Antibiotico-resistenza, che fare? Bisogna capire come distinguere le infiammazioni batteriche da quelle virali. Naturalmente, si tratta di un accertamento che deve essere posto in essere con la necessaria rapidità. Al medico è necessaria la risposta sul trattamento corretto e adeguato da somministrare al paziente. Attenzione: il sistema esiste.
Si chiama MeMed bv ed è un test utile. Esso consente di stabilire, attraverso la risposta del sistema immunitario all’infezione, se è davvero necessario ricorrere all’uso di antibiotici. Essi, infatti, hanno effetto soltanto sulle infezioni batteriche.
Ma per quale ragione si procede in questo modo? L’obiettivo è appunto contrastare l’abuso di antibiotici, che porta all’antibiotico-resistenza: quest’ultima deve essere limitata al massimo, poiché quando servono davvero queste molecole devono funzionare.
Antibiotici, test sulle infiammazioni: chi ha lavorato al progetto
Il progetto, nato dall’idea di una start-up israeliana, ha visto lavorare spalla a spalla esperti da Germania, Olanda, Svizzera e Italia. La professoressa Susanna Esposito ha rappresentato il nostro Paese: è presidente WAidid e ordinario di Pediatria all’Università degli Studi di Perugia.
Antibiotici: parliamo del test
Si tratta di un test, che studia la risposta immunitaria alle infezioni: misura le concentrazioni nel sangue di tre proteine (TRIAL, IP-10, proteina C reattiva), che aumentano o diminuiscono in risposta a batteri o virus. I finanziamenti per lo sviluppo provenivano dalla Comunità Europea, nell’ambito del programma Horizon 2020. La necessaria convalida è arrivata da studi clinici condotti in doppio cieco a livello paneuropeo. Per l’Italia, hanno partecipato la Clinica pediatrica e la struttura di Microbiologia dell’Università degli Studi di Perugia. Recentemente, è stato approvato per uso clinico nell’Unione europea, in Svizzera (CE-IVD) e in Israele.
Antibiotici: le statistiche
I casi di infezioni antibiotico-resistenti registrati in Europa nel 2015 sono circa 700.000. C’è poco da scherzare: a esse sono attribuibili oltre 33.000 decessi. Secondo le stime, si determina un’incidenza di 131 casi di infezione antibiotico-resistente per 100 mila abitanti, nonché 6,44 decessi per 100 mila abitanti. Soltanto sulla nostra Penisola, sono circa 10.000 i decessi correlati all’antibiotico-resistenza: si tratta di un terzo di tutti i decessi legati a questo fenomeno a livello europeo.
Susanna Esposito, in argomento, si è espressa in questo modo: “Si tratta di dati allarmanti che

impongono all’Italia di intervenire concretamente per contrastare il fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Con lo sviluppo di questo test, l’Università degli Studi di Perugia si fa portavoce di un impegno che mira a ridurre la resistenza agli antibiotici sia a livello internazionale, sia nella pratica clinica quotidiana. Si tratta di un’importante rivoluzione in campo diagnostico: il test interpreta i segnali del sistema immunitario e distingue con una sensibilità superiore al 90% le infezioni batteriche da quelle virali. Questo consente al medico di prescrivere i farmaci in maniera più consapevole, limitando l’uso di antibiotici che si rivela non necessario in oltre il 50% delle prescrizioni”.
Antibiotico-resistenza, risultati in tempi brevi: la nuova piattaforma
I risultati, come detto, sono necessari in tempi brevi. E’ stata sviluppata a questo scopo MeMed key. Si tratta di una piattaforma di piccole dimensioni e di facile utilizzo. Essa consente di eseguire il test in 15 minuti e garantisce livelli di precisione uguali a quelli delle grandi piattaforme di analisi immunologiche a disposizione presso laboratori centralizzati. Parliamo di un dispositivo Point-of-care (Poc): esso è quindi eseguibile vicino al paziente o comunque nel luogo nel quale viene fornita l’assistenza sanitaria. I risultati sono pronti velocemente: è in tal modo che, come detto, il medico individua in maniera tempestiva la terapia corretta.
La maggior parte delle soluzioni convenzionali cercano di rilevare batteri o virus. Questo approccio offre vantaggi che vanno al di là della velocità e della precisione. Poiché i biomarcatori immunitari studiati circolano in tutto il corpo, è possibile diagnosticare casi in cui l’infezione è localizzata in sedi non facilmente accessibili. Si prevengono inoltre falsi allarmi, dovuti al rilevamento di batteri o virus che sono semplici spettatori e non causano la malattia. Si identificano, già al loro esordio, infezioni batteriche aggressive.
Ecco uno strumento prezioso, quando si tratta di lottare contro i batteri resistenti. Si tratta di una tecnica che non è destinata a essere applicata soltanto nei reparti ospedalieri, ma anche nelle strutture di Pronto soccorso e negli ambulatori. Il mese scorso ad Haifa, in Israele, si sono riuniti i maggiori esperti di Infettivologia pediatrica per sviluppare ulteriormente l’innovativo test, così da renderlo disponibile nella diagnosi rapida, in occasione della World antibiotic awarness week (12-18 novembre).
Ricovero in ospedale: le infezioni correlate
Ogni giorno, nel Bel Paese, un paziente su 15 contrae un’infezione durante un ricovero in ospedale. Come combattere l’aumento dei casi di infezioni correlate all’assistenza ospedaliera? Bisogna sensibilizzare e prevenire.
Infezioni e assistenza ospedaliera: un problema che peggiora
Parliamo in tal caso di un problema non immediatamente visibile, ma molto concreto e purtroppo in peggioramento. Secondo i dati dell’Ecdc, la maggior parte delle trentatremila persone che ogni anno muoiono, come detto, nell’Unione Europea, a causa di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, le contrae in ospedale.
Oggi in Italia la probabilità di contrarre infezioni durante un ricovero ospedaliero è del’6%, con 530 mila casi ogni anno: siamo all’ultimo posto tra tutti i Paesi d’Europa. Perché? Aumentano i pazienti più “fragili”, con un’età superiore ai 65 anni. E ancora: si utilizzano di sistemi sempre più invasivi per l’organismo umano, come cateteri o endoscopi che costituiscono veicoli di batteri, ma soprattutto c’è scarsa adozione di strategie di prevenzione.
Secondo le stime, nel nostro Paese sono circa 7.800 i casi di decessi all’anno per infezioni acquisite nei nosocomi: sono pari al doppio delle morti legate agli incidenti stradali. Tali infezioni rappresentano un rischio fatale quanto la somma delle maggiori malattie infettive messe insieme: influenza, tubercolosi e HIV.
Infezioni contratte nei nosocomi: che fare?
Bisogna aumentare la consapevolezza dei cittadini e sensibilizzare gli operatori sanitari sul tema della prevenzione e dell’antibiotico-resistenza. Il Piano nazionale di contrasto dell’Antimicrobico-resistenza (Pncar) 2017-2020, a cura di Ministero della Salute, dovrebbe entrare a far parte definitivamente dei programmi condivisi e applicati da Regioni e Ospedali. E’ necessario adottare alcuni semplici, ma fondamentali passaggi:
- Il lavaggio delle mani
- Il riscaldamento del paziente durante un’operazione chirurgica
- L’uso di medicazioni in grado di tenere sotto controllo eventuali infezioni, dovute all’accesso venoso attraverso il catetere.
La campagna “Ospedale senza infezioni”
La campagna “Ospedale senza infezioni” è stata lanciata con l’obiettivo di informare meglio i cittadini e diffondere un programma d’azione condiviso con gli operatori sanitari, verso l’adozione di sempre più efficaci modelli di prevenzione. Queste le parole di Patrizio Galletta, 3M Italia country business leader Health care: “Con il lancio della campagna ‘Ospedale Senza Infezioni’ vogliamo supportare un passaggio culturale fondamentale nel nostro Paese sulla lotta alle infezioni ospedaliere. Bisogna pensare al contesto in cui si opera e migliorare le condizioni dei pazienti che affrontano, ad esempio, un intervento chirurgico o una terapia oncologica. Pazienti più informati e sicuri e personale sanitario aggiornato sulle migliori pratiche cliniche e sulle azioni più efficaci di prevenzione aiuteranno a ridurre gli eventi avversi correlati alle infezioni ospedaliere”.