Epatite C: quanti pazienti restano ancora da curare? E’ disponibile una nuova stima in argomento, che prende in considerazione appunto i soggetti con diagnosi nota e non nota.
L’indagine aggiornata sulle stime di prevalenza dell’epatite C nel nostro paese è stata realizzata da EpaC onlus.
Diminuiscono sulla nostra Penisola i pazienti, colpiti dall’epatite C, ancora da curare, se prestiamo attenzione a coloro che si trovano nelle strutture autorizzate. Sono ancora molti, del resto, i malati presenti in micro- e macro-bacini, che devono essere avviati a terapia. Sono ancora circa 200.000 i pazienti da indirizzare verso una cura definitiva. Da sommare a essi, ci sono altri 100.000 pazienti (media 71-130.000) che ancora non hanno scoperto l’infezione: si tratta del cosiddetto sommerso.
La malattia si trasmette con il sangue e sono note le categorie a rischio: coloro che usano droghe per via endovenosa, presidi medici non sterilizzati e si sottopongono a trasfusioni di sangue non controllato. Ne parleremo in seguito.
L’epatite C, malattia infettiva, colpisce in primo luogo il fegato, come dice il nome. Parliamo di un’infezione spesso asintomatica, la cronicizzazione della quale può condurre alla cicatrizzazione del fegato e, infine, alla cirrosi, evidente in genere dopo molti anni.
Diagnosi nota e non nota: come fare luce in quest’ambito? Un’indagine in tal senso, nota come “Epatite C: stima del numero di pazienti con diagnosi nota e non nota residenti in Italia”, è stata realizzata in collaborazione con il Eehta del Centro di studi economici e internazionali (Ceis) dell’Università Tor Vergata di Roma: si tratta di un aggiornamento dell’indagine svolta nel 2015.
Epatite C: la parola agli esperti
Ivan Gardini, presidente di EpaC onlus, si è espresso in questo modo:
“Le nostre indagini di prevalenza non si prefiggono l’obiettivo di essere l’unico punto di riferimento nazionale sulla quantificazione realistica dei pazienti ancora da curare, ma certamente possono essere messe a confronto con altre stime, attuate con metodi diversi, al fine di offrire ai decisori la possibilità di operare scelte ragionate e definire piani nazionali e regionali di eliminazione di epatite C, così come raccomandato dall’Oms”.
Epatite C: casi di diagnosi nota in attesa di cura
Entrambe le indagini (2015 e 2018) partono dall’analisi delle informazioni accessibili dei registri regionali sulle esenzioni per patologia, cui sono state applicate, successivamente, variabili correttive. Come è stata adeguata a oggi la ricerca del 2015? E’ stato migliorato lo standard nella raccolta delle informazioni. Grazie allo strumento di un sondaggio specifico, fatto compilare ai pazienti, che coinvolgeva 13 importanti strutture ospedaliere di tre regioni rappresentative del Nord, Centro e Sud del Bel Paese (Campania, Lazio e Piemonte), è stato possibile utilizzare dati aggiornati.
Si è trattato di un sondaggio posto in essere tra settembre 2017 e gennaio 2018, che ha chiamato in causa anche gruppi specifici di pazienti, come tossicodipendenti e co-infetti (Hcv/Hiv), e ha fornito in tal modo una stima più accurata dei pazienti con diagnosi già nota.
Infatti è stato preso in considerazione un campione di pazienti doppio rispetto a quello considerato tre anni fa (2.860 contro 1.159), nell’ambito di strutture ospedaliere. E’ stato rispettato il criterio del reclutamento consecutivo. Variabili come la stima dei decessi con eziologia Hcv, le nuove infezioni, i pazienti guariti, sono state utilmente prese in considerazione.
Epatite C, le nuove stime: una sintesi
Facciamo una sintesi. Al primo gennaio 2018, la stima del numero di pazienti con diagnosi nota, in attesa di essere curati, è di circa 240mila (variazione massima tra 192mila e 311mila pazienti); al primo gennaio 2019, la stima del numero di pazienti con diagnosi nota, in attesa di essere curati si prevede sia invece di circa 160mila (variazione massima tra 159.133 – 170.133 pazienti). Ma come si è giunti a tale quantità? Applicando le variazioni dovute a nuove infezioni, decessi e guarigioni stimate in tutto il 2018.
Queste le parole del professor Francesco Saverio Mennini, direttore del Ceis dell’Università Tor Vergata di Roma: “Conoscere quanti pazienti con Hcv devono ancora essere trattati favorisce una programmazione virtuosa ed efficiente, anche dal punto di vista economico e finanziario. Si incide positivamente sulla sostenibilità di sistema. Come emerso in un recente studio presentato al convegno Ispor Usa 2018, il trattamento del paziente nella fase precoce della malattia determina un ritorno completo dell’investimento attuato dopo circa 6 anni. E’ plausibile che questo trend prosegua, comportando minori impatti sulla spesa e ritorni ancora più rapidi”.
Epatite C: il sommerso
Volgiamo lo sguardo ai pazienti con diagnosi non nota in attesa di cura e alle stime relative: si parla del cosiddetto “sommerso”. Per la prima volta sono state vagliate, oltre a quelle note, le infezioni non ancora diagnosticate. Si tratta di un tema che non è stato ancora sufficientemente indagato: pochi in effetti sono stati gli studi realizzati in argomento, nonostante la rilevanza della tematica, al fine di raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione. I pazienti noti ormai a oggi curati sono 150.000: il numero cresce. Diventa fondamentale reperire e analizzare informazioni “fresche” sulla quantità di infezioni nascoste, da far emergere e trattare.
Utilizzando la necessaria prudenza, sulla base delle analisi sulle fonti informative prese in considerazione, è possibile affermare che i pazienti con infezione non ancora diagnosticata potrebbero essere tra i 71.200 e i 130.500. La quota principale del sommerso è rappresentata da tossicodipendenti (tra 29mila e 46mila) e da persone ultrasessantacinquenni (tra 35mila e 57mila). In percentuale inferiore, incidono le persone sotto i 65 anni. Al fine di analizzare questo ultimo gruppo, sono stati utilizzati i report Iss relativi alle donazioni di sangue dei cittadini privi di fattori di rischio: esiste la consapevolezza di una possibile sottostima.
Ecco quanto ha aggiunto in argomento da Ivan Gardini: “I risultati di questa nuova indagine evidenziano e confermano un aspetto sul quale insistiamo da diverso tempo: ormai, la maggior parte dei pazienti da curare devono essere cercati in serbatoi al di fuori delle strutture autorizzate. Sono di conseguenza necessari piani di eliminazione regionali in grado di organizzare la presa in carico e l’avvio al trattamento dei pazienti, che devono essere curati coinvolgendo tutti gli stakeholder interessati (carceri, SerD, medici di famiglia…) e l’adozione di micro e macro Pdta funzionali a tale obiettivo. Le Regioni che si stanno organizzando in questa direzione, purtroppo, sono ancora troppo poche, nonostante vi siano risorse vincolate per l’acquisto di farmaci anti Hcv, raccomandazioni dell’Oms, e quantità industriali di studi clinici che evidenziano la necessità di curare tutti i pazienti il prima possibile”.
La versione cartacea dell’indagine completa, disponibile a breve, potrà essere richiesta direttamente all’associazione EpaC.