Scoliosi Vertebrale e Ortognatodonzia

Scoliosi Vertebrale e Ortognatodonzia

La scoliosi vertebrale viene definita come:“ una deviazione permanente del rachide sul piano frontale “. Il carattere “permanente” differenzia le scoliosi organiche dalle scoliosi funzionali, cosiddette perché non presentano alcuna alterazione anatomica e si manifestano quando la colonna è “ in funzione “ cioè nella stazione eretta, mentre tendono ad attenuarsi o scomparire in posizione di riposo.

Le scoliosi organiche sono causate da alterazioni delle componenti ossee, legamentose e muscolari della colonna vertebrale e, tra queste, le cosiddette “idiopatiche” sono le più frequenti. Sono in genere scoliosi ad ampia curvatura che si manifestano soprattutto all’epoca della pubertà con una netta predilezione per il sesso femminile. Classicamente si ritiene che possano avere importanza nell’insorgenza di tali scoliosi una lassità dell’apparato capsulo-legamentoso della colonna e uno squilibrio tra il rapido accrescimento scheletrico proprio dell’adolescenza e la muscolatura paravertebrale. In realtà il termine “idiopatico” usato per classificare questo tipo di scoliosi  la dice lunga circa le conoscenze che l’ortopedia ha della sua eziopatogenesi.

 

Purtroppo quando non si conosce bene l’origine di una malattia la terapia non può essere che sintomatica, con risultati difficilmente predicibili e raramente soddisfacenti. Quella classica prevede per le scoliosi con modesta angolazione (meno di 20°) la ginnastica correttiva, volta a rinforzare la muscolatura paravertebrale e dorsale, mentre per angolazioni maggiori si ricorre a busti gessati e/o ortopedici che mantengano forzatamente il rachide in una presunta posizione corretta fino alla maturità ossea. Il fatto, per nulla confortante, che ricerche eseguite da numerosi autori, mostrino come dopo un iniziale miglioramento apparente si abbia a distanza di anni una recidiva con un ritorno dei valori in gradi preesistente o addirittura un peggioramento, dovrebbe porre seri dubbi circa l’utilizzo di tale trattamenti.

Personalmente mi chiedo come si possa anche solo immaginare d’imbrigliare un adolescente in simili “corazze” che provocano oltre a dolore fisico un ben più grave disagio psicologico e socio-relazionale! La scoliosi non è semplicemente la patologia di un singolo distretto corporeo (la colonna vertebrale) ma è l’espressione di uno squilibrio posturale e la postura non è semplicemente la posizione del corpo nello spazio ma è anche il riflesso di come la persona elabora ed esprime la sua immagine corporea sulla base di sensazioni, emozioni e storia personale, di come si pone rispetto a sé stesso e rispetto agli altri.

Secondo la PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (P.N.E.I.) , nuova scienza in evoluzione permanente, la scoliosi rappresenta un “errore” nel funzionamento e nella relazione tra i grandi sistemi di regolazione dell’organismo: il Sistema Nervoso, Endocrino, Immunitario e la Psiche. Ogni variazione che si realizza in ciascuno di essi si ripercuote su tutti gli altri trasversalmente, determinando un riaggiustamento dell’intero organismo.

Questa necessariamente breve premessa ci dovrebbe far riflettere sul fatto che gli odontoiatri e più specificatamente gli ortognatodontisti operano in un “campo minato” estremamente delicato perché condizionato e condizionante l’intero equilibrio posturale.

Le domande che ci si dovrebbe porre sono essenzialmente due:

–       E’ possibile che i trattamenti ortodontici siano causa di disequilibrio posturale e quindi di alterazioni vertebrali?

–       Nel caso di un paziente con malocclusione dentale, già affetto da scoliosi, bisogna intervenire a trattare la malocclusione, e se si, quando e in che modo?

Nel paziente in crescita con scoliosi essenziale evolutiva è assolutamente controindicata qualsiasi procedura che vincoli l’occlusione. Il paziente affetto da scoliosi è costantemente alla ricerca del suo equilibrio attraverso meccanismi di compenso e di adattamento tra i quali figurano in primo piano le articolazioni temporo-mandibolari e l’occlusione.

Intrappolare i denti secondo uno schema ideale, in un paziente che ideale non è, equivale a bloccare un’importante “ via di fuga “ delle tensioni miofasciali che stanno cercando di organizzarsi.

Bene che vada (al paziente), il trattamento ortodontico fallirà e si manifesterà la recidiva della malocclusione. Se, a seguito di contenzioni dentali fisse o mobili prolungate, ciò non avvenisse, il primo sistema di adattamento che salterà saranno proprio le articolazioni temporo-mandibolari.

Il nostro trattamento dovrebbe perciò essere rivolto primariamente al loro riequilibrio con apparecchiature funzionali nel quadro di un più generale riequilibrio posturale globale ( inteso secondo il concetto della P.N.E.I:) che a tutt’oggi rappresenta l’unica terapia in grado di arrestare e stabilizzare il processo scoliotico.

Una volta che questo obbiettivo sia stato raggiunto, alla fine dell’accrescimento (la colonna vertebrale si assesta intorno ai diciotto anni nella femmina e ai venti anni nel maschio) si potrà decidere di rifinire l’occlusione con terapia fissa ma lo si farà nell’assoluto rispetto dello schema cranio-posturale individuale che il paziente avrà raggiunto.

Questo potrebbe voler dire non riuscire ad ottenere dei perfetti rapporti dentali, potrebbero residuare deviazioni delle linee mediane o piccoli affollamenti dei denti anteriori.

Vale la pena rischiare questi piccoli inconvenienti estetici a fronte della salvaguardia di un equilibrio che il paziente si è faticosamente guadagnato?

 

 

Dott. Giuseppe Stefanelli. Odontoiatria sistemica

info@osstefanelli.com

 

 

 

 

 

 

 

Immagine copertina di Karolina Grabowska https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-signora-schiena-dolore-4506105/

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