lavoro e infelicità

Quanto sono felici gli italiani sul posto di lavoro?

Alla domanda “Cos’è per voi la felicità?” probabilmente poche persone risponderebberoIl mio lavoro“.

Colleghi scontrosi e pronti parlare male alle spalle, manager poco disponibili pronti a riempire di compiti da portare a termine le persone gestite, aziende che pagano poco, contratti brevi e poco appaganti. Insomma, molti di noi hanno tutt’oggi, o in passato, avuto a che fare con situazioni di questo genere.

Situazione che fa riflettere, specialmente alla luce della Giornata internazionale della felicità che è passata da circa una settimana.

Un sentimento, quello della felicità, che, per oltre 9 lavoratori su 10, è fondamentale anche nella propria azienda, sempre alla ricerca del benessere quotidiano e di piccole gratificazioni.

È quanto emerge dal 7° Rapporto Censis-Eudaimon, in un quadro che vede però spesso i dipendenti insoddisfatti.

“C’è ancora molto da fare. Infatti, l’insoddisfazione generalizzata degli occupati italiani è evidente e cresce il rischio di disaffezione: il 67,7% vorrebbe ridurre il tempo dedicato all’attività lavorativa e già oggi il 30,5% dei lavoratori afferma di impegnarsi lo stretto indispensabile sul posto di lavoro”, spiega Alberto Perfumo, fondatore e amministratore delegato di Eudaimon.

La felicità degli italiani sul lavoro, in futuro, è destinata ad aumentare? Lo scopriremo insieme, nel mentre cerchiamo di leggere alcuni dei dati che interpretano il presente.

Lavoro e felicità: l’importanza di un ambiente che ricerca il benessere

il lavoro rende infeliciL’ONU ha riconosciuto la necessità di un approccio più inclusivo, equo e bilanciato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutti i popoli.

Considerando che molte persone passano almeno 40 ore della settimana a lavorare, si può immaginare quanto sia importante trovare un ambiente felice anche sul posto di lavoro.

L’importanza della felicità sul posto di lavoro è confermata e comprovata da diverse ricerche, anche all’estero.

Uno studio della Oxford University, recentemente riportato da Harvard Business Review, ha infatti dimostrato una relazione causale tra lavoratori felici e un aumento del 13% della produttività.

Il welfare aziendale

Inoltre, il livello di felicità di un dipendente è il principale motivo per cui rimane o lascia il proprio lavoro. Un aiuto sotto quest’ottica può arrivare anche dalle aziende che hanno a disposizione strumenti come il welfare aziendale.

Questo, infatti, si può definire come l’insieme di iniziative, beni e servizi che l’azienda può mettere a disposizione dei propri dipendenti, per aumentare il loro benessere e favorire la conciliazione tra vita privata e professionale.

“Il welfare, quando si parla di appagamento e più in generale di felicità sul posto di lavoro, svolge un ruolo davvero cruciale. Il lavoro, infatti, non è più centrale come un tempo nella vita delle persone, non ci definisce più come individui e non è più indicativo della posizione sociale. A confermarcelo, ancora una volta, abbiamo i dati del 7° Rapporto dove l’87,3% degli occupati sostiene che fare del lavoro il centro della propria vita sia un errore. Le aziende devono quindi trovare un nuovo modo per soddisfare i propri lavoratori e riuscire a trattenerli, ed è qui che entra in gioco il welfare aziendale. Welfare che è più conosciuto, apprezzato e richiesto dai lavoratori e che l’89,2% vorrebbe che fosse più personalizzabile, più modulabile sulle singole esigenze di ciascuno“, aggiunge Perfumo.

In questo quadro emergono nuovi bisogni e non stupisce che l’82,8% degli italiani si dica più attento rispetto al passato al proprio benessere psicofisico, alla sua salute, alla gestione dello stress e alle relazioni.

Quali sono i lavoratori più felici?

Secondo il portale statunitense Insider Monkey, i professionisti più sereni appartengono alle categorie legate all’arte oltre che alla cura e alla formazione del prossimo.

I dati dell’osservatorio BenEssere Felicità

Al 45% degli intervistati piacerebbe avere la possibilità di cambiare azienda o mestiere nei prossimi 12 mesi, ma solo il 3% per lavorare in un ambiente o azienda con un marchio noto.

“Ciò che stupisce è che il peso di un brand nella scelta del lavoro vale solo il 3%: lavorare in un ambiente o azienda con un marchio noto risulta essere l‘ultima scelta per i lavoratori e le lavoratrici italiane. Questo dovrebbe far riflettere questi brand, poiché potrebbe confermare che i candidati scelgono in quale azienda vogliono dare il proprio contributo senza farsi ‘abbagliare’ dalle organizzazioni più note, se queste non hanno una cultura aziendale e valoriale a loro affine“, afferma Elga Corricelli, co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità.

Lo rileva l’Osservatorio BenEssere Felicità alla sua quarta analisi sullo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori.

Ma non è tutto.

Chi sono i più infelici?

lavoro e felicità
Sandro Formica

Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) e operai i più infelici, i meno soddisfatti e i più inclini a cambiare lavoro, con una massiccia concentrazione di queste caratteristiche nel Nord-ovest d’Italia, che vede il risultante 49% voler cambiare lavoro a fronte della media nazionale del 45%.

“Il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Non è un’impressione, non è trascurabile, è un fatto. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente anche uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76% che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35% non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41% il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47% non aiuta a capire se stessi“, afferma Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità.

Ma quanto pesa sulla felicità il proprio lavoro?

I dati della ricerca condotta dall’Osservatorio BenEssere Felicità non finiscono qui.

Alla domanda “Se tu dovessi valutare quanto il tuo lavoro oggi incide sulla tua felicità complessiva, che peso gli daresti?”

felicità sul lavoro
Elisabetta Dellavalle

Tra chi ha risposto molto e moltissimo la percentuale è del 51%, solo un 15% ritiene che non abbia impatto, mentre un restante 34% gli dà un peso relativo. Alla domanda “Quanto ti senti felice del tuo lavoro?”, solo il 10% lo è pienamente.

“Se andiamo a osservare la felicità per il proprio lavoro vediamo le donne leggermente meno felici degli uomini con una media nazionale del 48% del genere femminile contro il 50%. La Generazione Z è quella più infelice del proprio lavoro con il 44%, a salire la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980) con il 46%, poi i boomer (nati tra il 1945 e il 1964) a un passo dalla pensione con il 50% e i millennial (nati tra il 1981 e il 1996), che con il 55% sembrano i più felici del proprio lavoro“, afferma Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità.

 

 

Copertina Foto di Andrea Piacquadio: https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-d-affari-maturo-triste-che-pensa-ai-problemi-nel-soggiorno-3772618/

Foto di energepic.com: https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-seduta-davanti-a-macbook-313690/

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