Ecco come il digiuno modifica il cervello
In molti ricorrono al digiuno spinti dalla moda o da particolari tipi di dieta.
Tuttavia, se ci discostiamo dal tema della perdita di peso, ci siamo mai chiesti cosa capita al cervello durante i momenti di digiuno?
Un recente studio ha portato alla luce il fatto che il cervello risponda, adattandosi, alla condizione stressogena indotta dal digiuno.
Questa scoperta potrebbe rivelarsi fondamentale, in futuro, per trovare una cura a disturbi del neurosviluppo e neuropsichiatrici, come l’autismo, la depressione, iperattività e molti altri.
Il digiuno modifica il cervello: le premesse
“L’assenza di cibo rappresenta uno stimolo stressante per il nostro organismo, il quale si trova a dover rispondere alle richieste energetiche di un gran numero di tessuti”, spiega Paola Tognini, ricercatrice del dipartimento di Ricerca traslazionale dell’Università di Pisa.
Per effettuare lo studio, partendo da questa tesi, il metodo utilizzato è stato quello del digiuno giornaliero, diverso da quello a intermittenza.
Per lo studio in questione, era necessario che l’organismo andasse incontro a digiuno prolungato, affinchè si potessero notare risposte evidenti a questa particolare condizione.
Detto ciò, gli esperimenti sono stati condotti su alcuni esemplari di topi, usati come cavie, tenuti a digiuno per 48 ore, e altri alimentati normalmente, così da poter evidenziare le differenze.
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Pensiamo al nostro organismo come a una macchina. Il cervello, che può essere considerato il motore principale, è alimentato dal glucosio che si ottiene dai carboidrati. Infatti, può essere considerato il suo carburante e la sua principale fonte energetica.
Tuttavia, se non ci si alimenta, l’organismo non può trovare “nuovo carburante“. Cosa succede a questo punto? Il fabbisogno energetico viene soddisfatto dalla presenza di riserve immagazzinate: il glicogeno.
Se i livelli di glicogeno si abbassano, inizierà a scendere un valore molto conosciuto: la glicemia.
L’abbassamento della glicemia si può solitamente associare a una condizione di digiuno; infatti, si manifesta con la tipica sensazione di fame.
Se anche queste riserve vengono consumate, altre molecole subiscono delle trasformazioni per poter diventare il nuovo carburante. È ciò che accade ai grassi che, in carenza di carboidrati, vengono scomposti principalmente in acetone, acetoacetato e beta-idrossibutirrato, tre cosiddetti corpi chetonici.
Tra questi, il beta-idrossibutirrato, in passato si pensava che raggiungesse il cervello per svolgere esclusivamente la funzione di substrato energetico. Ma non è così.
“In collaborazione con i laboratori di metabolomica della dottoressa Amalia Gastaldelli e di proteomica della dottoressa Silvia Rocchiccioli, abbiamo utilizzato le tecniche di spettrometria di massa ad alta risoluzione per misurare le concentrazioni di beta-idrossibutirrato nel fegato (dove viene principalmente prodotto), nel plasma (dove viene rilasciato) e nel cervello, scoprendo che le cellule cerebrali sfruttano il beta-idrossibutirrato anche come donatore chimico, causando alterazioni nella struttura di proteine, in particolare proteine che si trovano nel nucleo delle cellule e che sono in contatto con il DNA (la cosiddetta cromatina). In conseguenza di ciò, abbiamo scoperto drammatici cambiamenti nell’espressione genica del cervello”, spiega Paola Tognini.
Il digiuno: cambiamenti e sopravvivenza
Quali sono questi cambiamenti nell’espressione dei geni e cosa comportano?
“Tra i geni del cervello influenzati dal digiuno ci sono quelli che regolano l’orologio circadiano, ossia un sistema endogeno (interno al nostro organismo) che percepisce il passare della giornata“, spiega Paola Tognini.
È quel sistema responsabile, per esempio, del ritmo sonno-veglia (abbiamo sonno la sera e siamo vigili durante le ore di luce), o del fatto che la temperatura corporea aumenta alla sera (infatti, quando siamo malati e ci misuriamo la febbre la sera risulta essere qualche grado in più che al mattino).
Per valutare i cambiamenti dei ritmi circadiani, l’équipe si è concentrata sull’attività locomotoria dei soggetti sperimentali.
“I soggetti, durante la fase di digiuno, risultavano più lenti, meno attivi“, spiega la dottoressa.
“Una risposta di questo tipo è tipica dei soggetti a digiuno, poichè è associata a bassi livelli glicemia“, spiega Erik Breda.
Tuttavia, il team ha scoperto che queste variazioni si mantengono anche dopo la reintroduzione di cibo, suggerendo una sorta di “traccia” nella memoria cerebrale dei soggetti.
La reintroduzione di cibo dovrebbe ristabilire i valori di glicemia nei soggetti presi in esame. Tuttavia, essi continuavano a comportarsi come se fossero ancora a digiuno.
“Potrebbe trattarsi di una memoria di adattamento, una forma di istinto di sopravvivenza“, spiega Tognini.
Possibili cure per depressione, autismo e altri disturbi neurologici
I risultati dello studio sono importanti e promettenti, specialmente se si pensa ad altri ambiti di applicazione.
Tuttavia, perchè si può parlare, in questo caso, di depressione, autismo, disturbi neurologici e neuropsichiatrici? Qual è il collegamento?
“La strada per trovare una cura a queste tipologie di disturbi è ancora lunga ma il nostro studio ha aggiunto un piccolo tassello a questo grande puzzle”, spiega Paola Tognini.
Fino a poco tempo fa il beta-idrossibutirrato si pensava potesse avere solamente una funzione. Invece, come dimostrato dallo studio, in particolari condizioni (come quella di digiuno), può attuare delle modifiche nell’espressione genica.
Tornando ai disturbi mentali, per quanto molti meccanismi siano ancora sconosciuti, si può affermare che siano legati a una specifica condizione biologica. Per esempio, se alla depressione non fossero associati degli scompensi nella produzione di sostanze chimiche da parte dell’organismo, non esisterebbero i farmaci antidepressivi che intervengono per riportare in equilibrio alcuni di questi valori.
Si inizia a intravedere il disegno finale?
Forse, proprio come il beta-idrossibutirrato nello studio trattato, esistono molecole che, generando una risposta adattiva, siano in grado di attenuare alcuni di questi disturbi cognitivi. Potremmo averle sotto agli occhi ma, per ora, ne ignoriamo il pieno potenziale.
Tuttavia, il fatto stesso che esista questa possibilità, può aprire le porte a nuovi studi e ricerche in questo ambito.
E chissà, forse, un domani, si potrà intervenire sulla depressione e altri disturbi semplicemente con una dieta ad hoc.
Il digiuno è un modo sicuro per perdere peso?
“Il digiuno, se si intende il tagliare pasti senza un programma strutturato alla base, è sconsigliato“, spiega Erik Breda.
Cercare di perdere peso in questo modo può essere pericoloso. Infatti, se da un lato si riducono, o azzerano, le calorie assunte, lo stesso discorso vale per i macronutrienti essenziali di cui il corpo ha bisogno per essere in salute e per poter svolgere correttamente le funzioni vitali.
Il digiuno intermittente, invece, può essere considerato una “strategia“ di dieta, ma non una vera e propria dieta.
È bene sottolineare che non vengono date indicazioni sugli alimenti da consumare ma, bensì, sulle tempistiche.
“La tecnica più utilizzata è chiamata 16:8, e prevede il digiuno per 16 ore e le restanti 8 ore per consumare i pasti giornalieri“, spiega il dietista. Inoltre, esistono anche la tecnica 18:6 e la 20:4, ma sono meno consigliate.
“Alcuni studi dimostrano che la condizione di digiuno intermittente, migliora il metabolismo dei grassi e dei carboidrati. In alcuni casi può essere consigliata, ma sono ancora molti gli studi da affrontare sul tema, pertanto potrebbero esserci anche delle controindicazioni che non sono ancora state scoperte”, conclude Breda.
Foto di Engin Akyurt: https://www.pexels.com/it-it/foto/piatto-rotondo-in-ceramica-bianca-e-blu-due-forchette-due-coltelli-e-bicchiere-da-vino-1907642/