Distrofia di Duchenne, le diagnosi arrivano in ritardo: che fare?

Distrofia di Duchenne, le diagnosi arrivano in ritardo: che fare?

Distrofia di Duchenne: colpisce più di duemila giovanissimi italiani, con un ritmo di circa 50 ogni anno. Una macchina da guerra che nuoce ai più piccoli. Che fare, al fine di contenere la malattia? E’ necessaria una diagnosi precoce, che nella pratica non si raggiunge spesso. Sovente, la patologia si individua troppo tardi, anche dopo 6 anni dalla comparsa dei primi sintomi.

Distrofia di Duchenne: che cos’è?

Distrofia di Duchenne, le diagnosi arrivano in ritardo: che fare?Si tratta della più frequente e della meglio conosciuta tra le distrofie muscolari dell’infanzia. Si riconosce, solitamente, al terzo anno di vita, ma almeno la metà dei pazienti presenta i segni della malattia prima che inizi la deambulazione.

Colpisce quasi esclusivamente gli individui di genere maschile.

L’incidenza stimata è 1 su 3500 maschi. Le femmine sono soltanto portatrici della patologia, che si eredita come carattere recessivo legato al cromosoma X.

Avviene, tuttavia, che le madri di una quota di pazienti affetti da distrofia di Duchenne siano non portatrici: è dunque possibile che nel paziente si sviluppi una mutazione ex novo. La distrofia di Duchenne costituisce il 50% di tutte le forme distrofiche.

Il decorso è relativamente rapido e attivo. Essa determina la progressiva perdita delle capacità di muoversi autonomamente di un bambino e riduce drammaticamente l’aspettativa di vita (attualmente è pari a circa 30 anni).

Con il progredire della malattia, è possibile osservare modificazioni comuni a tutti i tipi di distrofia muscolare: perdita di fibre muscolari, fibre residue di maggiore o minore diametro rispetto al normale e disposte casualmente, aumento degli adipociti (cellule del tessuto connettivo che sintetizzano, accumulano e cedono lipidi, ndr) e fibrosi (aumento della quantità del tessuto connettivo fibroso, ricco di fibre collagene e povero di cellule e vasi, ndr)

Distrofia di Duchenne: aumentare le conoscenze del pediatra

E’ fondamentale, per diagnosticare prima la patologia, aumentare il livello di conoscenze del pediatra di famiglia: parliamo, infatti, del primo specialista che si occupa di assistere i pazienti. Come ha agito, in quest’ambito, la Federazione italiana medici pediatri (Fimp)? E’ stato lanciato il primo progetto nazionale per la medicina del territorio dedicato a una patologia rara.

Distrofia di Duchenne: Il progetto Peter Pan

Il progetto PETER PaN (PEdiatria TEerritoriale e Riconoscimento Precoce Malattie Neuromuscolari) è Distrofia di Duchenne, le diagnosi arrivano in ritardo: che fare?stato posto in essere con il supporto non condizionante di Ptc therapeutics. Riguarda la realizzazione di attività formative specifiche, come corsi e seminari, per i pediatri.

Peter Pan: l’obiettivo

Peter Pan, il bambino che vola, non poteva essere più appropriato come personaggio simbolo dell’iniziativa. Ci si propone di coinvolgere più di 5.000 pediatri di famiglia, il cui lavoro si svolge nell’intero territorio del Bel Paese.

Un Position paper ufficiale della Fimp, inoltre, riguarderà le malattie neuro-muscolari. Saranno in esso contenute raccomandazioni utili, al fine della pratica clinica. Si aggiungerà materiale informativo di supporto, utile al medico per interfacciarsi con i genitori o gli altri caregiver.

Distrofia di Duchenne: la parola agli esperti

Il dottor Paolo Biasci, presidente nazionale Fimp, si è espresso in questo modo: “Il pediatra di famiglia deve ricominciare a prestare la giusta attenzione al problema delle malattie neuromuscolari. Esse, del resto, rientrano in quel processo di osservazione e monitoraggio del neurosviluppo che sta diventando una parte sempre più importante della nostra professione. La malattia di Duchenne è abbastanza rara (3-4 casi ogni 100.000 abitanti) ma nel loro complesso i problemi neuromuscolari interessano oltre 20.000 bambini residenti nel nostro Paese. E il loro numero risulta in crescita. E’ dunque arrivato il momento di recuperare una cultura più accurata verso patologie forse troppo sottovalutate”.

Queste le parole di Mattia Doria, segretario nazionale alle attività scientifiche ed etiche della Fimp: “Oggi, nuove terapie specifiche iniziano a essere disponibili, grazie alla ricerca medico-scientifica. I dati a disposizione dimostrano che esse possono migliorare la traiettoria evolutiva della malattia. Esse riducono infatti l’impatto sulla qualità della vita dei giovani pazienti e ritardano l’esito fatale. Tutto ciò, a un patto: che tali terapie abbiano inizio quanto prima possibile, ovvero prima che il danno muscolare sia troppo avanzato. Noi pediatri di famiglia, quindi, ci sentiamo chiamati a migliorare ancora le nostre competenze nel riconoscimento precoce delle malattie neuromuscolari. A differenza di altre patologie rare il riconoscimento non è troppo difficile. Con il progetto Peter Pan, il nostro intento è sensibilizzare i pediatri di famiglia a prestare la giusta attenzione ad alcune condizioni e caratteristiche motorie, anche del bambino molto piccolo. Esse potrebbero rappresentare un segnale di allarme”.

Distrofia di Duchenne: un caso

Distrofia di Duchenne, le diagnosi arrivano in ritardo: che fare?Ecco quanto afferma Filippo Buccella, fondatore dell’associazione di pazienti Parent project onlus: “Mio figlio da 28 anni è affetto da distrofia di Duchenne. Come genitore conosco quindi molto bene le complessità e le difficoltà che determina nella vita di tutti i giorni questa patologia neuromuscolare. Bisogna agire”.

Patologie rare: più numerose di quanto si pensi

Le patologie rare, del resto, sono più numerose di quanto non si pensi. Si tratta di più di 7.000 diversi disturbi. Nella maggioranza dei casi, esse hanno un’origine genetica. Sono colpiti due milioni di italiani in totale. Il 70% dei pazienti sono bambini e adolescenti.

Carlo Minetti, presidente nazionale dell’Associazione italiana di Miologia ed esperto di distrofie muscolari dell’Istituto G. Gaslini e dell’Università di Genova, ha dichiarato: “Si tratta di malattie estremamente complesse e in Italia esistono centri di riferimento che sono all’avanguardia nel mondo. L’individuazione di queste patologie è soprattutto, da sempre, un compito del pediatra di famiglia. Nel caso specifico della distrofia di Duchenne, se riusciamo ad anticipare le diagnosi e quindi anche la presa in carico del paziente possiamo ottenere esiti positivi, rallentando l’evoluzione della malattia per dei bimbi che sono altrimenti destinati, prima o poi, a perdere gradualmente la forza dei muscoli”.

Diagnosi sempre più certe delle malattie neurologiche

E’ possibile riscontrare malattie neurologiche compiendo analisi direttamente sull’organismo e non prelevando sangue.
Parliamo di “Biochimica clinica in vivo”: essa permette di scoprire diversi tipi di malattie neurodegenerative difficili da diagnosticare. In tal modo terapie mirate possono essere impostate. Ma quando sono iniziati gli studi in argomento? Negli ormai lontani anni Settanta, quando l’imprenditore Enzo Ferrari portò nel nostro Paese una spettroscopia di risonanza magnetica acquistata negli Stati uniti. L’intento era sostenere i medici dell’ospedale di Modena. Essi erano attivi nel seguire l’evoluzione della patologia del figlio dell’imprenditore, colpito dalla malattia di Duchenne, che come detto è una miopatia ereditaria. Il macchinario è ancora operativo all’ospedale di Bologna, cui era stato donato.

Si è espresso in merito il professor Marcello Ciaccio, presidente della Società italiana di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica (Sibioc): “All’epoca rappresentava il primo esempio, avveniristico, di studio ‘in vivo’. Oggi continuiamo a seguire questa strada con risultati sempre estremamente promettenti. Lo studio diretto condotto sull’organismo di un paziente nella sua interezza e non su matrici biologiche consente alla medicina di laboratorio diagnosi differenziali prima impossibili. Ad esempio, si possono distinguere la malattia di Parkinson da sindromi simili o altre malattie neurologiche anche rare, con importanti ricadute cliniche sul paziente, che può ottenere rapidamente la cura più corretta. Oggi le apparecchiature che consentono le diagnosi “in vivo” restano poco diffuse e costose. Siamo solo all’inizio, ma è questo il futuro per una medicina di laboratorio sempre più utile al paziente”.

About Isabella Lopardi

Isabella Lopardi ha lavorato come giornalista, traduttrice, correttrice di bozze, redattrice editoriale, editrice, libraia. Ha viaggiato e vissuto a L'Aquila, Roma, Milano. Ha una laurea magistrale con lode in Management e comunicazione d'impresa, è pubblicista e redattore editoriale. E' preside del corso di giornalismo della Pareto University.

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