Metodo RAVNI: il trattamento manuale per la cura dell'ernia del disco
Salute

Metodo RAVNI: il trattamento manuale per la cura dell’ernia del disco

17/03/2022
144 Visite

Le malattie della colonna vertebrale e delle articolazioni occupano, ormai da tempo, un posto dominante fra le patologie più diffuse su scala mondiale.

Questo è dovuto a fattori sia ambientali che personali dei singoli soggetti coinvolti.

Ma soprattutto è dovuto, ed è il denominatore comune delle società più avanzate, allo stile di vita quotidiano e alla sempre più diffusa sedentarietà.

Le statistiche dicono che, raggiunta l’età di 30 anni, il 7% della popolazione mondiale soffre di quello che genericamente viene definito “mal di schiena” e che il 25% lamenta forme subcliniche.

Queste patologie, sono diventate, negli anni, motivo di interesse internazionale sia tra le aziende di tecnologia medica che producono impianti per il posizionamento di diverse parti della colonna vertebrale sia per i chirurghi esperti in interventi su dischi intervertebrali erniati.

Specialmente per il trattamento delle ernie, che è una delle cause più dolorose e critiche del mal di schiena, esistono oggi vari modelli di intervento, tra cui:

  • trattamento microchirurgico
  • terapie farmacologiche
  • trattamento manuale della colonna vertebrale (metodo RAVNI)

Il trattamento microchirurgico dell’ernia

Negli ultimi anni sono state rese disponibili ai pazienti le cosiddette operazioni microchirurgiche per rimuovere un’ernia del disco, il più delle volte nella colonna lombare.

Lo scopo principale è prevenire la compressione della radice nervosa.

La rimozione di un’ernia intervertebrale con questa tecnologia viene eseguita attraverso una microincisione, utilizzando un microscopio operatorio o lente d’ingrandimento e strumenti microchirurgici.

Questo intervento è generalmente raccomandato per i pazienti che hanno sofferto di forti dolori alla gambe, oltre che alla schiena, per almeno sei settimane e che non hanno ricevuto sollievo dal trattamento conservativo.

Per avere un buon accesso operativo alla massa erniaria, il legamento giallo (parte della faccetta articolare intervertebrale) viene rimosso per accedere alla radice del nervo.

L’intervento chirurgico e le sue complicanze

Il successo dell’intervento, secondo le statistiche, varia dal 90 al 95%.

Ma circa il 5/10 % dei pazienti può andare incontro a recidiva, il più delle volte, già nei primi 3 mesi dopo l’intervento chirurgico, e nello stesso punto in cui è stata rimossa l’ernia.

In altri casi, la ricaduta ha un rischio ancora maggiore di ernia ricorrente: la probabilità che si verifichi raggiunge il 15/20%.

Inoltre, l’apertura che si viene a verificare nell’anello fibroso a causa della lacerazione durante la formazione di un’ernia, probabilmente è destinata a non chiudersi mai più.

Questo perché il disco stesso non ha un apporto di sangue, in assenza del quale la ferita non guarirà e l’apertura rimane, anche se leggermente ristretta.

Altre complicazioni possibili sono ad esempio, la fuoriuscita di liquido cerebrospinale attraverso l’apertura della ferita che si verifica dopo l’intervento chirurgico per rimuovere l’ernia del disco in una percentuale stimata intorno all’1/2% dei casi.

È anche possibile un danno alla radice nervosa e raramente, lo sviluppo della sindrome della “cauda equina”.

Inoltre, dopo qualsiasi operazione per rimuovere un’ernia, si formano cicatrici postoperatorie, che possono restringere sia il canale spinale che il forame intervertebrale, contribuendo alla compressione della radice: questo può causare dolore sia a livello lombare che lungo i nervi femorali e sciatici.

Infine, come con qualsiasi intervento chirurgico, sono possibili sanguinamento postoperatorio e infezioni nell’area operata.

Quando è indispensabile l’intervento chirurgico

Non si può negare la necessità di un metodo chirurgico per il trattamento di alcune ernie discali, ad esempio quando provocano la compressione del midollo spinale e portano ai cambiamenti strutturali nell’area di compressione.

Prima questa ernia viene rimossa, minori saranno le conseguenze in termini di lesione del midollo spinale.

Nella pratica medica europea, le indicazioni assolute per un intervento chirurgico urgente per un’ernia del disco sono:

  • Ernia espulsa con migrazione di frammento da essa
  • Ernia con dolore grave, che non ha risposto alla terapia non invasiva a lungo termine
  • Presenza di deficit neurologici sotto forma di paresi o paralisi
  • Sindrome della “cauda equina” (con insorgenza di incontinenza fecale e/o urinaria e intorpidimento della zona perineale dovuta a ernia del disco).

Il metodo chirurgico non elimina le cause

La chirurgia può rimuovere le ernie, ma tutti gli altri disturbi a livello della colonna vertebrale restano e, di regola, dopo un anno, al massimo dopo 5, il paziente può tornare a ripresentare tutti gli stessi problemi, ulteriormente complicati dal precedente intervento chirurgico.

Questo perché l’essenza del trattamento chirurgico rimane sempre la stessa: rimuove la sindrome della malattia, ma non agisce sulla patologia e sulle sue cause.

Il dolore alla schiena quindi può persistere anche dopo la rimozione chirurgica di un’ernia, sebbene diventi meno intenso.

Infatti, il chirurgo non agisce su altre fonti di dolore, per esempio:

  • Sulle “sublussazione” delle faccette articolari
  • Sull’accumulo del liquido sinoviale nelle capsule per alterazione dell’equilibrio della produzione e dell’assorbimento di esso.

Inoltre, le faccette articolari e i legamenti posteriori delle vertebre sono innervati dal nervo Luschka.

Le articolazioni e i tessuti intorno a questo nervo sono molto sensibili e una loro alterazione può essere fonte di dolore per irritazione dei ricettori.

Quindi, anche sottoponendosi a un intervento chirurgico di erniectomia, restano le cause che hanno contribuito alla formazione dell’ernia, cioè principalmente, i disturbi biomeccanici.

Il trattamento di un’ernia dovrebbe essere sempre accompagnato dal trattamento dell’intera colonna vertebrale, nonché da un drastico cambiamento nello stile di vita del paziente, che non dovrebbe esporre la colonna vertebrale a stress inutili per evitare ulteriori rischi.

Immagine di copertina
Libri
Vanessa Montfort, un negozio  di fiori nel cuore di Madrid
Vanessa Montfort è una scrittrice spagnola di successo, poco più che quarantenne, che ha fatto di…
Terapie farmacologiche

Tra i malati che soffrono di “mal di schiena” e di conseguenti manifestazioni neurologiche secondarie, prevalgono i pazienti giovani e dell’età di mezzo (40-50 anni).

Questi pazienti appartengono alla fascia dell’età lavorativa e si indirizzano prevalentemente verso terapie farmacologiche per ottenere un regresso il più rapido possibile della sindrome dolorosa.

Ma non sempre e non per tutti le medicine risultano della stessa sperata efficacia, mentre sempre e per tutti l’uso dei farmaci, specie se intenso e prolungato nel tempo, può comportare effetti secondari fastidiosi, quando non dannosi.

Gli effetti collaterali o secondari sono i limiti oggettivi di ogni terapia farmacologica.

Alcuni metodi farmacologici per il trattamento dell’ernia del disco sono:

  • la tecnica della “epiduroscopia”, che consiste nell’iniezione di farmaci corticosteroidi attraverso l’apertura sacrale nello spazio epidurale.
  • La “fibroscopia”, che consiste nell’introdurre un endoscopio flessibile con una videocamera attraverso il forame sacrale e il canale spinale fino al livello dell’ernia e quindi iniettare nell’area dell’ernia preparazioni steroidee che provocano la dissoluzione della massa erniaria, al fine di prevenire la possibile recidiva postoperatoria. Questo metodo è anche usato per trattare ernie discali primarie, non operate.

Trattamento manuale della colonna vertebrale

Il riposizionamento articolare e vertebrale non invasivo (metodo RAVNI)

Esiste oggi un altro metodo non farmacologico e non chirurgico per il trattamento delle ernie intervertebrali e di altre malattie della colonna vertebrale e delle articolazioni: la terapia manuale.

Fra i vari metodi di trattamento manuale della colonna vertebrale, ne figura uno di origine plurisecolare, in Ucraina e Russia, che in epoca recente è stato messo a punto dal Dottore Nikolaj Andreevich Kassian, accademico delle Scienze dell’Ucraina.

Questo metodo è noto appunto come Metodo del Dottor Kassian e nel corso degli anni è stato rielaborato e aggiornato dal professor Saidbegov, definita da lui Riposizionamento Vertebrale e Articolare non Invasivo (RAVNI).

Questa terapia è stata perfezionata molto nel corso degli anni e molto è stato introdotto nella metodologia, tenendo conto dei tanti anni di pratica e della possibilità di utilizzare nuovi metodi di diagnostica e ricerca come la RM (risonanza magnetica), la TAC, l’EMG degli arti, utili per una diagnosi accurata e per la necessaria verifica dei risultati del trattamento.

Inoltre, si utilizzano nella pratica elementi di altri metodi di medicina manuale come la chiropratica, l’osteopatia, alcune elementi del metodo di Karlo Levit, per esempio nel trattamento della rachide cervicale.

La terapia inizia con uno studio:

  • dei risultati delle indagini strumentali
  • una visita neurologico-ortopedica completa e molto dettagliata
  • una diagnosi sullo stato patologico della colonna vertebrale o dell’articolazione usando una particolare sensibilità delle dita acquisita per pluriennale esperienza.

Questo metodo infatti, deve essere praticato solo ed esclusivamente da uno specialista altamente qualificato, potendo invece provocare danni alla salute del paziente se il trattamento viene eseguito da non esperti.

I vantaggi di questo metodo sono:

  • Il fatto che possa essere eseguito sempre, ma solo quando si è sicuri al 100% della diagnosi e in assenza di controindicazioni.
  • Il fatto che non sia richiesta alcuna attrezzatura speciale per effettuare la terapia.

Come funziona il metodo RAVNI

Con il metodo RAVNI si può ripristinare la biomeccanica della colonna vertebrale profondamente disturbata dal dolore.

In seguito al trattamento le reazioni infiammatorie nell’area patologica intorno all’ernia si normalizzano e l’ernia discale con il tempo viene assorbita, indipendentemente dalle dimensioni, in quanto l’organismo inizia a considerarla come un corpo estraneo che in condizioni normali non dovrebbe trovarsi nel canale spinale.

“Con questo metodo lo specialista-neurovertebrolo rimuove l’ernia eliminando il dolore da essa causato che rappresenta il sintomo principale di questa patologia della colonna vertebrale”, spiega il professor Saidbegov.

“Infatti, la base del metodo risiede nell’eliminazione dei disturbi biofisici della colonna vertebrale, attraverso lo “sblocco” di tutte le due parti “bloccate”, come reazione di difesa del corpo provocata da manifestazioni infiammatorie e immunologiche di tutti i tessuti del canale spinale dell’organismo.

Quindi dopo averla sbloccata, cioè dopo aver ripristinato i movimenti delle vertebre, queste vengono “riposizionate”, nella loro posizione originale, come erano prima della malattia, attraverso l’eliminazione della sublussazione delle articolazioni arcuate intervertebrali.

Inoltre, non si tratta solo l’ernia, che in quel momento rappresenta la fonte della sofferenza del paziente, ma anche altre protrusioni ed ernie localizzate nella colonna vertebrale che prima o poi sono destinate a manifestarsi“.

Quindi, è una terapia acuta ma anche preventiva: trattando l’intera colonna vertebrale, considerandola nel suo insieme, con effetti che si protraggono per molti anni, riflettendosi anche su evidenti benefici a livello della funzione degli organi interni, innervati dai nervi periferici che passano per il forame intervertebrale della colonna.

La differenza con altri metodi

A differenza di molti altri metodi di terapia, fisioterapia, metodi chirurgici invasivi e mininvasivi, il metodo RAVNI tratta sempre l’intera colonna vertebrale.

Quindi, contemporaneamente al trattamento della colonna vertebrale, si trattano anche le conseguenze della patologia primaria, ad esempio:

  • la causa di ernia del disco intervertebrale
  • problemi alle articolazioni, muscoli, tendini e legamenti vicini.

Eliminando anche miofasciti, alterazioni fibrose che si sono sviluppate nei muscoli, fascia, tendini, legamenti dell’arto nella zona di innervazione dell’uno o dell’altra a causa della compressione della radice intervertebrale di ernia del disco.

Per far sì che questo trattamento sia sicuro al 100% si lavora a stretto contatto anche con neurochirurghi, ortopedici e radiologi.

Il consulto neurochirurgico è fondamentale soprattutto di fronte a ernia espulse di grandi dimensioni, per il fatto che, localizzandosi, ad esempio, nel tratto cervicale, può provocare compressione del midollo spinale.

Inoltre, la tecnica si differenzia dagli altri per due ragioni sostanziali:

  • Può essere applicato solo da specialisti: neurologi, neurochirurgi, ortopedici e medici che abbiano una lunga esperienza professionale e conoscono molto bene l’anatomia della colonna vertebrale e il sistema nervoso centrale e periferico. Servono non meno di 5-7 anni di tirocinio giornaliero perché un operatore possa divenire padrone della metodica.
  • L’uso, nella manipolazione della schiena, delle cosiddette “leve corte“, ossia delle apofisi vertebrali.

Non esistono controindicazioni per il metodo RAVNI, tranne nei casi:

  • di sindrome della “cauda equina”
  • di un’ernia del disco con compressione del midollo spinale causata da cambiamenti strutturali.

Cosa cura oltre all’ernia?

Il Metodo RAVNI consente all’operatore di intervenire sul focolaio patogeno fin dal primo giorno del trattamento e di curare, in contemporanea, tutta la colonna vertebrale e le diverse articolazioni in sofferenza.

Questo metodo viene impiegato con successo nella cura di altre patologie come:

  • scoliosi
  • cifosi giovanile
  • artrosi delle articolazioni delle estremità inferiori e superiori
  • artrosi cervicale, del torace e lombo-sacrale
  • manifestazioni secondarie (cefalgie, cervicalgia, dorsalgia, lombalgia, lombo-sciatalgia, lombo-cruralgia, disturbi del flusso vascolare vertebro-basilare, sindrome arteria vertebrale, ecc.)
  • discopatie
  • protrusione ed ernia (anche espulsa di grossa taglia) del disco
  • periartrite delle articolazioni delle estremità
  • periartriti scapolo-omerali
  • epicondiliti
  • stiloiditi

Lo scopo principale delle manipolazioni:

  • è lo sblocco (mobilizzazione) del segmento vertebrale, sede della patologia, e di tutta la colonna vertebrale
  • la normalizzazione dei rapporti intervertebrali con l’eliminazione della deformazione delle capsule delle articolazioni intervertebrali e loro “sublussazione” per ripristinare i movimenti nel segmento vertebro-motorio e quindi l’eliminazione dell’infiammazione e del dolore.

L’effetto della terapia

La terapia ha come effetto il rilassamento di muscoli e tendini e il ripristino della funzione biomeccanica della colonna vertebrale.

Grazie alle manipolazioni migliora:

  • la circolazione del sangue
  • la circolazione linfatica
  • il metabolismo delle cellule non solo nel segmento dolente, ma lungo tutta la colonna vertebrale: il che a sua volta fa migliorare i processi metabolici nel tessuto cartilagineo, nonché attorno ai dischi e alle articolazioni intervertebrali.

“Nella patologia dei dischi intervertebrali dovuta al conflitto disco radicolare, avvengono i cambiamenti strutturali metabolici nei tessuti adiacenti come tendini, legamenti, muscoli neurosteofibrosi e la terapia manuale agisce anche su queste formazioni”, dice il dottor Dzhalaludin Saidbegov.

Per quel che riguarda l’ernia del disco, il metodo permette di rimetterla a posto solo quando è di piccole dimensioni e nel periodo acuto (prime ore, qualche volta primi giorni dall’uscita).

Se è passato un lungo periodo dall’insorgenza dell’ernia, le manipolazioni manuali permettono di:

  • eliminare o normalizzare il processo infiammatorio intorno all’ernia
  • eliminare l’edema
  • far assorbire la parte liquida formatasi nell’ernia, con conseguente diminuzione delle dimensioni dell’ernia stessa o assorbimento completo di essa, con conseguente totale liberazione della radice compressa e ripristino della funzionalità del nervo danneggiato in conseguenza della compressione della sua radice.

Si avrà quindi l’eliminazione della sindrome lombosciatalgica, lombocruralgica e il ripristino della funzionalità dei segmenti vertebrali e di tutta la colonna.

Infatti, ripristinando e normalizzando la biomeccanica della colonna si normalizza l’alterata reazione immunitaria all’ernia del disco, riconosciuta dall’organismo come oggetto estraneo che si trova nel canale spinale.

Come deve comportarsi il paziente

“La terapia è articolata in cicli di 10 sedute ciascuno, con cadenza giornaliera“, spiega Saidbegov

“Durante ciascun ciclo di terapia manuale il paziente deve sospendere tutte le terapie eventualmente seguite, come ad esempio la fisioterapia e la ginnastica medica.

È altrettanto opportuno che egli sospenda le pratiche sportive e si astenga dai lavori faticosi.

Al termine di ciascuna seduta terapeutica è buona norma osservare 20-30 minuti di riposo su un lettino”.

Inoltre, ci sono alcune regole, soprattutto di postura, che i pazienti devono osservare rigorosamente durante il trattamento e soprattutto dopo e alcuni movimenti e posture sono assolutamente da evitare per tutta la vita.

“Questo perché se dopo essersi liberato dal dolore che lo tormentava prima del trattamento, il paziente viola queste regole o sottopone la colonna vertebrale a carichi contrindicati è chiaro che il dolore può ritornare”, dice il dottor Saidbegov.

“Quindi ogni paziente deve rigorosamente seguire le raccomandazioni del medico sulla postura e i carichi, altrimenti l’effetto del trattamento non sarà duraturo“.

I vantaggi del metodo RAVNI 

  • Le cure sono fisiologiche e non comportano l’uso di farmaci o interventi chirurgici
  • Rispetto ai metodi tradizionali il periodo di cure si riduce notevolmente
  • Il metodo corregge la funzione di tutta la colonna vertebrale che stimola la normalizzazione del funzionamento anche degli organi interni e di tutto l’organismo
  • La possibilità di fare le cure in qualsiasi circostanza e in qualsiasi luogo
  • Il metodo (in caso di urgenze) non necessita di complicate analisi e di apparecchiature costose. Per la terapia occorre solo una superficie rialzata relativamente rigida
  • La guarigione completa o il miglioramento avviene nel 95% dei casi, se il paziente segue i tutti consigli del medico curante durante la cura e dopo la cura.

Le controindicazioni per il metodo RAVNI 

  • le affezioni reumatiche (collagenopatie) delle articolazioni della colonna vertebrale
  • qualsiasi patologia oncologica
  • le malattie cardiovascolari nel periodo di scompenso
  • le malattie organiche del midollo spinale
  • la gravidanza
  • gravi forme di osteoporosi con rischio di frattura spontanea delle vertebre.
Laureanda in Scienze della Comunicazione, da sempre curiosa e affamata di nuove esperienze. Viaggia ogni qual volta le sia possibile, legge, si documenta, osserva quanto la circonda arricchendo così il suo bagaglio personale di conoscenze. Grande appassionata di moda e di tutto ciò che riguarda il settore. Cresciuta in mezzo alla natura, è un’autentica amante degli animali, attenta e rispettosa nei confronti dell’ambiente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *