Disturbi neurologici e ictus: bisogna combatterli (e fermarli). I dati, del resto, sono allarmanti: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i disturbi neurologici e le loro conseguenze colpiscono oltre 1 miliardo di persone in tutto il mondo. Entro i prossimi vent’anni, inoltre, si tratterà della principale causa di morte e di disabilità.
Disturbi neurologici e ictus: la situazione sulla nostra Penisola
Nel Bel Paese, sono 150.000 i nuovi casi di ictus ogni anno, con circa 800.000 persone che sono sopravvissute allo Stroke ma che portano i segni di invalidità. Si aggiungono 300.000 i pazienti con malattia di Parkinson. 120.000 sono coloro che oggi sono colpiti da Sclerosi multipla, 5 milioni le persone che soffrono di emicrania e 800.000 quanti sono affetti da emicrania cronica, con dolori costanti per oltre 15 giorni al mese. E ancora: fino a 1 milione di persone sono affette da decadimento mentale. L’Italia è uno dei Paesi più anziani a livello europeo, con il 17% di over 65: si prevede, di conseguenza, una crescita esponenziale delle malattie croniche legate all’età. Spiccano, naturalmente, le patologie neurologiche.
Disturbi neurologici e ictus: la parola agli esperti
Il professor Gianluigi Mancardi, presidente della Società italiana di Neurologia (Sin) e direttore della clinica neurologica dell’Università di Genova, si è espresso in questo modo, commentando le statistiche: “A fronte di questi numeri, sarà necessario uno sforzo comune, nell’ambito della Neurologia italiana, al fine di mantenere i livelli scientifici e migliorare quelli assistenziali in ambito neurologico. Se da un lato, infatti, siamo al terzo posto in Europa e al settimo nel mondo per il numero di pubblicazioni scientifiche in Neurologia, dall’altro la qualità dell’assistenza medica, seppur di buon livello, deve fare i conti con i modesti investimenti in sanità, ricerca e formazione nel nostro Paese”.
Disturbi neurologici e ictus: i passi da gigante della ricerca neurologica
Disturbi neurologici e ictus: la ricerca neurologica ha fatto enormi progressi. Queste le parole del professor Alfredo Berardelli, direttore del dipartimento di Neuroscienze umane presso La Sapienza Università di Roma: “Oggi il neurologo ha nuove armi a disposizione, sia dal punto di vista farmacologico, grazie alla recente scoperta delle nuove terapie monoclonali, sia dal punto di vista fisiopatologico sul ruolo della corteccia motoria cerebrale. Possiamo, inoltre, beneficiare dell’innovazione digitale che consente un monitoraggio anche a distanza dell’evoluzione della malattia”.
Ictus ischemico: nuovi studi interessanti
Secondo il professor Danilo Toni, associato in Neurologia e direttore dell’unità di Trattamento neuro vascolare del Policlinico Umberto I di Roma, “Le novità nell’ambito della patologia cerebrovascolare riguardano i trattamenti di riperfusione nella fase acuta dell’ictus ischemico. Quest’anno sono stati pubblicati due trial, che hanno studiato la possibilità di sottoporre a rivascolarizzazione meccanica (la cosiddetta trombectomia, cioè l’intervento chirurgico che consiste nell’asportazione di un trombo occludente un vaso sanguigno) pazienti con ictus ischemico visti per l’ultima volta in buona salute da 16 a 24 ore prima”.
Disturbi neurologici e ictus: che cos’è l’ictus cerebrale?
L’ictus cerebrale, dal latino “colpo”, è una malattia grave e disabilitante. Esso colpisce ogni anno nel mondo circa 15 milioni di persone; i sopravvissuti hanno a che fare con esiti più o meno invalidanti.
L’ictus si verifica quando una scarsa perfusione sanguigna al cervello provoca la morte delle cellule. Ci sono due tipi principali di ictus. Quello ischemico è dovuto alla mancanza del flusso di sangue e quello emorragico è causato da un sanguinamento; entrambi portano come risultato una porzione del cervello incapace di funzionare correttamente.
Ictus: la penombra ischemica
Afferma Danilo Toni: “Al fine della sperimentazione, i pazienti da trattare sono stati selezionati utilizzando tecniche avanzate di neuroimmagini, ovvero la tomografia computerizzata (tc) di perfusione o la risonanza magnetica (rm) con sequenze in diffusione e perfusione”. Vedere meglio permette di capire meglio: “In questo modo sono stati evidenziati pazienti che avevano una lesione già consolidata non troppo estesa e un’area ischemica con ridotta perfusione ematica, ma non ancora irreversibilmente danneggiate: la cosiddetta penombra ischemica teoricamente recuperabile. Entrambi gli studi hanno dimostrato che con queste modalità di indagine è possibile identificare pazienti con penombra ischemica anche dopo molte ore dal teorico esordio dei sintomi e che è possibile ricanalizzare le arterie occluse con esito clinico favorevole in circa il 45-50% dei casi. Va comunque sottolineato che quasi il 90% dei pazienti del trial Dawn e circa il 65% dei pazienti del trial Defuse (i due trial citati) 3 avevano un ictus al risveglio o verificatosi in assenza di testimoni, per cui è anche possibile che la reale ora d’esordio dell’evento non fosse così remota rispetto al momento di esecuzione delle neuro-immagini”.
Meglio si osserva dove l’ictus ha colpito, più efficace è l’azione contro di esso.
Ictus: efficacia e sicurezza della trombolisi
L’esperto aggiunge: “Un altro trial pubblicato quest’anno, il trial Wake-up stroke, ha valutato efficacia e sicurezza della trombolisi farmacologica (consiste nel somministrare per via endovenosa sostanze capaci di sciogliere la fibrina, uno dei principali componenti dei trombi, ndr) in pazienti con ictus al risveglio, identificando quelli trattabili in base alla presenza di una lesione visibile alla Rm in diffusione e non visibile alla Rm in Flair (una sequenza che tende a positivizzarsi dopo molte ore dall’esordio dell’ictus). Anche in questo caso, i pazienti così selezionati si sono giovati della trombolisi, con un buon recupero funzionale nel 74% dei casi, contro il 65% dei pazienti placebo. Infine, sempre quest’anno è stato pubblicato il trial Extend-Ia Tnk, nel quale pazienti eleggibili sia a trombolisi farmacologica che a trombectomia meccanica sono stati randomizzati (la scelta è casuale, ndr) a terapia con alteplase (il trombolitico attualmente usato di routine) o con tenekteplase (un altro trombolitico con una più lunga durata d’azione) prima di esse e portati in sala angiografica. Il risultato interessante è che al momento dell’angiografia il 22% dei pazienti trattati con tenecteplase era già completamente ricanalizzato, così da non necessitare di trombectomia, contro il 10% dei pazienti trattati con altepalse. Se confermato in studi più ampi, questo dato favorirebbe l’uso del tenecteplase in pazienti candidati alla trombectomia, per la possibilità di ridurre il ricorso a questa”.
La trombectomia è invasiva. Per questo limitarla è un risultato.
Up again after stroke: una vita dopo l’ictus
Il 29 ottobre era la quattordicesima giornata mondiale contro l’ictus.
Di fronte a questo evento improvviso, inatteso, traumatico è normale essere sconfortati e increduli. L’impatto è forte, non soltanto sulla persona colpita, ma anche sulla sua famiglia. Combattere e vincere la malattia è già un risultato enorme. Ma poniamo che l’ictus ci lasci vivi. Quando si torna a casa, dopo un periodo di riabilitazione che nelle regioni più attrezzate può variare dai 40 giorni ai due mesi, ci si trova ad affrontare davvero, nella vita di tutti i giorni, la nuova situazione, che è tutt’altro che rosea.
La dottoressa Nicoletta Reale, presidente di Alice Italia onlus (Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari), si è espressa in questo modo: “In questa fase così delicata, i sopravvissuti e le loro famiglie spesso sono soli ad affrontare un impegno che non è soltanto pratico ed emotivo, ma anche economico. I servizi socio-sanitari e sociali non riescono a supportare tutti coloro che necessitano di cure e si genera una situazione di sofferenza sia per le persone colpite (in particolare gli anziani) sia per i caregiver, soprattutto alla luce del fatto che un caregiver su 5 è anziano a sua volta. Desideriamo che la persona colpita da ictus e la sua famiglia siano consapevoli di non essere sole. Queste persone devono sapere che esistono organizzazioni dedicate, come la nostra, che possono fornire informazioni sia creando una rete di contatto con chi purtroppo ha già vissuto la stessa esperienza, sia impegnandosi nella ricerca di soluzioni che, in modo sostenibile, assicurino la disponibilità d’interventi terapeutici altamente specializzati, una maggiore efficacia delle cure e di conseguenza un miglior investimento delle risorse disponibili”.
Disturbi neurologici e ictus: organizzazione delle reti di supporto
Bisogna organizzare al meglio le reti di supporto, a vantaggio delle persone colpite da ictus. Nella fase cronica della malattia, è principalmente la famiglia ad avere la responsabilità di prendere decisioni molto impegnative. Per esempio: bisogna utilizzare ancora qualche servizio della sanità pubblica oppure rivolgersi a servizi privati o a personale retribuito?
Se l’ictus lascia vivi, in più della metà dei casi si determina un grado di handicap tale da aver bisogno di assistenza domiciliare e supporto, di continuo, da parte di qualcuno totalmente dedicato al paziente, che molto spesso è il caregiver familiare. Parliamo di figure speciali, che spesso restano discretamente nell’ombra, che si auto-organizzano per far fronte ai bisogni di assistenza dei propri cari non più autonomi; e il ricorso a badanti regolari non è molto diffuso, specialmente nel Meridione.
In sintesi, l’ictus è la terza causa di morte, la prima di invalidità e la seconda di demenza. Le nuove terapie della fase acuta (trombolisi e trombectomia meccanica) possono evitare del tutto o migliorare spesso in modo sorprendente questi esiti, ma la loro applicazione rimane a tutt’oggi molto limitata per una serie di motivi.
Quali sono i principali? La scarsa consapevolezza dei sintomi da parte della popolazione, il conseguente ritardo con cui chiama il 112 e quindi arriva negli ospedali idonei, il ritardo intra-ospedaliero e, infine, la mancanza di reti ospedaliere appropriatamente organizzate. L’ictus si può paragonare a un’esplosione che compromette il funzionamento dell’organismo, guidato dal cervello: bisogna intervenire tempestivamente e conoscerne l’incidenza nei dettagli, in modo da contenere i danni.