integrati che sono parte fondamentale della terapia oncologica.
Infatti esistono tutta una serie di gruppi integrati multidisciplinari che si occupano di varie patologie, proprio per dare al paziente un percorso facilitato nei tempi e nei modi.
Anche al fine di evitare I ‘viaggi della speranza’ o visite multiple, nonché un risparmio per l’ospedale perché si evitano esami ripetuti e inutili.
Tutti i dati del paziente inoltre vengono discussi insieme in un meeting multidisciplinare.
In ogni percorso c’è poi un ‘case manager‘ che è il riferimento per i pazienti evitando loro così milioni di telefonate per sapere una cosa piuttosto che in un’altra.
In tempi di pandemia tutto questo ha fatto la differenza.
Perché pur essendo ridotte le funzioni abbiamo assicurato a tutti i pazienti più o meno con gli stessi tempi tutti i servizi per loro necessari”, dice Maria Alessandra Mirri.
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Il Covid-19 ha di fatto interrotto molte prestazioni sanitarie su quasi tutto il territorio nazionale, soprattutto durante la prima ondata.
Infatti, nell’ultimo anno è prevalso il timore da parte dei pazienti di andare dal medico o in ospedale.
Mentre da parte degli operatori sanitari invece vi è stata una minore capacità di accoglienza per la straordinaria mole di lavoro legata alla gestione della pandemia.
“Gli screening sono stati interrotti soprattutto nella prima fase della pandemia, da marzo a giugno 2020.
C’è da dire che non c’è stata solo l’interruzione dello screening purtroppo.
Ma dal momento che l’80% dei centri oncologici si trovano dentro un’azienda ospedaliera c’è stata la paura dei pazienti a recarsi in ospedale per il timore di contrarre il virus.
Per cui quello che ci aspettiamo nei prossimi mesi è quello di diagnosticare la malattia in una fase più avanzata“, dice la dottoressa Mirri.
Radioterapia: come funziona e quando utilizzarla
La radioterapia è una terapia localizzata e non invasiva in grado di provocare la morte delle cellule del tumore attraverso l’utilizzo di radiazioni di elevata energia chiamate radiazioni ionizzanti.
Può essere utilizzata sia con intento curativo, come terapia esclusiva o in associazione alla chirurgia e/o alla terapia medica, sia con finalità sintomatica.
“Il trattamento radiante è una delle armi fondamentali tra i trattamenti oncologici. Che consistono in un trattamento integrato fatto di diagnosi, chirurgia, terapie oncologiche, radioterapia e poi di cure mediche e palliative di supporto.
La radioterapia entra in tantissimi percorsi e specialmente con l’allungamento della vita, dovuta ai progressi della medicina, entra come terapia esclusiva, come nel tumore della prostata, alternativa alla chirurgia.
Le statistiche ci dicono che può avere la stessa valenza della chirurgia.
Nei tumori del tratto testa-collo, unita alla chemioterapia, può essere un’alternativa valida in alcune localizzazioni dell’orofaringe o come una chirurgia con esiti differenti.
E poi può essere un trattamento complementare alla chirurgia, ma anche una terapia in grado di incidere sui sintomi che la stessa terapia medica non riesce a curare.
Grazie poi alle macchine più avanzate abbiamo la possibilità di intervenire nuovamente sulle zone già trattate o in zone limitrofe.
Quindi le applicazioni sono molteplici, anche nella cura dei tumori dell’anziano che spesso non sono in grado di ‘sopportare‘ la chirurgia.
Come tanti servizi anche la stessa radioterapia si è dovuta adeguare durante la pandemia ma, come confermano molte pubblicazioni scientifiche italiane e internazionali, siamo riusciti a garantire ai pazienti le stesse dosi di radioterapia ma in meno frazioni.
Così da generare un minor numero di accessi in ospedale. E questo ci ha aiutato moltissimo”.
Tumori: le novità più importanti
“Si è passati da una medicina basata sull’istologia a una di precisione che si basa sul genoma e sulle mutazioni geniche contenute nel Dna del paziente.
Non studiamo solo il tessuto morfologicamente, ma il suo Dna.
Non esiste più quella terapia per quel tumore ma piuttosto esistono i farmaci giusti per quel tipo di mutazione del Dna.
E questo è dovuto al sequenziamento NGS (Next Generation Sequencing) che permette anche di studiare quelle mutazioni che determinano la resistenza ai farmaci.
Quindi di conseguenza si useranno quei farmaci target in grado di andare a colpire quelle specifiche mutazioni.
Nella radioterapia l’innovatività si esprime in macchine avanzate in grado di studiare la biologia del tumore e quali frazionamenti saranno più efficaci, come combinare radioterapia e farmaci.
Mentre la chirurgia sta diventando sempre meno invasiva, anche perché spesso preceduta da radioterapia o chemioterapia“, conclude la dottoressa Mirri.